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“Il Nostro Pianeta” è un atto di ecologismo politico

il nostro pianeta

La scorsa settimana, nell’indifferenza quasi generale (almeno per quanto riguarda i media mainstream italiani), le Nazioni Unite hanno diffuso un dettagliato rapporto globale sullo stato di salute della Terra, dalle conclusioni catastrofiche. La distruzione della natura avviene a una velocità terrificante: oggi, metà degli ecosistemi terrestri non esiste più, la biomassa dei mammiferi selvatici è precipitata dell’82% e un milione di specie viventi è a rischio estinzione (tra queste, un terzo delle specie marine).

La responsabilità è quasi interamente umana: lo sfruttamento intensivo ed estensivo di ogni singola risorsa – dice il rapporto – lascia sul pianeta un’impronta talmente larga che non c’è spazio quasi per nient’altro. L’elencazione di fatti e cifre, per quanto sottoscritti e supportati dalla totalità della comunità scientifica, continua però a faticare a smuovere nel profondo l’opinione pubblica, ed esistono studi psicologici che spiegano anche questo: il destino della Terra viene percepito contemporaneamente come troppo grande e troppo lontano nel tempo per riuscire davvero a preoccuparsene.

Un approccio differente è tentato da Il nostro pianeta, o Our Planet in originale, una serie documentaria in otto episodi disponibile su Netflix dall’inizio di aprile: a realizzarla un collaudatissimo team della BBC capitanato dal veterano Alastair Fothergill, già responsabile delle serie Pianeta Terra e Blue Planet, che a partire dall’inizio degli anni Duemila hanno rivoluzionato il panorama del documentario naturalistico. Grazie all’utilizzo di tecnologia all’avanguardia e di camere ad altissima definizione, e di molte troupe di operatori e scienziati sparsi per il mondo per un lungo periodo, la squadra BBC è stata protagonista di straordinarie innovazioni nella ripresa documentaristica e ha consegnato al pubblico immagini sempre più spettacolari di anno in anno, tanto che le ultime stagioni di Pianeta Terra e Blue Planet, nel Regno Unito, sono state un fenomeno nazionale raccogliendo grande successo di pubblico.

Non stupisce che Netflix abbia approcciato Fothergill e soci (compreso il narratore e divulgatore Sir David Attenborough, il “Piero Angela inglese”) per chiedere di confezionare un prodotto simile per il proprio catalogo streaming, lasciando carta bianca e investendo un ingente budget: quel che i documentaristi hanno prodotto, in quattro anni di lavorazione in oltre 50 Paesi con più di 600 operatori coinvolti, approfittando della libertà e della diffusione globale garantita da Netflix è stato per molti versi inaspettato. Il nostro pianeta ha, sì, riprese spettacolari e immagini mai viste prima, come quelle di una rarissima tigre siberiana, di delfini che cacciano in maniera coordinata, di oranghi che si procacciano il cibo utilizzando una sorta di utensili.

Ma è anche un atto di ecologismo politico, esplicitando in modo diretto che quelle che stiamo guardando non sono solo “meraviglie della natura” ma anche, potenzialmente, le ultime registrazioni di un mondo in via di sparizione: ci sono sequenze strazianti che la BBC (timorosa di un prodotto “troppo deprimente”) non avrebbe mai trasmesso, ma soprattutto c’è la descrizione accurata, supportata da immagini ineludibili, di come tutto, sul nostro pianeta, sia collegato in un equilibrio intricatissimo e fragile, in una rete di co-dipendenza che stringe anche noi. Per dirci che, sì, siamo responsabili del disastro ambientale che si sta consumando, e ne stiamo già pagando le conseguenze; ma anche che non è ancora troppo tardi e che ogni gesto, anche il più piccolo, può servire a qualcosa, può avere conseguenze inaspettate.

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    Alice Cucchetti
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    Carceri: meno rieducazione e più punizione

    Niente autorizzazione per “la squadra di rugby del carcere di Livorno, il corso di scrittura nel carcere di Parma, una serie di attività di Ristretti orizzonti nel carcere di Padova…”, così Susanna Marietti coordinatrice nazionale di Antigone (e da 16 anni voce di Jailhouse Rock il lunedì sera su Radio Popolare) racconta i primi effetti del passaggio al Ministero delle richieste di attività trattamentali (laboratori, corsi, formazione) che prima erano nelle disponibilità delle direzioni degli istituti carcerari. Una scelta del Governo che sta ridisegnando il sistema carcerario: “Tassello per tassello si compie la visione di un carcere chiuso, è la stessa idea di carcere che troviamo nel reato di rivolta penitenziaria [che punisce anche le proteste nonviolente, N.d.R.]: stai zitto, obbedisci agli ordini e non rivendicare mai i tuoi diritti”. Nessuna funzione rieducativa. Ascolta l’intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia a Susanna Marietti.

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    Lo stato dell’economia italiana. Il caso Italia è «un esempio per l’Europa», come ha scritto sul Financial Times una penna amica del governo Meloni un paio di settimane fa? Oppure – come sostiene invece Liberation (prima pagina 17 novembre ) – il governo Meloni è solo un miraggio economico? Pubblica ha ospitato l’economista Francesco Saraceno, il quale ha "spulciato" voce per voce le principali variabili dell'economia italiana: dal Pil ai prezzi, dall’occupazione ai salari, passando per la produttività, la gestione del debito pubblico e del fisco.

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