
Fare presto. Fare presto è quello che hanno in testa molti repubblicani che da Washington seguono lo svolgersi delle primarie. Dopo settimane passate ad arrovellarsi su come bloccare Donald Trump e Ted Cruz e la marea montante dell’antipolitica, i leader del G.O.P. hanno visto la luce. La luce si chiama Marco Rubio ed è su Marco Rubio che il partito, a questo punto, scommette.
L’Iowa, per i repubblicani, ha portato una buona e una cattiva notizia. La cattiva notizia è la conferma che larghi settori dell’elettorato conservatore nutrono pochissima considerazione, in certi casi anche aperto disprezzo, per i loro leader di Washington. “Sono disgustato – ci diceva alcuni giorni fa a un comizio Mike Power, un sessantenne del Texas, ingegnere aerospaziale in pensione -. Sono disgustato. Li abbiamo votati, gli abbiamo dato la maggioranza alla Camera e al Senato, e non hanno fatto niente”.
L’ira per una leadership che ha promesso tanto e realizzato poco, che ha combattuto Barack Obama ma non lo ha davvero neutralizzato, si è saldata alle paure per il mondo che cambia, al fascino populistico delle risposte semplici ai problemi complessi, e ha prodotto Donald Trump. E ha prodotto, in fondo, anche Ted Cruz, altro bravissimo a sferzare la sua classe dirigente e a suscitare rivolte contro le élites – non a caso proprio Ted Cruz è stato in questi anni uno dei beniamini del Tea Party.
L’Iowa ha così confermato la cattiva notizia. Gli “antipolitici” Donald Trump e Ted Cruz detengono un posto importante nel cuore di molti elettori repubblicani. Dall’Iowa è venuta però anche una consolazione. E cioè il terzo posto di Marco Rubio, 44 anni, senatore della Florida, manifesto vivente del “sogno americano”, con un padre barista e una madre cameriera d’hotel, entrambi esuli cubani a Miami con tante speranze, una tenace fede cattolica e, a un certo punto, quattro figli da mantenere.
Tra cui appunto Marco, che sin da ragazzo si mostra capace e che grazie a una serie di borse di studio e prestiti si laurea in legge e a soli 28 anni inizia una brillante carriera politica, prima alla Camera della Florida e poi, a partire dal 2010, al Senato di Washington. Il ragazzo è appunto brillante e sa come farsi strada. Per esempio, abbellendo la storia dei genitori esuli. I suoi lasciarono Cuba nel 1956, durante la dittatura di Batista, ma Rubio ha spesso detto che la lasciarono nel 1959, dopo l’ascesa di Fidel Castro. Beccato in castagna, ha spiegato che “non sono importanti le date. È importante che i miei genitori siano venuti in America e abbiano deciso di restarci”.
Rubio è stato in questi anni a Washington uno dei senatori più in vista. Lo hanno aiutato la giovane età, la capacità di scegliere amicizie e circoli giusti – come capo staff ha assunto Cesar Conda, ex consigliere del vice-presidente Dick Cheney – e un conservatorismo duro, radicale, che lo ha fatto brillare in tempi di spostamento a destra dell’asse politico repubblicano. Rubio è per una presenza militare attiva degli Stati Uniti nel mondo, è contrario all’aborto, anche in caso di stupro o incesto, pensa che il riscaldamento climatico non sia responsabilità degli uomini, vuole tagli alle tasse e meno regolamentazioni federali per il business.
L’unica area su cui, in passato, ha mostrato qualche apertura è stata l’immigrazione. Rubio ha fatto parte della “Gang of Eight”, il gruppo di senatori bipartisan che ha scritto una riforma che avrebbe offerto un percorso verso la legalizzazione per milioni di migranti. Sentendo avvicinarsi la campagna per la presidenza, e fiutando l’aria, Rubio ha però rinnegato il lavoro fatto e ora chiede confini chiusi e sicuri.
