
Morire di lavoro, sul lavoro, andando al lavoro. Non si smettono di contare i decessi: solo nelle ultime 24 ore, sono otto le persone che hanno perso la vita mentre svolgevano il proprio mestiere. Non importa essere volontario o dipendente, collaboratore o libero professionista, non conta vivere a Nord o a Sud: l’Italia ha un problema, sempre più grave, con la sicurezza sul posto di lavoro e nessuna tragedia sembra scalfire davvero quello che è a tutti gli effetti un immobilismo della politica.
Misure di sicurezza blande, corsi di formazione mai davvero frequentati, contratti al limite della legalità e una generale noncuranza di imprenditori, lavoratori e istituzioni contribuiscono a creare il terribile scenario descritto dalI’Inail nel suo ultimo rapporto: tra gennaio e giugno 2025 sono state presentate 495 denunce per morti sul lavoro; nello stesso periodo di un anno fa, la conta si fermava a 462. Trentatré vittime in più, registrate soprattutto nel tragitto casa-lavoro, che corrispondono a vite spezzate e a famiglie distrutte, alle quali va il solito cordoglio istituzionale su cui, a poche ore di distanza, si richiude un atteggiamento di forte indifferenza, in un silenzio che si spezza solo di fronte a un nuovo incidente mortale. Un circolo vizioso, questo, che vale per i quattro operai di Napoli caduti da 20 metri di altezza a causa del cedimento del montacarichi su cui si trovavano; vale per i due colleghi di origine egiziana che ieri, nel Veneziano, sono deceduti probabilmente a causa delle esalazioni tossiche emanate dalla cisterna che stavano pulendo; vale per chiunque resti vittima del proprio lavoro. Ogni volta ci si indigna e si resta attoniti, eppure nulla cambia e la strage sembra non avere mai fine: da Nord a Sud, nella piccola come nella grande azienda, a essere calpestato è il diritto dei lavoratori di tornare a casa sani e salvi.
di Viviana Astazi