Approfondimenti

L’economia italiana in frenata, il nuovo decreto anti-immigrazione di Meloni e le altre notizie della giornata

Giancarlo Giorgetti ANSA

Il racconto della giornata di martedì 26 settembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il primo numero fatto trapelare sull’aggiornamento del documento di economia e finanza è un bagno di realtà: il governo prende atto che l’economia italiana non va bene, al di là dei proclami su brochure patinate di Meloni, e sembra quasi certo che si ricorrerà in buona parte al deficit per finanziare la legge di bilancio. Oggi, nel giorno del funerale laico dell’ex Capo di Stato Giorgio Napolitano, Meloni ha incontrato Macron e da Palazzo Chigi è stata fatta trapelare la bozza del nuovo decreto contro l’immigrazione.

Il governo prende atto che l’economia italiana non va bene

(di Massimo Alberti)

Il primo numero fatto trapelare sull’aggiornamento del documento di economia e finanza è un bagno di realtà: il governo prende atto che l’economia italiana non va bene, al di là dei proclami su brochure patinate di Meloni. Numeri, per altro, che potrebbero essere persino troppo generosi, in una continua rincorsa al ribasso delle stime sul Pil. La Nadef dirà soprattutto quante risorse il governo potrà giocarsi per le proprie promesse. Molto dipenderà da quale numero si scriverà nella casella Deficit. Il 3,7 pensato ad aprile sarà alzato. L’aiuto sperato è arrivato da Eurostat che contabilizza sul 2023 i crediti del superbonus. Questo vuol dire alzare il deficit di quest’anno anche di un punto, al 5,5%. Consentendo al governo di mantenerlo alto nel 2024, anche ben oltre il 4%, come indicano indiscrezioni, vendendo comunque a Bruxelles una ampia riduzione. Non è poco, visto che ogni decimo vale 2-3 miliardi da usare in manovra. In ogni casò occorrerà trattare, ma sprattutto stare attenti alle reazioni dei mercati, perché più deficit significa più spesa ma anche più debito, che per l’Italia resta il punto debole. Le diverse indiscrezioni passate ai media sono comunque significative dell’assenza di una linea ed un’idea chiara per recuperare quei circa 30 miliardi che servono per la manovra pre elettorale: e così nel vuoto di scelte politiche ci si aggrappa agli esercizi contabili. Ed al superbonus, ed all’Europa, almeno quella statistica, diventati da bersaglio a possibile aiuto. Ma il governo non potrà abusarne: il messaggio che arriva dallo spread, salito oggi ai massimi da marzo, è piuttosto chiaro.
 

Ricorso al deficit per finanziare la legge di bilancio?

(di Mattia Guastafierro)

Ormai è quasi certo: il governo ricorrerà in buona parte al deficit per finanziare la legge di bilancio. Oltre ai 4 miliardi già trovati grazie allo scostamento tra il disavanzo programmatico e quello tendenziale, la soglia potrebbe aumentare di molto, dopo la decisione di Eurostat sui crediti del Superbonus. Una cifra che garantirebbe un po’ di respiro, ma che allo stesso tempo apre delle incognite. Se è vero che da un lato è un’occasione, l’ultima per sforare i vincoli di bilancio prima del nuovo patto di stabilità, dall’altro scarica gli oneri sul futuro, oltre a mettere l’Italia sotto i riflettori europei e dei mercati.
Per il resto, la coperta è corta e di certezze ce ne sono poche. Una di queste è che una parte delle risorse – tra 1,5 e 2 miliardi – arriverà dalla tassa sugli extraprofitti delle banche, depotenziata dopo le critiche della Bce. L’altra sono i 4 miliardi garantiti dall’extragettito Iva dei carburanti, una parte però già usati per il decreto energia.
Al di là questo, all’appello manca una decina di miliardi di entrate, su cui al momento circolano solo ipotesi. Un intervento potrebbe essere il taglio qua e là delle centinaia di agevolazioni in vigore, tante volte annunciato e mai fatto. Mentre qualche risorsa in più potrà arrivare dalla lotta all’evasione (un dato però difficilmente quantificabile), e da alcune privatizzazioni, come nel caso di Monte dei Paschi e delle Poste. C’è poi l’idea di un aumento delle tasse sui giochi, con il governo che starebbe pensando di anticipare la messa sul mercato del Lotto.
Tutte misure che però non bastano a far quadrare i conti, tanto che nelle ultime ore si è tornati a parlare di condoni, e la stessa Meloni ha chiesto ai ministeri l’ardua impresa di tagliare gli sprechi. Provvedimenti una tantum che testimoniano l’assenza di una visione economica complessiva del governo.
 

