Un gruppo di ragazze si affaccia al balcone di una palazzina di Rue Paradis e inizia a cantare La Marsigliese con passione e trasporto. Quando finiscono, si apre una persiana cigolante:
“Faites du silence! Il ya des gens qui dorment!”. La normalità è anche una donna anziana che protesta con delle ragazzine rumorose. Loro chiedono scusa e tornano nell’appartamento, alla loro festa del sabato sera.
Alle 23 del giorno dopo la strage, la Promedade des Anglais viene riaperta. I poliziotti spostano le transenne e invitano con gentilezza le persone a tornare sui marciapiedi. Quello centrale, di fronte a Place Massena, è un altare laico. Una immagine che abbiamo imparato a conoscere, nelle città colpite dal terrorismo. A Nizza è piccolo, pochi metri quadrati di candele, mazzi di fiori, pupazzi e biglietti:
“Nous vaincrons sur la haine”. Vinceremo sull’odio.
In migliaia per tutto il giorno e per tutta la notte celebrano, davanti a quel piccolo altare, una cerimonia non confessionale. Si avvicinano a turno, restano in silenzio per qualche istante, se ne vanno. Qualcuno si accovaccia e accende un’altra candela, o scrive. Quasi tutti raccolgono una immagine con lo smartphone. Poco più avanti sulla Promenade, accanto al punto dove il camion è stato fermato dai colpi della Polizia c’è un altro angolo. Fiori, bandiere, frasi del dolore e della commozione in tutti i caratteri: latini, cinesi, arabi.
Nizza è una città multietnica, e continuerà a esserlo, dicono quei biglietti, e oggi si abbraccia nel punto dove un ragazzo che avrebbe potuto essere qui ed essere parte della vita ha deciso di scatenare l’odio.
Nizza vuole continuare a essere una città aperta. Un giovane dai lineamenti mediorientali discute del Corano con un signore dai tratti nordici.
“Noi vinceremo sull’odio”. In silenzio. La compostezza è la cifra della reazione della città. I soli rumori sono prodotti dalle troupes televisive, a decine, da tutto il mondo, e dagli aerei in atterraggio che passano sopra le teste.
Dietro la Promenade si aprono le strade dei negozi e dei bistrot. I tavolini pieni, l’aperitivo, la musica un po’ più bassa del solito, un tricolore a lutto. Qualcuno tiene chiuso per “Les évenéments”, gli avvenimenti. Mentre in Italia si urla sui social -fino a quando la Turchia regala nuove emozioni facendo scordare Nizza- qui anche nel linguaggio la risposta è la sobrietà. Significa dolore, orgoglio, forza. Significa consapevolezza che da domani i problemi saranno più urgenti in una città che appartiene all’immaginario di generazioni di europei, sogno di piccola mondanità, ma è allo stesso tempo la città che ha generato il maggior numero di Foreign Fighters di tutta la Francia, è la capitale di una regione roccaforte del Front National, è una città dove il luccichio della Promenade non nasconde le tensioni.
“Conversazione a Nizza”, le statue al led di Jaume Plensa che rappresentano l’uomo che medita su se stesso in Place Massena, oggi sono il simbolo di Nizza e di tutto il Continente. Sotto di loro non si ferma la vita. Il passeggio, Les Galeries Lafayette, le coppie sulla spiaggia, i locali internazionali.
Un ristoratore indiano mi accoglie parlando in francese e quando scopre che sono un giornalista italiano passa all’inglese: “Correvano da tutte le parti, sono entrati anche da me, abbiamo soccorso i feriti. Era l’inferno. Le persone scappavano nei vicoli e hanno rischiato di schiacciarsi nella calca”.
“Si tornerà alla vita di prima?”
“Non lo so. Non lo so.”
Si cerca un senso. Ci si chiede se le candele accese, raccolte una accanto all’altra nella notte di Nizza sul luogo della strage, forse, rappresentino un senso. O se il senso stia nei cartelloni della segnaletica autostradale che salutano gli automobilisti dopo il confine di Ventimiglia: “Liberté, Egalité, Franternité”