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In coda al “vaccinodromo” francese, aperto sette giorni su sette

vaccinodromo

Davanti ai cancelli dello Stade de France di Saint Denis, a nord di Parigi, il flusso di persone è scaglionato ma costante: uno dei più importanti vaccinodromi francesi ha aperto le porte martedì scorso sotto le tribune del centro sportivo con l’obiettivo di fare almeno 10 mila iniezioni a settimana. Qui si vaccina sette giorni su sette, dalle 9 alle 20, a un ritmo di 2000 dosi al giorno. All’ingresso dei ragazzi con la pettorina verde e la scritta “Centro di vaccinazione dell’Ile de France” chiedono i documenti: si entra solo su appuntamento e se si ha più di 60 anni. Chi ne ha meno deve far vedere la ricetta del medico e se non ce l’ha viene invitato a cambiare cancello per parlare con un dottore, prima di mettersi in fila.

L’organizzazione, un po’ caotica all’apertura, è stata rapidamente migliorata. Le code vengono spezzettate tra fuori e dentro per evitare assembramenti e le persone a mobilità ridotta vengono direttamente accompagnate in uno spazio riservato. Gli altri devono pazientare. Ci vuole anche un’ora per poter scendere nel largo corridoio sotto le tribune dove la croce rossa e i pompieri hanno installato il centro vero e proprio. La procedura è molto ordinata: si parla con una segretaria e poi si va a destra o a sinistra, a seconda se si fa Moderna o Pfizer. AstraZeneca qui non è contemplato perché si è preferito concentrarsi sui due vaccini che sono un po’ più complicati da conservare. Si fa un’altra coda, questa volta molto rapida, si entra in un gazebo di plastica e si esce dall’altro lato dove si aspetta, seduti tranquilli, di sentirsi chiamare da un’infermiera che consegna un prezioso foglio di carta: la prova ufficiale della vaccinazione.

Bernadette ha 60 anni e non ha dubbi: se vogliamo riprendere una vita normale dobbiamo vaccinarci. Lei lo avrebbe fatto anche subito ma dopo tre settimane di attesa il suo medico non aveva ancora ricevuto neanche una dose. Quindi, anche se vive dall’altro lato della capitale, ha preferito prenotare allo Stade de France trovando facilmente un appuntamento. In fila sono in tanti come lei. Persone che vogliono vaccinarsi e cercano attivamente il modo di farlo. Anche Katia, 47 anni, un antecedente di cancro al seno, ha fatto tutto da sola. Anche lei non riusciva a trovare posto vicino a casa ma una volta preso l’appuntamento qui è filato tutto liscio. Più che per convinzione, Katia si vaccina per paura di prendere qualcosa dai suoi alunni (è insegnante) e per uscire finalmente da questa crisi, che dura davvero da troppo tempo.

L’impressione diffusa la riassume Louis, uno degli infermieri che si occupa dei pazienti a mobilità ridotta: “le persone non si fanno domande. Non sono preoccupate, sono contente, molto contente. Pare sia un vero sollievo per loro, veramente. Non hanno nemmeno paura dell’ago. Il ritmo di lavoro è costante, vacciniamo un centinaio di persone a testa, ma gli spazi sono puliti, ho anche il tempo di parlare con lei e questo virus è una tale porcheria che è bello potersi rendere utili. In realtà avremmo dovuto partecipare da tempo. Rimpiango il ritardo con cui è partita la campagna, penso che avremmo potuto fare molto molto molto meglio”.

Per ora la Francia ha concentrato la campagna soprattutto sugli anziani, con più del 65% delle persone oltre i 75 anni che ha fatto la prima dose e il 32% la seconda. E in effetti va detto che di vecchietti allo Stade de France praticamente non ce ne sono. Forse anche perché quelli che mancano fanno parte di quella parte di popolazione rimasta un po’ fuori dai radar. Il problema è serio, al punto che il servizio sanitario nazionale ha cominciato a contattare personalmente chi non è stato ancora vaccinato. E non riguarda solo gli anziani. Proprio nella provincia in cui sorge lo stadio, la Seine Saint-Denis, che è la zona più colpite dalla terza ondata di covid, il numero di vaccinati è molto al di sotto della media nazionale.

Marc, 69 anni, lo dice quasi con stupore: la gente di qui non lo sapeva e ne approfittavano i parigini che venivano apposta a farsi vaccinare. Per cercare di invertire la tendenza sono stati creati autobus vaccinali che girano sul territorio e la metà degli appuntamenti allo Stade de France sono riservati alla popolazione locale. A partire dalle 6 e mezza di sera chi abita nella provincia può persino presentarsi senza appuntamento, sperando avanzino delle dosi. Come se non bastasse, il call center che è stato installato dietro le gradinate dello stadio non si occupa solo di ricevere le chiamate di chi vuole fissare un appuntamento o cerca informazioni. La cinquantina di ragazzi assunti part-time è anche incaricata di chiamare attivamente le persone della Seine-Saint-Denis che avrebbero diritto al vaccino. In molti casi non sanno di poterlo fare né come e sono molto felici della telefonata.

Dentro il vaccinodromo insomma, tutto fila liscio. Qualche problema in più c’è fuori dai cancelli, dove arrivano spesso persone senza appuntamento, curiosio abitanti venuti a chiedere qualche informazione. Il timore iniziale del governo, che creare dei mega centri potesse rivelarsi un fallimento come durante l’epidemia di influenza aviaria del 2009, si è ormai dissipato. La campagna vaccinale in Francia sembra essere infine sul binario gusto.

Foto | Stade de France

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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