
Venerdì 29 gennaio 2016, ore 19: a Parigi, in uno Zénith – la grande sala di spettacolo – sold out, si festeggiano 30 ans du raï, in una eccezionale serata che celebra i trent’anni del raï in Francia, datandone l’inizio al festival di quattro giorni completamente dedicato al raï che si tenne nel gennaio dell’86 alla Maison de la Culture di Bobigny, nell’Île de France, la regione di Parigi.
Tre decenni del raï in Francia, la porta attraverso la quale il raï si è diffuso in tutto il mondo (una storia nella quale anche Radio Popolare ha fatto la sua piccola parte, con la prima assoluta di Khaled in Italia alla nostra Extrafesta del 1990, e con Bellemou Messaoud, l’”anello di congiunzione” fra raï classico e pop-raï, arrivato non senza correre pericoli ad Extrafesta ’95 da una Algeria in preda ad una feroce guerra civile).
E’ quel momento storico, del gennaio dell’86, che il megaconcerto di questa sera vuole ricordare: ma nelle circostanze che la Francia e Parigi stanno vivendo vuole anche – naturalmente – dire che, come testimonia la stessa vicenda del raï, musica aperta, dialogante, spregiudicata, che ha pagato il suo anticonformismo fra l’altro con la morte di uno dei suoi massimi protagonisti, Cheb Hasni (assassinato a Orano da un commando integralista nel ’94), mondo arabo-musulmano non è uguale a terrorismo ed oscuratismo.

Nel momento in cui scriviamo non è previsto proprio Khaled, che dovrà decidere se essere il grande assente, o, in omaggio ad una musica nella quale l’improvvisazione ha un grande ruolo, essere invece all’ultimo momento il grande protagonista della serata.
La lista degli artisti che saliranno sul palco dello Zénith comunque è mastodontica, con protagonisti di assoluto rilievo della storia e delle declinazioni presenti del pop-raï (e diversi dei protagonisti trent’anni fa del festival di Bobigny): dal pioniere Bellemou Messaoud a Chaba Fadela, Chaba Zahouania, Cheb Zahouani, Cheb Kada, Cheb Hamid, Cheb Nasro, Cheb Kader, Cheb Bilal, al marocchino Hamid Bouchenak, ai “beur” Raina Raï e Rachid Taha, al rapper franco-algerino Rim’K. Un esercito di partecipanti, per quella che si annuncia come una nuova, grande “battaglia del raï”.
Ma cos’è il raï e come si arriva al festival di Bobigny?
Il raï è un genere musicale che emerge negli anni venti-trenta nella regione di Orano come riflesso, come espressione degli scombussolamenti che hanno investito l’Algeria con la colonizzazione: le interpreti sono donne, le cheikhates, i contenuti sono all’insegna di un realismo crudo, audace, non esattamente da educande, e non da educande è la stessa cifra vocale di queste interpreti, che è impregnata di erotismo. A partire dagli anni sessanta il raï conosce un processo di modernizzazione, che si accelera e accentua a cavallo fra anni settanta e primi ottanta, con la nascita del cosiddetto pop-raï, il raï dei giovani, che a questo punto sono sia donne che uomini, i cheb e le chaba (cheb significa appunto giovane).
Sul piano musicale, il pop-raï, aperto ad ogni genere di influenze, e senza problemi di fedeltà formale, mantiene però un tenace legame con il raï tradizionale: oltre che nella vocalità, questo legame si può vedere per esempio nella larga adozione del sintetizzatore, lo strumento moderno apparentemente più lontano dal passato, ma in effetti quello timbricamente più vicino al raï classico: marchingegno emblematico della capacità del pop-raï di chiudere la cerniera fra tradizione e modernità, identità nazionale e respiro internazionale.
Sul pano dei contenuti, il pop-raï fa tesoro della lezione di realismo delle cheikhates, ma applicandola alla realtà e ai problemi che i giovani vivono in una società che con la guerra di liberazione è uscita sì dalla dominazione coloniale, ma che è bigotta, ipocrita, oppressiva. In pratica il pop-raï sta all’Algeria a cavallo fra anni settanta e ottanta come il rock’n’roll sta all’America degli anni cinquanta: e passando da fenomeno regionale a nazionale, il pop-raï esplode con forza incontenibile fra le giovani generazioni algerine, malgrado le autorità e una parte dell’opinione pubblica algerine lo raffigurino come volgare e corruttore delle giovani generazioni. Le sue prime star sono Chaba Fadela e Cheb Khaled. Benché il raï vada di traverso e molti e venga boicottato da radio e televisione, via via si apre degli spazi, fino ad arrivare al primo festival di raï che si tiene ad Orano nell’agosto dell’85. Intanto il raï comincia a farsi strada anche in Europa, complici le comunità algerina e magrebine in Francia e l’incipiente fenomeno della world music.