Il nuovo decreto anti-immigrazione di Meloni

(di Diana Santini)

È stata l’immigrazione il tema centrale del colloquio che si è svolto oggi tra Giorgia Meloni, in cerca di alleati in Europa, e il presidente francese Macron, a Roma in occasione del funerale di Giorgio Napolitano. I due si sono parlati per più di un’ora, mentre Palazzo Chigi faceva filtrare le bozze del secondo pacchetto di provvedimenti anti-immigrazione annunciati a Lampedusa. In particolare stavolta l’attenzione dell’esecutivo si è concentrata sui minori non accompagnati, con misure che ne riducono le garanzie e ne facilitano l’espulsione.
Il decreto conterrà da un lato misure per la gestione degli arrivi: tra queste l’affidamento degli hotspot alla Guardia Costiera in casi di grande afflusso, e la possibilità di riempirli fino al doppio della capienza prevista.
C’è poi una facilitazione delle espulsioni per “motivi di ordine pubblico”. Ma soprattutto il decreto prende di mira i minori non accompagnati. Le procedure di accertamento dell’età anagrafica di chi si dichiara minorenne all’arrivo saranno semplificate. Cosa vuol dire semplificate? Che saranno sottratte all’autorità giudiziaria, e potranno invece essere disposte dall’autorità di pubblica sicurezza. Saranno insomma più veloci e dunque più approssimative. Inoltre i migranti di età compresa tra i 16 e i 18 anni, in caso non ci sia posto nei centri dedicati, potranno essere ospitati nei centri per gli adulti: questa è una cosa che già succede nelle primissime fasi dell’accoglienza ma finora poi al momento dello smistamento nelle regioni ai minori veniva garantita una corsia protetta, per ovvie ragioni, come spiega in questo commento a caldo che abbiamo raccolto poco fa, Antonella Inverno, responsabile dell’ufficio policy and law per i programmi nazionali di Save the Children Italia:



Quanto invece al colloquio tra Meloni e Macron, è avvenuto nel primo pomeriggio senza delegazioni. I contenuti non sono stati resi noti ma è chiaro che, dopo i ripetuti scontri con la Germania (prima sui dublinanti, poi sui finanziamenti alle ong), Giorgia Meloni cerca una sponda in Europa, in vista del Consiglio di fine mese. L’obiettivo del governo italiano, dopo che diversi paesi hanno risposto picche sull’ipotesi di una nuova missione navale sul modello di Sophia, è quello di portare a casa in quella sede un accordo per rimpatri più facili, magari sotto il cappello delle Nazioni Unite, e finanziamenti ai paesi di partenza dei migranti, oltre allo sblocco dei fondi alla Tunisia.

