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“Je suis Cappuccino”

“L’Africa è lontana vista dalla luna”, cantava il grande Sergio Endrigo (Perché non dormi fratello?, 1968): e noi continuiamo ad essere la luna. Ancora turbati dal 13 novembre di Parigi, gli attacchi jihadisti a Bamako del 20 novembre e a Ouagadougou di venerdì 15 gennaio ci hanno fatto sentire per il breve spazio di qualche ora vicini al Mali e al Burkina Faso, che sono poi però rapidamente tornati tanto distanti.

La riprova? Nella capitale del Burkina Faso il commando jihadista ha colpito l’hotel Splendid ma anche il caffé-ristorante Cappuccino: nell’azione dei terroristi, assieme alla madre Victoria, cittadina ucraina, è rimasto ucciso anche un bambino, Michel Santomenna, nove anni, italiano, figlio del titolare del locale, Gaetano Santomenna. Ma neanche la morte di un bambino italiano è sembrata capace di suscitare una particolare emozione intorno a quanto accaduto a Ouagadougou, nome storpiato in modo imbarazzante da tanti speaker televisivi e radiofonici: note, dichiarazioni, tweet di circostanza del capo dello stato, del presidente del consiglio, del ministro degli esteri, poi il Burkina è subito tornato un altro mondo, compresi gli italiani che vi risiedono.

E dov’è finita tutta la solidarietà di “Je suis Charlie”, “Je suis Paris”? Qualcuno non ha pensato di lanciare “Je suis Cappuccino”?

Sì, ci hanno pensato a Ouagadougou, dove sabato 23 gennaio, alle 19.40, l’ora dell’inizio dell’attacco jihadista, una manifestazione-happening si è svolta sull’avenue Kwameh N’Krumah all’altezza dello Splendid e del Cappuccino, dove con i lumini è stata disegnata sull’asfalto la carta del Burkina Faso. L’iniziativa, per dire no al terrorismo e rendere omaggio alle vittime, e promossa attraverso i social network, è stata del manager musicale Walib Bara e della giornalista Raïssa Compaoré. Il messaggio proposto dagli organizzatori e dai partecipanti: “continueremo a bere Cappuccino in un Burkina Splendido”; sulle magliette: “Je suis Splendid”, “Je suis Cappuccino”. Il proprietario di un ristorante accanto al Cappuccino ha aperto il suo locale e ha offerto caffè.

La sera prima della manifestazione, esattamente ad una settimana dall’inizio dell’attacco, Bill Aka Kora, chitarrista e batterista, e Ousmane Boundaoné , impresario di spettacolo nel campo della musica e della danza, sono intervistati dalla stessa televisione del servizio precedente, droitlibre.tv, in avenue Kwame N’Krumah, dove sono tornati a bere un bicchiere. “ E’ impossibile non avere dei brividi ad essere qui – dice Bill Aka Kora – ma sono contento di esserci perché bisogna resistere, bisogna vivere. In una terrasse come questa, noi in Burkina le chiamiamo maquis, ci si trova per una birra, si mangia del pollo e siamo contenti, è la nostra vita, e dobbiamo restare noi stessi”. “Non abbiamo paura, perché alle avversità siamo abituati – continua Ousmane Boundaoné – e a chi ha fatto questo dobbiamo dire che succeda quel che succeda saremo qui. Le anime di chi è caduto riposino in pace, e noi che siamo vivi continueremo a vivere contro questa barbarie. Dobbiamo proteggere noi stessi proprio stando in piedi e continuando la nostra vita, bevendo una birra o un cappuccino nei nostri quartieri”.

Intanto un collettivo di musicisti burkinabé ha realizzato una canzone per far sentire la propria voce contro il terrorismo jihadista e ricordare le vittime dell’attacco del 15 gennaio scorso: titolo Tu te trompes, “Ti sbagli”.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    "I Grant You Refuge": è il titolo di una mostra ospitata alla Biblioteca Sormani di Milano fino al 6 dicembre. Sono le toccanti fotografie di un collettivo di sei fotografi palestinesi che permettono di vedere attraverso il loro sguardo ciò che è accaduto a Gaza. Alcuni di loro sono stati uccisi, altri minacciati, come Shadi Al-Tabatibi, che è stato costretto a fuggire in Egitto e ora si trova in Italia. Tiziana Ricci lo ha incontrato davanti alle sue fotografie.

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