Per rievocare il contesto in cui si svolge il festival del raï di Bobigny nel gennaio dell’86 e le dinamiche in cui il raï entra sbarcando in Francia vi proponiamo un passaggio del libro di Marcello Lorrai e Chawki Senouci, La battaglia del raï (Zelig Editore, 1998, pp. 69-71):
L’eco del successo del raï arriva sempre più forte a Parigi, dove nel gennaio ’86, alla Maison de la Culture di Bobigny si tiene, articolato in quattro giorni, un festival completamente dedicato alla musica dei cheb e delle chaba, organizzato da Martin Meissonnier, produttore di Fela Kuti, King Sunny Ade e Ray Lema, e da Djillali Ourak, tunisino (ma la sua famiglia ha partecipato alla lotta di liberazione algerina), già militante della sinistra rivoluzionaria in Francia e futuro manager di Khaled. Libération coglie l’importanza dell’evento, assicura il proprio patrocinio, e non si risparmia. La rassegna è annunciata con due intere pagine, occasione anche per segnalare un altro evento: l’uscita contemporanea in Francia, di pochi giorni in anticipo sul festival, dei primi due Lp di pop-raï, che dopo il debutto in 45 giri e l’esplosione su cassetta arriva alla consacrazione del 33 giri. A tagliare il traguardo assieme sono Khaled con Hada Raykoum e Mami con Ouach Etsalini. Della partita sono Raina Raï, Khaled, Sahraoui, Fadela, Mami e Hamid, cheb romantico, amante del flamenco, molto apprezzato dal pubblico femminile. Dopo altri due ampi servizi di presentazione, alla fine Libération tira le somme del festival con un titolo perentorio: Bobigny ha vinto la battaglia del raï.
In Francia è il momento delle mobilitazioni dei giovani beur, del successo di SOS Racisme e delle sue manifestazioni-concerto (in cui sono già stati coinvolti anche i Raina Raï), di touche pas à mon pote! e dopo quello in cui deve fare i conti con partito unico, benpensanti, fondamentalisti, berberi, per il raï si apre un nuovo scacchiere: “Questo week-end”, esordisce Libération, “Le Pen e i suoi amici devono avere avuto un incubo: arabi, pieno di arabi. Vecchi e giovani, ragazzi e ragazze, grandi e piccoli, grassi e magri. Che parlavano fra loro in arabo e anche in francese, che hanno ballato come dei matti per delle ore, con i loro ragazzi e le loro ragazze, anche con i loro padri e le loro madri e coi loro bambini. Tenevano dei foulard tra le braccia tese, gridavano fino a rompersi le corde vocali. Peggio, c’era anche qualche bandiera algerina. Colmo della provocazione, avevano portato con sé dei francesi, che, più o meno maldestramente, provavano a ballare come loro. Di tanto in tanto, quando le canzoni si fermavano, se ne reclamavano delle altre recitando le sure del Corano. Non sempre per amore del Corano, ma probabilmente solo per una sorta di memoria entusiastica che ricordava l’infanzia e il Paese sull’altra sponda del mediterraneo”. Sabato sera, racconta Libération, la Maison de la Culture di Bobigny si trova costretta a chiudere le porte: dentro duemila spettatori, fuori altre migliaia; un afflusso, dice il giornale, al di là delle più rosse previsioni.
E’ la prima volta all’estero di Khaled, che rischia però di non arrivare a Parigi. All’aeroporto di Orano è bloccato da un doganiere malgrado i documenti siano in regola: scopre di essere ricercato per truffa, sulla base di un dossier confezionato dal suo storico nemico-editore, e solo dopo alcuni giorni di tentativi riesce ad espatriare grazie all’intervento di un pezzo grosso della polizia, riconoscente perché Khaled ha cantato al fidanzamento della figlia. Quello di Bobigny, ricorda Khaled, “è il concerto che mi ha più segnato. C’era un ambiente molto differente, mi sentivo più libero che in Algeria, non mi censuravo. Per esempio ho potuto cantare in scena una canzone che diceva: ‘abbiamo fatto l’amore in una baracca sulla spiaggia’… Alla fine del concerto ho pianto”.