È con questa storia di conservatore senza macchia, ma non becero, non vicino ai tanti Tea Parties e alle spinte populistiche che hanno frantumato il partito in questi anni, che Rubio si presenta alle presidenziali 2016. Ed è con questa storia che è riuscito a piazzarsi terzo ai caucus dell’Iowa. Noi l’abbiamo visto all’opera in un comizio a Urbandale, poco prima del voto. Un aspetto giovane, forse anche più giovane dei suoi 44 anni, l’apparenza acerba, creata forse dalla voce di tenore e dalla frequenza di battute semplici, da universitario alle prime armi, seguite da piccoli scoppi di riso, che gli fanno inarcare le spalle. Sui fondamentali, Marco Rubio sa però come piacere al suo pubblico.
A Urbandale, come ovunque in Iowa e ora in New Hampshire, Rubio ha insistito su una difesa militare forte, sull’opposizione alla sanità di Obama, sul “disastro” che sarebbero altri quattro anni di amministrazione democratica, sulla necessità di “riprendersi il Paese”. E, implacabile, è tornata la storia del figlio di un bartender, di un barista cubano esule in America che può ora diventare presidente degli Stati Uniti “un Paese diverso da qualsiasi altro al mondo”.
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È su quest’uomo, e questa storia politica e privata, che il partito di Washington punta. Rubio garantisce alla macchina tradizionale del partito una serie di cose importanti. Non è toccato dalle spinte dell’antipolitica; anzi, ha sempre saputo come muoversi all’interno della macchina e sa coltivare amicizie e relazioni con il potere più consolidato (il suo “maestro” politico, in Florida, è stato proprio Jeb Bush). D’altra parte la giovane età e il corso ancora piuttosto breve della sua carriera politica lo mettono al riparo dall’aria di vecchio e di compromesso che ormai intasa le stanze di Washington. La sua storia politica potrebbe poi permettergli di mettere insieme le tante “anime” del conservatorismo. Rubio può piacere ai vecchi repubblicani reaganiani, all’ala più liberista e a quella religiosa – negli ultimi comizi si è messo a parlare spesso del suo rapporto con Dio. Il fatto di essere ispanico potrebbe poi avvicinare al G.O.P. una fetta importante di elettorato, che sinora ha votato compatto per i democratici.
La sensazione che i leader più stagionati hanno scelto proprio lui, Marco Rubio, è venuta nelle ultime ore da una serie di dichiarazioni e segnali importanti. Ha parlato per esempio Josh Holmes, ex-capo staff del leader del Senato, Mitch McConnell: “Marco Rubio, per la prima volta, controlla in pieno il suo destino. Se ottiene un buon risultato in New Hampshire – ha spiegato Holmes – è difficile non immaginare che il sostegno dietro di lui comincerà a consolidarsi”. Nelle ultime ore è poi arrivata la notizia che il senatore del South Carolina, Tim Scott, il solo afro-americano tra i repubblicani del Senato USA, ha ufficialmente appoggiato Rubio – e così potrebbero fare, nelle prossime ore, altri politici in vista. L’ascesa di Rubio ha allarmato gli altri candidati moderati e di apparato del partito. Il team di Jeb Bush si è precipitato a rassicurare i finanziatori della campagna, spiegando che Bush prevede di vincere in New Hampshire e poi consolidare il suo vantaggio. Proprio Jeb Bush ha poi definito Rubio “uno senza grande esperienza di vita”. E Chris Christie, altro candidato di lungo corso, ha detto che Rubio è “un ragazzino che vive in una bolla”.
Probabile che attaccare l’età non sortisca grandi effetti in un Paese come gli Stati Uniti. Ma la leadership del partito ha comunque fretta, fretta di sopire le polemiche nel fronte moderato, consolidare la posizione di frontrunner di Rubio, farla finita con gente come Trump e Cruz. Se il gioco riesce, i repubblicani USA avranno come candidato per il 2016 un conservatore duro, un politico furbo, un giovane uomo con cui il potere di Washington può pretendere di aver realizzato quel cambiamento che il suo “popolo” chiede.