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Rajieen: “sto per ritornare”. Venticinque artisti per Gaza

rajieen

Il video si apre con una carrellata dall’alto su uno scenario di apocalittiche distruzioni, a Gaza; e la canzone, in arabo, comincia così: “Abbiamo dimenticato che sono sulla mia terra, e questo è il mio paese, e nel mio paese sono imprigionato?” Poi iniziano ad apparire i venticinque cantanti che si passano il testimone nel corso degli otto minuti del brano. “E qui – continua la canzone – noi bagniamo il suolo di lacrime e del sangue dei suoi difensori; il nostro paese è nostro, dal mare al fiume” – e per un attimo appaiono dei bambini, attoniti in mezzo alle macerie. “Spesso ci dicono che il domani sarà migliore, ma noi vediamo soltanto oppressione. Tutto quello che abbiamo chiesto, era la libertà di vivere, ma quello che abbiamo ricevuto in cambio sono state la morte e la deportazione”. E più avanti: “Che crimine ha commesso il bambino assassinato che sognava solo un semplice avvenire?”. Chi canta questi ultimi versi è Afroto, una star di rinomanza mondiale dell’hip hop egiziano; ed è una star della musica giordana, Alnajjar, a cantare il ritornello che viene poi ripreso più volte nella canzone: “Ma la chiave della mia casa rimane nel mio cuore, e io sto per ritornare con i miei bambini fra le braccia; anche se tutto il mondo è contro di me, sto per ritornare; mia terra, sto per ritornare”.
Rajieen, questo il titolo del brano, cioè appunto “sto per ritornare”, è stato pubblicato alla fine di ottobre da Empire, etichetta creata dal palestinese Ghazi Shami: disponibile sulle piattaforme anche con sottotitoli in inglese, francese e spagnolo, la canzone ha totalizzato milioni di visualizzazioni, con ricavati destinati a sostenere il Palestine Children’s Relief Fund. Il video, che alterna i cantanti con immagini di distruzione e morte a Gaza, ma anche altre, che rappresentano idealmente il futuro, e la continuità della identità palestinese, con bambini di Gaza che giocano, stato realizzato in Giordania. Afroto e Alnajjar non sono le uniche grandi star fra i venticinque giovani artisti mediorientali e nordafricani che si sono prestati per Rajieen: per esempio l’unica fra le cantanti a portare il velo, Ghaliaa Chaker, è una popolare artista siriana che vive negli Emirati Arabi Uniti, che su richiesta dell’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite ha creato una ninna nanna pensata per i bambini che si trovano nelle zone di guerra, che ha scritto sulla base dell’esperienza della sua famiglia e di siriani suoi conoscenti. I giovani cantanti, alcuni di origine palestinese, che hanno dato le loro voci e i loro volti per Rajieen, hanno tutti molto seguito, e in loro si riconoscono tanti ragazzi e ragazze delle ultime generazioni del mondo arabo e della diaspora araba. Molti dei cantanti e delle cantanti portano intorno al collo o sulle spalle la kefiah palestinese. L’effetto corale della canzone e del video è molto forte: Rajieen è sintomatica dell’emergere e del consolidarsi di una opinione pubblica giovanile araba globale, in grado di contrastare la narrazione sul conflitto israelo-palestinese che è stata fin qui dominante e che mostra in questa crisi di perdere colpi. Una delle strofe di Rajieen domanda: “Dove sono le nazioni arabe? È tempo di alzarsi!”; e in uno dei passaggi più forti la canzone dice sarcasticamente: “Mi spiace di non essere ucraino, mi spiace che la mia pelle non sia bianca, mi spiace per i miei bambini, mi spiace di avervi portato in un mondo ipocrita e ingiusto”. Dopo otto minuti il video si conclude con la scritta in inglese “We will return”, ritorneremo.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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