
La Grande Bellissima Legge è passata solo grazie al voto di J.D. Vance. 51 a 50 il risultato finale. Vance è arrivato al Congresso all’alba, quando ha compreso che le minacce di Donald Trump non erano riuscite a convincere la pattuglia dei senatori repubblicani dissidenti a cedere alla disciplina della Casa Bianca. Per La Costituzione USA, il vice presidente è il presidente del Senato e può partecipare alle votazioni in cui risulta decisivo. Detto, fatto. Per Trump, una vittoria, ma non un trionfo, come invece sperava. Susan Collins del Maine, Thomas Tillis della North Carolina e Paul Rand del Kentucky hanno votato contro. Le pressioni e le promesse hanno convinto invece la quarta ribelle, Lisa Murkowski, dell’Alaska, a votare a favore. Aveva il potere di affossare la legge. Non l’ha fatto. La Grande Bellissima Legge rappresenta l’ennesimo colpo a favore di Trump, dopo la sentenza della Corte Suprema sui poteri del presidente, ma soprattutto imprime un cambiamento di direzione del paese rispetto soprattutto alle politiche fiscali adottate finora. Rende strutturali nel corso del tempo i tagli fiscali per i più ricchi approvati nel primo mandato di Trump con la prospettiva di aumentare il debito per la cifra monstre di 3000 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni. Una prospettiva che inquieta molti analisti, alcuni dei quali parlano già di una possibile crisi del debito.
La Legge prevede tagli a Medicaid, il programma di aiuti alle famiglie e alle persone meno abbienti per avere un’assicurazione sanitaria, introdotta nel 1965 da Lyndon Johnson, incide sull’Obamacare, la riforma sanitaria del 2010, colpisce l’industria delle energie rinnovabili. I fondi invece andranno alle spese militari e alle politiche contro l’immigrazione. Mai in passato un legge con così forti conseguenze sulle casse dello stato e sui cittadini era stata approvata senza un accordo bipartisan. Ma l’America di Trump non guarda in faccia a nessuno. E questo è ormai molto chiaro a tutti.