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Sbilanciamoci

Promemoria: mettere in bilancio la partecipazione

La recente uscita dell’ultimo Open Budget Survey, autorevole Rapporto indipendente sui bilanci statali in oltre 120 Paesi al mondo pubblicato ogni due anni dall’International Budget Partnership, ci aiuta a riflettere su un tema tanto importante quanto poco considerato e dibattuto.

Parliamo del livello di trasparenza e accessibilità dei dati di finanza pubblica e delle opportunità di partecipazione dei cittadini ai processi di formulazione, implementazione e controllo delle scelte di bilancio. Il modo in cui le risorse pubbliche vengono reperite e allocate è a tutti gli effetti una questione cruciale che impatta sulle vite di noi tutti e che non può essere lasciata nelle sole mani degli addetti ai lavori.

Per l’Italia, l’Open Budget Survey 2023 conferma il trend delle ultime edizioni: buono il risultato su trasparenza e supervisione del processo di bilancio – si distingue in positivo l’operato di istituzioni di controllo quali la Corte dei Conti e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio –, pessimo il riscontro sulla partecipazione pubblica. In quest’ultimo caso, il nostro punteggio nella classifica mondiale del Rapporto è di 15/100, molto al di sotto della media dei Paesi Ocse (24/100) e dei Paesi sul podio: Corea del Sud (65/100), Nuova Zelanda (55/100) e Regno Unito (54/100).

Con Sbilanciamoci!, denunciamo da anni lo svilimento del ruolo del Parlamento e il troppo poco tempo a disposizione per discutere e approvare il bilancio, al pari del sistematico ritardo nella presentazione del Disegno di Legge di Bilancio al Parlamento: basti pensare che l’ultimo Ddl Bilancio è arrivato in Senato il 30 ottobre 2023, dieci giorni dopo rispetto a quanto previsto dalla legge, mentre il penultimo è stato presentato alla Camera con ben 40 giorni di ritardo, il 29 novembre 2022.

Per sostenere e rendere effettiva la partecipazione pubblica al processo di bilancio, chiediamo poi di restituire centralità alle audizioni parlamentari sulla Legge di Bilancio, che ormai hanno un ruolo meramente formale, nonché di dare voce alle parti sociali e alle organizzazioni della società civile aprendo canali di dialogo strutturati e permanenti con le istituzioni, anche grazie alla condivisione di competenze e strumenti – a cominciare da una revisione del Bilancio in breve – per poter decifrare la complessità del mondo della finanza e della contabilità pubbliche.

Ana Patricia Muñoz, Direttrice dell’International Budget Partnership, si esprime così: «Dobbiamo batterci per processi di bilancio che non siano solo formalmente aperti, ma che permettano davvero alle persone di accedere alle informazioni rilevanti e di attivare le leve per garantire che i soldi pubblici siano raccolti e spesi in modo più equo. La trasparenza non basta a ridurre le disuguaglianze e ad aumentare il benessere delle comunità, ma è un ingrediente necessario che deve essere abbinato a uno spazio civico aperto e alla partecipazione attiva della società civile e dei gruppi sociali tradizionalmente esclusi».

Ci sentiamo di sottoscrivere in pieno queste parole, augurandoci che possano essere da ispirazione per tutti coloro i quali hanno a cuore il tema della legittimità delle politiche di bilancio e, in buona sostanza, della qualità delle nostre istituzioni e procedure democratiche.

  • Giulio Marcon

    Portavoce della campagna Sbilanciamoci!, è stato negli anni '90 portavoce dell'Associazione per la pace e Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. È stato deputato indipendente di SEL nella XVII legislatura, facendo parte della Commissione Bilancio. Tra i suoi libri: (con Giuliano Battiston), La sinistra che verrà (minimum fax 2018) e (con Mario Pianta), Sbilanciamo l'economia (Laterza 2013)

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Appunti sulla mondialità

L’Europa al bivio?

