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Road Diary, Bruce Springsteen si racconta in un film

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A dispetto del titolo, “Road Diary. Bruce Springsteen and the E Street Band” non è un diario di viaggio del tour 2023, sebbene sia stato girato l’anno scorso, quando Springsteen e la band sono tornati sul palco dopo 6 lunghi anni di stop.
Certo ci sono tante riprese fatte ai concerti, c’è il dietro le quinte, ma il senso del film è raccontare un concerto. E cioè quello show che l’anno scorso, e in buona parte anche quest’anno, Springsteen ha messo in scena per raccontare chi è lui a questo punto della sua vita.

Parliamo di un concerto, perché la scaletta è stata volutamente fissa, con pochissimi cambiamenti. C’era una narrazione che partiva da No Surrender, quasi sempre il brano di apertura, si chiudeva con I’ll see you in my dreams e metteva al centro della scaletta Last Man Standing, un titolo che si riferisce al fatto che Bruce è l’unico ancora in vita del suo primo gruppo musicale, i Castiles.

I fan che lo seguono da tanti anni ci sono rimasti male all’inizio: Springsteen e la E Street Band sanno bene di avere un pubblico capace di girare il mondo per vederli suonare, un pubblico che ha sempre avuto la garanzia di non vedere un concerto uguale a un altro. E qui invece il concerto era uno. Il messaggio doveva arrivare a tutti, in ogni show, in ogni città, sempre uguale. Lui si voleva raccontare, aveva bisogno di raccontarsi.
Di raccontare un uomo che è ormai anziano, sa che sta vivendo l’ultima parte della sua vita, e ne fa un bilancio attraverso le canzoni, una dopo l’altra, seguendo un filo. Cambiare la scaletta voleva dire interrompere quel filo.

Ecco, Road Diary è il film di tutto questo. Un racconto che mescola interviste ai membri della band, comprese due di repertorio a Clarence Clemons e Danny Federici che non ci sono più, e al produttore storico Jon Landau, mentre la voce di Bruce è spesso quella narrante. Ci sono le riprese delle prove, dei concerti negli Stati Uniti e in Europa, e le immagini di 50 anni fa, quando giravano in pulmino lungo la costa del New Jersey per suonare nei locali notturni, o nei posti più improbabili – una volta nel bar di una raffineria, con il fuoco che usciva dalla ciminiera sopra le loro teste. Ci sono racconti strepitosi di quei tempi: quando andavano lontano dormivano in un furgone riadattato a camper, e la mattina si svegliavano con un odore pazzesco perché Clarence Clemons in quel furgone cucinava la colazione per tutti.

Ci sono confessioni su come loro sono ora. Come si siano ritrovati più lenti all’avvio delle prove, canzoni tiratissime sembravano ballate, avevano meno voglia di stare lì a provare per ore ed ore – e si sentiva in concerto, bisogna dire. C’è il racconto di Patti Scialfa, corista e moglie di Bruce, della malattia che le è stata diagnosticata nel 2018 e che l’ha costretta a stare giù dal palco, salvo poche apparizioni. Due, tre canzoni, due, tre volte in un tour – dice Patti: “E’ la mia nuova normalità, ma è ok”.

“Siamo stati on the road per 50 anni. È troppo tardi per fermarci” dice Springsteen sul finale. E chiude citando una preghiera laica di Jim Morrison, perché Dio gli conceda ancora un’ occasione sul palco, ancora una possibilità di migliorare la sua vita.

Cosa riserverà il futuro a Bruce Springsteen and the E Street Band? Ovviamente non lo sappiamo, e da fan non si può che essere fatalisti. Ma se guarderete Road Diary, guardate gli occhi di Bruce quando sale sul palco a Tampa, Florida, nel febbraio 2023. La prima volta che torna sul palco dopo 6 anni, lui che vive di concerti.
Guardate l’espressione che ha negli occhi.

  • Autore articolo
    Lorenza Ghidini
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