I funerali di Giorgio Napolitano alla Camera

(di Anna Bredice)

È stato il funerale laico di Napolitano, in una cornice assolutamente inedita all’interno della Camera dei Deputati. Il feretro ricoperto dal tricolore è rimasto nella Sala del Governo, scortato dai corazzieri, e a venti metri da lì, nell’aula di Montecitorio, stracolma per un’ora e mezza, è stato ricordato l’ex Capo dello Stato. 3 o 4 legislature erano presenti oggi, esponenti politici che hanno fatto la storia degli ultimi 40-50 anni. Seduti vicini Prodi e D’Alema. E poi Draghi e Monti, Occhetto e tanti altri per una storia che sembra così lontana da quella destra seduta ai banchi del governo che, dimenticando forse il grandangolo dei fotografi, è stata immortalata mentre la presidente del Consiglio scarabocchiava un foglio quando parlava Gentiloni. O mentre Sgarbi se la dormiva durante il discorso di monsignor Ravasi. Una destra sovranista e populista che, ha ricordato il figlio, Napolitano respingeva. È stata una cerimonia anche dell’appartenenza a quel Partito Comunista che solo Anna Finocchiaro nel suo discorso, è riuscita a nominare, orgogliosa di averne fatto parte e anche emozionata perché ricco di ricordi personali.
E poi, naturalmente, i primi applausi ai discorsi del figlio e della nipote. Verso la fine è intervenuto Gianni Letta che ha elogiato insieme, mettendoli uno affianco all’altro, Napolitano e Berlusconi. Celebrando Napolitano, Letta continuava a riconoscere i meriti di Berlusconi fino ad augurarsi che nell’al di là possano chiarirsi. A queste parole non è sfuggito qualche sguardo un po’ incredulo dai banchi della sinistra. Fuori due maxischermi per seguire i funerali: c’erano alcune centinaia di persone questa mattina. E poi gli applausi all’arrivo del feretro.
 

Il mistero della presunta morte dell’ammiraglio Viktor Sokolov

L’esercito ucraino ha detto che sta raccogliendo informazioni sulla presunta morte di Viktor Sokolov, dopo che il Cremlino ha diffuso un video di una riunione di alti ufficiali svoltasi oggi in cui compare anche l’ammiraglio. In studio Martina Stefanoni: cosa è successo?

Kiev aveva detto che il comandante della flotta russa del Mar Nero era stato ucciso – insieme ad altri 34 ufficiali – durante l’attacco missilistico di venerdì scorso sul quartier generale della flotta russa del Mar Nero in Crimea a Sebastopoli. Il Cremlino però oggi ha negato e sull’agenzia di stampa Ria Novosti è stato pubblicato un video che lo mostra mentre, in collegamento video, ascolta un discorso del ministro della Difesa Shoigu. Sokolov nel video non parla e non è ancora stato verificato se il filmato sia stato effettivamente girato oggi. “Le fonti disponibili affermano che Sokolov era tra i morti – ha detto con un comunicato il Comando delle Operazioni Speciali ucraino, spiegando che ora si sta lavorando per chiarire le informazioni.

Oggi intanto in Russia è stato rifiutato l’appello di Navalny. Martina Stefanoni:

Sì, Alexei Navalny, che è considerato il principale oppositore politico di Putin è stato condannato ad agosto a 19 anni di carcere per “estremismo” e oggi l’appello presentato dai suoi avvocati è stato rifiutato. Navalny si trova in carcere già da due anni e mezzo, era stato arrestato nel gennaio del 2021, non appena ha rimesso piede a Mosca da Berlino, dove era stato curato per un avvelenamento che ha fatto temere per la sua vita e per il quale i principali indiziati sarebbero i servizi segreti russi.
 

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    Troppo caldo, lavoratori in sciopero. 36 gradi nel capannone dove si producono componenti per i condizionatori. Il paradosso è che, in quella ditta, si producono scambiatori di calore, componente fondamentale per gli impianti di climatizzazione. Che però, nei capannoni della Emmegi di Cassano d’Adda, non ci sono. La conseguenza, temperature roventi, che superano i 36 gradi, e condizioni di lavoro inaccettabili. Per questo lavoratori e lavoratrici stanno scioperando, per ottenere almeno un po’ di refrigerio, che però al momento viene negato dalla proprietà, che anzi ha incaricato un consulente per farsi dire che “la temperatura è acettabile”. Maurizio Iafreni è Rsu Fiom alla Emmegi e responsabile della sicurezza: (foto Fiom Cgil)

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