Una delle frasi fatte che ascoltiamo più spesso quando si parla dell’Europa comunitaria è quella che la descrive come eternamente “al bivio”. Ma tra quali possibilità? I punti di vista divergono sempre tra chi vorrebbe un rafforzamento delle istituzioni comuni, opzione che presuppone un maggiore trasferimento di sovranità a Bruxelles, e chi vorrebbe invece un recupero di sovranità da parte degli Stati su temi quali l’economia o le politiche ambientali, senza per questo chiedere lo smantellamento dell’Unione. A distanza di 67 anni dai Trattati di Roma, le due anime europee continuano a misurarsi senza mai approdare a una sintesi. L’anima che si ispira all’utopia di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli degli Stati Uniti d’Europa e l’anima nazionalista che è interessata solo ai vantaggi che l’Unione offre in quanto grande mercato interno. Per decenni quest’ultima posizione è stata apertamente sostenuta dal Regno Unito, ma in modo meno esplicito è stata condivisa anche dalle potenze continentali che hanno frapposto ostacoli a una reale trasformazione dell’UE da unione a federazione: soprattutto dopo i referendum franco-olandesi del 2005, responsabili dell’affossamento della Costituzione che avrebbe permesso la nascita di un “superstato”. Nel frattempo, l’Unione cresceva e l’aumento degli Stati membri ha allontanato sempre di più la possibilità di raggiungere l’unanimità necessaria per i passaggi cruciali.

Bisogna però ricordare che esiste già un meccanismo, quello della cooperazione rafforzata, che permetterebbe a un gruppo di Paesi europei di andare oltre i Trattati, ad esempio gestendo in comune la difesa e la politica estera. Ma sono temi molto sensibili. Per i 27 Stati mantenere il comando ciascuno del proprio esercito è sempre gratificante, per quanto il comando sia finto, essendo questi eserciti quasi tutti membri della Nato a trazione nordamericana. Parigi, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha rimesso al centro la questione della difesa comune, ovviamente costruita attorno alla Francia in quanto unica potenza nucleare dell’Unione. Delle altre materie non si parla: cittadinanza comune, gestione dei flussi migratori, welfare, fiscalità. I grandi nodi che potrebbero fare la differenza tra la realtà ibrida attuale e uno Stato sovranazionale. Abbiamo l’euro, anche se solo per 20 Paesi, l’unica moneta nella storia che non viene coniata da uno Stato ma è gestita da una Banca Centrale che deve fare i conti con 20 ministri dell’economia e 20 debiti sovrani, e quindi con lo spread, un fenomeno impossibile da immaginare con qualsiasi altra moneta. Questa anomalia doveva essere solo temporanea, invece sta diventando permanente. Questo lento galleggiare è diventato pericoloso. Nelle campagne elettorali, comprese quelle per le elezioni europee, ormai si parla solo di questioni interne e cresce il disinteresse dei cittadini per un’Unione che sembra molto lontana, ma che in realtà ormai da anni condiziona la nostra vita quotidiana. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, molte delle scelte fatte in campo ambientale, agricolo, economico e culturale sono state dettate dall’UE, che resta un bastione della democrazia e dei diritti a livello mondiale. Non esiste area al mondo dove gli indicatori economici, sociali e politici siano così alti. Ed è proprio questo punto che rende l’insipienza della politica europea un danno non solo per i cittadini comunitari ma anche per il resto dell’umanità. Manca drammaticamente sulla scena internazionale un protagonista con le caratteristiche dell’Unione. Diverso rispetto alle potenze governate da autoritarismi o totalitarismi quali la Russia, l’Iran o la Cina, ma anche diverso rispetto agli Stati Uniti dove la democrazia si sta rapidamente deteriorando ed è nato il “doppio standard” sui diritti in politica estera. Il vero bivio dell’Europa sta qui: deve scegliere se essere protagonista in positivo sulla scena mondiale oppure un semplice conglomerato per lo scambio di beni e servizi. Due posizioni diverse, entrambe rispettabili, sulle quali si spera che gli elettori diano un segnale chiaro.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Sia Fatta la tua volontà: Richard Romagnoli e il leone che si credeva una pecora

