La Presidente del Consiglio Meloni replica Cernobbio all’Assemblea generale di Confindustria. Gratitudine degli industriali per quanto dato dal governo, risultati mirabolanti snocciolati. Poco altro su quanto chiede Confindustria, nulla in particolare sulla richiesta di scaricare sulla spesa pubblica il costo della casa per lavoratori che si trasferiscono, che le aziende non voglion pagare, nemmeno sottoforma di salari più alti. Al di là del nucleare, ad oggi uno slogan, la vera partita che preme gli industriali è la transizione.
Orsini lo aveva detto fin dal discorso di insediamento. Su questo, trova terreno fertile col governo, ma l’asse è solido anche col sindacato, ribadito nell’incontro col segretario Cgil Landini alla festa del Fatto. Con termini diversi, ma il concetto è lo stesso: il Green Deal non s’ha da fare, almeno con questi tempi. Posizione che vede convergere interessi diversi: quello ideologico del governo, quello del sindacato nel timore di perder posti di lavoro, e quello delle imprese che non voglion pagarne i costi.
Qui pesa il contesto del sistema produttivo italiano: dove i dati ci dicono che le imprese riescono a tenere livelli di profitto più alti che in altri Paesi europei grazie sostanzialmente al basso costo del lavoro e ai sussidi statali. In un tessuto caratterizzato dal nanismo di impresa, gli investimenti per la transizione sono visti solo come costi. Persino se finanziati, vedasi il fallimento di Industria 4.0. E così si mantiene un sistema poco produttivo, dove l’industria arretra costantemente ma campa bene anche senza innovare.
Il contesto è difficile, ed anche chi ha investito nella transizione non se la passa bene, l’industria dell’auto e la recente crisi di Volkswagen ad esempio. Ed anche in Europa il tema non scalda più così tanto i cuori. Resta il solito tema: l’assenza di una guida di politica industriale che lascia tutto in balia delle ondate del mercato, che diventano burrasca nel fragile sistema italiano. Ma che tutto sommato alle imprese sta bene così com’è.