Il suo ex datore di lavoro è stato assolto dall’accusa di violenza sessuale perché durante lo stupro lei non ha urlato, ma si è “limitata” a dire basta. Secondo le giudici, non ha avuto una reazione “appropriata” alla violenza.
Ora la donna dovrà rispondere anche di calunnia, passando da parte lesa ad accusata.
La sentenza emessa dalla giudice Diamante Minucci e da due colleghe del tribunale di Torino ha causato le proteste delle associazioni antiviolenza. Il 12 aprile la rete Non Una Di Meno ha promosso dei presidi davanti al Tribunale di Torino e ai palazzi di Giustizia di altre città, inclusa Milano.
Il presidente della Sezione autonoma misure di prevenzione del tribunale di Milano Fabio Roia, che da molti anni si occupa di violenza contro le donne, ha avuto modo di leggere le motivazioni della sentenza e non le condivide.
“La decisione va accettata, questo è un principio di diritto perché se non accettiamo le decisioni delle sentenze crolla il sistema istituzionale”, ha premesso il magistrato. “Non condivido però la motivazione” perché secondo il tribunale “ci dovrebbe essere un catalogo del comportamento della vittima della violenza sessuale. E chi giudica e lavora su questo terreno sa che questa è una affermazione totalmente sbagliata. Ciascuna donna ha diritto a esprimere il proprio trauma in maniera diversa”.
Roia, che si occupa anche di formazione dei colleghi sui temi della violenza di genere, ritiene che sarebbe utile istituire collegi giudicanti specializzati sui reati contro le donne, e affiancare criminologi che siano in grado di valutare la pericolosità degli indagati quando ci sono delle denunce perché spesso – ha spiegato – “il giudice non ha gli strumenti che gli permettono di delineare un profilo del maltrattante o del violento”.
Tornando alla sentenza, nelle motivazioni si legge “che la donna non ha manifestato quei sensi di sporco o inadeguatezza che normalmente le vittime presentano: questo non è un argomento assolutamente accettabile e condivisibile”, ha sottolineato Roia.
Ma la cosa che sembra più grave al magistrato milanese “è che non solo c’è stato un vaglio di inattendibilità del racconto della donna – il che se la donna ha subito una violenza crea un trauma istituzionale, questa sarebbe una violenza istituzionale – ma il fatto che il tribunale l’abbia ritenuta responsabile di calunnia – cioè ha rilavato una notizia di reato per cui ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica, e questo mi sembra veramente eccessivo”, ha concluso Fabio Roia.