A un leoncino muore la mamma e resta solo. Un gruppo di pecore, impietosite, lo prendono con loro. Lui cresce, non sa di essere un leone, e soffre, é pieno di paure e non capisce perché. Un giorno un altro leone passa di lì per mangiarsi qualche pecora. E lo vede. Se ne sta immobile, intimorito, quasi paralizzato dalla paura.
“Ma che ci fai tu qui?” gli dice, e poi lo trascina fino a uno specchio d’acqua perché veda la sua immagine riflessa.
“Sei un leone, non una pecora”.
Il giovane leone si osserva a lungo, non assomiglia proprio alle pecore con cui é cresciuto ma a quel maestoso leone vicino a lui.
Da quel momento diventa consapevole di chi é e della propria forza. Non attaccherà mai le amiche pecore ma andrà per la sua strada, conscio della propria essenza.
Ho letto questa antica storia indiana nel bel libro “Era scritto nelle foglie del Destino” di Richard Romagnoli (Roi Edizioni) e l’ho trovata semplice e incisiva. Il coraggio di capire ed accettare chi siamo é l’unico modo per affrontare le nostre paure, le incertezze, i traumi del passato. E poi lasciarli andare, che le cose cambiano, lo fanno sempre. Dobbiamo abbandonare la convinzione che abbiamo capito tutto. Anche perché, magari, poi alla fine scopriamo che siamo stati convinti per una vita di essere pecore e invece siamo leoni.
Alla base di tutto c’é la consapevolezza di chi si é, dove si é, e infine la serena accettazione di quello che viene. Ancora Richard, nel suo libro racconta della preghiera-mantra che ripete dentro di sé a quel Dio/Energia dell’universo quando ha paura. Una frase sola, una frase semplice: “Sia fatta la tua volontà”, che vuol dire accetto quello che viene, cerco di padroneggiare al meglio le cose che posso padroneggiare, mi impegno per imparare il più possibile da quello che mi succede, e non mi preoccupo. Tanto quello che non é in mio potere cambiare non dipende da me.
“Sia fatta la tua volontà”. Un mantra potente, che racchiude il senso della vita, il mistero della fede e l’energia dell’universo.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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La scuola non serve a nulla

Valditara, Dante e l’Islam

Mie impressioni sulla faccenda trevigiana...

Vi sarà arrivata all’orecchio la polemica “Dante sì, Dante no” da Treviso, dove due studenti musulmani di terza classe di una Scuola Secondaria di 1° Grado (la Scuola Media) sarebbero stati “esentati” dal loro prof. dalle lezioni sulla Divina Commedia: essendo opera a sfondo religioso, non sarebbe stata in linea con la fede professata dai ragazzi.

Ma essendo ora per noi pure campagna elettorale, al Circo Togni della politica non è parso vero di potercisi tuffar dentro e attingere a piene mani alla zuppetta: il ministro Valditara ha disposto un’ispezione; la ministra Santanché, rinomata dantista, ha tuonato “La Commedia non è più divina, ma una farsa in nome dell’Islam. Continuiamo a sottometterci ai musulmani rinnegando la nostra cultura, la nostra storia, la nostra identità. Sicuramente tutti questi politicamente corretti Dante li avrebbe messi nel girone degli ignavi”; e il redivivo filologo veneto Zaia ha commentato che “è un’assurdità cancellare Dante. Ma dietro questo si nasconde un problema ancora più grande: l’integralismo”. Per quanto, anche nel PD si sono espressi dubbi, da parte di esponenti come Simona Malpezzi e Debora Serracchiani.

Sulla questione, i miei due centesimi solo per chiarire alcuni punti.

– pare che tutto sia nato da un eccesso di zelo del docente in questione, che avrebbe chiesto alle famiglie dei ragazzi il permesso di far loro studiare quest’opera, date le sue implicazioni religiose. Dal che mi vien da pensare: e cosa avrebbe dovuto fare il nostro nel caso ci si fosse accostati ad altre opere di uguale se non maggior preponderanza cattolica, da “I promessi Sposi”, all’ “Orlando Furioso”, per non parlare de “La Gerusalemme Liberata”? Si sarebbe fornito stesso modulo prestampato? La richiesta di tale autorizzazione, per quanto dettata da una forma sincera di rispetto, credo sia stato un errore;

