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La disfida dei murales: Città Studi contro Esselunga e Cattelan?

Murales - Città Studi - Esselunga

45 anni dopo sono tornati in piazza, alcuni in realtà non se n’erano mai andati visto che le loro case ancora si affacciano su questo scorcio di periferia. Allora, era l’inverno del ’77, c’era anche Radio Popolare con la sua diretta e un “giornalista” con accento sudamericano a raccontare la festa di quartiere di uno dei tanti collettivi spontanei che sorgevano un ovunque, almeno fino all’arrivo della polizia. Siamo in Largo Murani, in fondo a Città Studi, dove sta andando in scena uno dei più contemporanei conflitti urbani: l’eterna lotta sul chi fa la città, chi la compra o chi la vive? Un tema esasperato in questi anni di eventi, rigenerazioni, ripensamento della città a miglior impatto umano e basso costo pubblico. La disfida è quella dei murales e vede da una parte i non più giovani che li realizzarono, insieme a cittadini, comitati come “salviamo città studi” e battaglieri protagonisti della vita del quartiere come la ex assessora alla cultura Rossella Traversa. Dall’altra parte due super big: EsseLunga e Maurizio Cattelan, l’artista, con la sua rivista, progetto e squadra chiamata Toilet Paper.

45 anni fa appunto in questa piazza un gruppo di ragazzi del quartiere, senza sigle e appartenenze (non erano circoli proletari giovanili o comitati, giusto lo spontaneismo degli amici delle panchine) decidono di fare un festival come si deve: musica, mostre e performance per due giorni. E lo fanno. Costruiscono una specie di aerostato (una mongolfiera) in mezzo alla piazza per ospitare una mostra con le foto dai viaggi nel mondo che tanti di loro facevano tra autostop e inter-rail e un progetto di murales come si usava in tanti quartieri del mondo. Chiedono il permesso ai padroni di “Io e il Legno” per appoggiarsi ai loro muri, sembra che ebbero anche una mano dal primo emporio del bricolage di Milano. E cominciano a disegnare tra bozzetti e discussioni.

Il primo murales approvato è capo Wolf un indiano in puro stile prateria urbana come ce n’erano di bellissimi (e non ci sono più, per grande stupidità e insipienza) nella vicina via Sismondi, via Negroli e in Piazza Insubria. Si prosegue con Jimi Hendrix in memoria del primo e unico concerto a Milano del dio della chitarra nel maggio 1968, poi con un’altra citazione musicale la copertina dell’album Atom Heart Mother dei Pink Floyd, con la mucca in leggero rilievo dal muro che si volta e ti guarda; e infine col sole che ride e dice “energia nucleare no grazie”, probabilmente il primo simbolo della lotta antinucleare in Italia visto che, ci racconta Easy l’animatore del gruppo d’allora, il simbolo l’aveva portato dalla Germania uno dei ragazzi (per la cronaca il simbolo nasce in Danimarca nel 1975, le prime manifestazioni antinucleari in Italia proprio nel 1977 a Montalto di Castro “per riprendersi la vita” o per una “festa di primavera” come dicevano gli indiani metropolitani e il simbolo diventerà noto al grande pubblico nelle elezioni del 1985 grazie ai Verdi).

La festa finirà due giorni dopo con la polizia a svegliare i quattro rimasti a dormire in piazza e multare Easy per 250mila lire (una fortuna allora per cui si fece una colletta), era l’unico maggiorenne presente. Dopo due anni i murales furono completati e firmati dal sedicente Gruppo Aerostatico: un nome inventato sul momento per ricordare la festa e che resterà senza repliche oltre quel muro. Ai murales si aggiungerà dieci anni dopo un cormorano sporco di petrolio con la Exxon Mobil sullo sfondo che sta colando a picco. E nel corso dei decenni alcuni di quei ragazzi continueranno a mantenere e restaurare quei murales. Tanto che chiunque sia passato da Largo Murani li ricorda.

Le scelte di quei ragazzi anticipano di decenni i temi che oggi sono di grande sensibilità popolare ed è anche per questo che in tanti li vorrebbero difendere e mantenere. Sono arte pubblica e politica. Gli antesignani della street art che oggi va tanto di moda tra aste miliardarie e tour urbani. Ma qui c’è Esselunga di mezzo che ha già provveduto a impacchettare i muri dell’ex emporio per costruire il suo ennesimo supermercato a Milano (che ha fatto la fortuna della famiglia Caprotti). Dicono che i murales non sono recuperabili, con tanto di perizia, che faranno una mostra, un ricordo per i cittadini e che per “compensare” il quartiere hanno commissionato al collettivo Toilet paper guidato da Cattelan (l’artista) un qualcosa di creativo e colorato. Arte attuale. Di quella pagata dai mecenati per dare valore agli edifici e ai quartieri, così poi anche le agenzie immobiliari possono segnalarle negli annunci e tirare un po’ sul prezzo.

Tutto il contrario di quello che è la storia di questi murales, di questa piazza, di quelle persone. Ovviamente il tempo è passato e chi se lo ricorda più “godere operaio” e le tante provocazioni alla ricchezza e al moralismo che i giovani dei quartieri delle periferie si inventavano mentre cercavano di dribblare il lavoro a cottimo e l’eroina in cambio di qualche sogno metropolitano. Oggi domina il valore e l’efficienza e quei ragazzi hanno perso. Lo sanno. Si vede dai loro volti. Al massimo, si può introdurre una mitigazione ambientale. Basta che la paghi la collettività. E invece no. Alcune donne, vecchie e nuove abitanti, hanno detto che non dovrebbe finire così. E chi se ne frega di Cattelan se non è in grado di capire, proprio lui, cosa sta succedendo in questa piazza. Che arte è quella che è al servizio degli scaffali?

Cosa ci vorrebbe – per Cattelan ad esempio, ma anche per Esselunga – rifare quei murales sui muri nuovi o chiamare la piazza a immaginare i murales di oggi. Immaginare, restituire, partecipare. Cioè essere parte e non padrone dello spazio pubblico. Perché il conflitto è proprio su chi determina lo spazio pubblico: chi si compra l’immobile che si affaccia o chi abita quello spazio? Il Municipio sarebbe coi cittadini della piazza e media come può, il comitato sogna di poter dialogare con il gigante Esselunga che magnanimo deciderà cosa gli conviene. Se questa è la democrazia urbana, assomiglia molto al mercato e la politica è ridotta a esserne il facilitatore.

 

 

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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