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Studenti indebitati, il caso Zheng Xu

Il problema è salito agli onori della cronaca il mese scorso, con il suicidio di Zheng Xu, uno studente della provincia dello Henan che aveva accumulato debiti per circa un milione di yuan – 150mila dollari – facendo prestiti online per scommettere sulle partite di calcio, sempre online. Per chiedere i prestiti, aveva utilizzato le carte d’identità di 28 compagni d’università. In rete circolano ora i commenti amari di altri studenti: confessano che il più grande problema della loro generazione non è tanto quello di trovare lavoro o moglie, bensì di ripagare i debiti accumulati durante gli anni degli studi.

In qualche modo, sono simili ai loro colleghi statunitensi, che chiedono prestiti per sostenere le rette universitarie. Negli Usa si calcola che siano 40 milioni gli indebitati da studio. Si parla di «crisi del debito studentesco» e la Casa Bianca ha di recente lanciato il grido d’allarme: dato che il 70 per cento di coloro che finiscono l’università lo fanno con un bel debito sul groppone, l’economia intera non potrà beneficiare dei loro consumi per ripartire.

È tutto più confuso in Cina, dove si accede al credito online non solo per darsi una formazione, bensì anche per comprare l’iPhone alla fidanzata e altri beni materiali. Oppure per cominciare una piccola attività imprenditoriale. E il debito si gonfia. Infatti, fare prestiti online in Cina è piuttosto facile, generalmente basta avere la carta d’identità e compilare un form. Le piattaforme proliferano, di solito basta scaricare una app sul proprio smartphone per accedere ai servizi di una agenzia di microcredito – che eroga cioè direttamente il prestito – o di una piattaforma peer-to-peer, che mette cioè in contatto potenziali creditori e potenziali debitori.

Ormai da anni si parla molto dell’online banking come alternativa possibile al settore finanziario di Stato. Alibaba, il gigante mondiale dell’e-commerce, si è gettato a capofitto nel nuovo business, così come Tencent, la compagnia che gestisce il servizio di messaggistica WeChat. È ormai normale nella Cina urbana – e sempre più anche in quella rurale – pagare bollette, ricaricare il cellulare e fare acquisti online attraverso il telefonino. È stato coniato un nuovo termine – toudizu – l’etnia con la testa china, per definire i milioni di giovani e non solo che passano la giornata inghiottiti dal loro smartphone.

Alcuni di questi milioni giocano però con il fuoco e il caso di Zheng Xu è esemplare, perché accanto a quelle dei maggiori player sono proliferate anche le piattaforme di credito online minori, scarsamente regolate, che offrono denaro senza verificare la solvibilità di chi lo chiede e che nel contratto nascondono clausole omicide. Per esempio, mentre i tassi d’interesse offerti appaiono generalmente bassi, ci sono spesso non meglio specificati «costi di servizio» che gonfiano il debito all’insaputa del giovane inesperto. Altre clausole nascoste prevedono che in caso di insolvenza siano le famiglie a doversi far carico del debito, così il problema si allarga a tutta la società e si gonfia esponenzialmente, specialmente se lo studente ha contratto altri debiti per pagare un insolvibile debito iniziale.

Le autorità cinesi non sono ancora riuscite a normare il settore. E poi si sa, quando la regola arriva, in Cina, il modo per aggirarla compare più o meno in contemporanea e crea un’ulteriore economia parallela. Le piattaforme di microcredito e quelle peer-to-peer sono proliferate nei campus proprio grazie a una norma che proibiva agli istituti di credito tradizionali di accedere ai campus. Nel 2009, il legislatore vietò il credito ai minori di 18 anni e stabilì che anche gli studenti maggiorenni, se sprovvisti di un reddito personale, dovessero avere il consenso dei genitori per accedere ai prestiti. Il vuoto fu colmato immediatamente dalle piattaforme che si muovono senza regole. Uno studio dell’Università del popolo di Pechino ha rivelato che gli studenti che accedono al credito online sono circa il 9 per cento.

Tratto da China Files

  • Autore articolo
    Gabriele Battaglia
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