– per questi ragazzi, il docente pare si sia peritato di sostituire la parte di Dante con un programma parallelo alternativo su Boccaccio. Che avrebbe potuto creare attriti culturali pure maggiori: “Desiderate che vostro figlio studi un’opera in cui tre ragazzi e dieci ragazze si appartano da soli in campagna a raccontarsi storielle licenziose?”, avrebbe dovuto recitare qui il modulo di richiesta;

– fermo restando questo punto, facile prevedere poi che in qualunque classe d’Italia con alunni musulmani, alla stessa richiesta avresti avuto risultati simili. Ho alunni di nazionalità marocchina, nati in Egitto, emigrati dalla Tunisia, i cui genitori raramente parlano italiano (o lo parlano ancora male, e sicuramente non è l’arabo l’italiano la lingua con cui si comunica in casa), e che non avrebbero potuto capire le sfumature insite in una tale richiesta (l’avrebbero vista come una semplice ingerenza religiosa);

– il docente ha comunque, secondo me, perso l’occasione per dedicarsi a quello che è il più alto magistero che l’istituzione scolastica possa attuare (e il più nobile compito per un docente): quello di provare a far comprendere il contesto di un testo, le radici sociali di un paese e la sua cultura (che per quanto imbevuta di una certa religione, può non coincidere con la confessione religiosa tout court); quello di educare al rispetto e all’incontro delle diverse specificità storico-culturali, e alla riflessione su quanto sia una fortuna e un’opportunità la presenza delle differenze. Difficilissimo, ma se la scuola cessa di provare a far questo, non è più scuola.

– non si capisce perché Dante si sia affrontato in terza media, visto che da che mondo è mondo lo si fa all’inizio della seconda;

– in virtù dell’autonomia scolastica e della scomparsa dei programmi, sono decenni che noi docenti decidiamo quali sono i testi più adatti per promuovere le competenze linguistiche (ma anche estetiche, personali, formative, dello “spirito”.. ), dei nostri diversissimi alunni. Insomma, da tempo operiamo scelte sui testi, per quanto restando in un alveo “tradizionale”, selezionandone alcuni e tralasciandone altri, visto che non si può far tutto. Compreso io: spesso mi è capitato di esonerare la parte di letteratura ad alunni cinesi appena arrivati in Italia, o agli alunni accolti dopo la loro fuga dall’Ucraina: era – credo – ragionevole, perché a malapena sapevano dire “Ciao”. Ecco, da qui la riflessione si sposta a come certi fatti vengono raccontati dai media al solo scopo di stuzzicare il ventre molle degli utenti in rete: bastava raccontarli un po’ diversamente, questi miei episodi testé raccontati, e con questi stessi, al centro della polemica nazionale di giornata avrei potuto esserci io!

In conclusione: mi pare che il governo, come per la questione del giorno di chiusura del Ramadan per la scuola di Pioltello, anche qui ignori o finga di ignorare (per poi scoprirlo d’improvviso), come funziona la scuola, le sue leggi, i suoi orientamenti normativi: al sol(it)o scopo di alimentare versioni pettinate o parziali – quando non false –  di fatti per darli meglio in pasto all’opinione pubblica; di modo che possa servire ad avvelenare ancor di più il clima, rafforzare l’idea dell’invasione e della “cancel culture” asfissiante, e sperare nel rituale incasso elettorale.

E tutto questo, banchettando allegramente su quel che rimane della scuola, delle sue scarse risorse, e del gesto di un prof. in buona fede ma forse solo un po’ incauto.

Che tristezza…

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purché formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Appunti sulla mondialità

La tecnica dei populismi

Tutti i populisti, anche se di segno politico diverso, presentano tratti in comune. Il primo, che da sempre spicca sugli altri, è l’attacco violento portato al rivale non solo sul piano politico ma anche, e soprattutto, su quello personale. Demolire l’avversario, accusarlo di essere corrotto o debole, anziano o poco avvenente, affermare che ha parentele o amicizie “pericolose”: fa tutto parte della retorica corrente dei populisti. Non importa, ovviamente, che le accuse di immoralità, di corruzione o di altri reati siano o meno fondate – anzi, spesso sono fake news di portata gigantesca – né che l’avversario mai si sognerebbe di compiere a sua volta attacchi che scendano sul piano dell’aspetto o della prestanza fisica. Invece Donald Trump può daredel “vecchio rimbambito” a Joe Biden, malgrado i suoi 77 anni abbondanti (e portati piuttosto male); Javier Milei seminare in pubblico sospetti sulla moglie del primo ministro spagnolo in base ad acclarate fake news; e Vladimir Putin affermare che le istituzioni ucraine sono in mano a una classe politica interamente nazista. Hitler, del resto, costruì la sua criminale ascesa politica “spiegando” che certi tratti somatici degli ebrei confermavano il loro essere colpevoli di tutti i mali della Germania. Venendo a noi, su un livello diverso e assai meno pericoloso, un certo comico italiano prestato alla politica iniziò il suo percorso dando del “nano pelato” o dello “psiconano” all’avversario.

Il populismo, infatti, non punta a vincere sul piano delle idee, come è normale in democrazia, ma si spinge ben oltre. Punta a demonizzare e demolire il pensiero avverso, ad attaccare fisicamente coloro i quali ostacolano un percorso che mira, in sostanza, a costruire un regime. Per questo l’offesa al rivale, l’attacco che ne prende di mira la fisicità o l’età, è tipico del fascismo. Che non cerca il confronto ma solo la prevaricazione, soprattutto con la forza, perché non considera il dissenso un diritto né tantomeno una voce da ascoltare per migliorare il proprio operato, ma lo interpreta come un atto d’insurrezione, una ribellione contro l’ordine che si vuole costruire. Chi è contrario, allora, è una zecca”, uno “scarafaggio”, un “ratto”.

Quanto pesino problematiche di salute mentale nel comportamento di diversi populisti è difficile da stabilire: il terreno è scivoloso, e non vorremmo rischiare di scendere sullo stesso piano. Quello che è evidente è che in tempi e scenari politici, culturali e politici diversi, l’insulto e la disinformazione funzionano sempre. E non soltanto perché i talk show televisivi sono una scuola di formazione che orienta al turpiloquio politico, “pollai” dove nessun tema viene mai approfondito e nessuna posizione espressa in modo da essere ben compresa: anche prima della comunicazione di massa moderna, quello della manipolazione del dibattito politico era un meccanismo ben oliato. Perciò, per ridurre i rischi, tra le regole auree di una vera democrazia ci devono essere la libertà di stampa e il rispetto delle idee di tutti. Rispetto perché è fondamentale mantenere il dibattito entro i limiti della civiltà, con toni che permettano di esprimersi e di capire; libertà di stampa perché i giornalisti hanno, o dovrebbero avere, il dovere di verificare le notizie e fare informazione corretta.

Nel 2023 sono stati uccisi nel mondo 99 giornalisti: tentavano di raccontare l’economia dei narcos in Messico, le violazioni dei diritti umani nelle Filippine e soprattutto le conseguenze dell’intervento militare israeliano a Gaza. La buona notizia potrebbe essere che per la prima volta da tanti anni la Russia non compare in questo elenco, ma ciò accade perché non sono rimasti più giornalisti da eliminare, dopo le purghe degli anni scorsi e le fughe all’estero. Lo specchio da osservare per provare a immaginare un mondo governato dai populisti, senza più stampa libera, lo offre proprio la Russia di Putin, dove è vietato pronunciare la parola guerra e si rimodella il passato fino a renderlo mitologico, dove chi critica il potere e il capo è un essere “decadente e degenerato” al soldo dell’Occidente.

  • Alfredo Somoza

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    Strage di Bologna: 45 anni dopo la matrice fascista è finalmente accertata

    A Bologna oggi si terranno le commemorazioni e il corteo per ricordare le 85 vittime e i 200 feriti della strage del 2 agosto 1980. Quando, alle 10 e 25 una valigia piena di tritolo scoppia nella sala d’aspetto della stazione Sono passati 45 anni da quello che è stato il più grave attentato terroristico in Italia del secondo dopoguerra. Seguito da decenni di depistaggi e di omertà di Stato per cercare di proteggere i responsabili fascisti e i servizi deviati che hanno portato al culmine della strategia della tensione. Oggi due sentenze della corte di Cassazione hanno chiarito definitamente la matrice nera dell’attentato. Paolo Bolognesi è il presidente dell'associazione dei familiari delle vittime.

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