Il governo dei riluttanti.
Diamo l’accordo tra Pd e Movimento 5 Stelle per certificato e l’esecutivo, cui parteciperà anche Liberi e Uguali, per fatto. A quest’ora non è ancora una certezza ma facciamo “come se”.
Questo, è il governo dei riluttanti. Mai nella storia della Repubblica si sono viste forze politiche che assumono il potere insieme, senza avere la voglia di farlo. Anzi, con grandi resistenze forse mai superate del tutto.
Pd e Movimento 5 Stelle si sono odiati fino a ieri.
I grillini hanno costruito la loro crescita elettorale sulla contrapposizione al Pd. Ancora pochi giorni fa, il Pd era il “partito di Bibbiano”, definizione infamante urlata da Di Maio. Il partito delle banche che rubavano i soldi ai risparmiatori. Il partito di chi ha fatto cadere il ponte Morandi. Il peggio del peggio. Il Male.
Per il Pd, il Movimento 5 Stelle era il populismo che pescava voti a sinistra e casomai si doveva dialogare con i suoi elettori, per riportarli all’ovile del voto tradizionale.
E poi i leader. Zingaretti, allo scoppiare della crisi, per giorni ha sostenuto la necessità di votare. Ha dovuto cambiare idea per le molte pressioni ricevute. Di Maio, ancora in questo momento, non ha detto pubblicamente se rinuncia al potere e alla visibilità che chiede nel governo.
I riluttanti si mettono insieme per paura. Non si dimentichi che il presupposto principale di questo esecutivo, su cui stiamo ragionando come fosse nato, è la paura. Paure fuori da sé e paure dentro di sé. Fuori da sé, la paura che Salvini alle elezioni possa trionfare. Dentro di sé, la paura che le contraddizioni di cui soffrono sia 5 Stelle che Pd possano disgregare entrambi, sul medio periodo e forse anche prima, se si votasse.
Facciamo come se il governo fosse nato e chiediamoci: durerà? Dipende da una serie di fattori.
Il programma. Di Maio dice: “non siamo né di destra né di sinistra, sono concetti superati, il nostro programma si applica a prescindere”. E’ falso. Una cosa è governare con la destra radicale e una cosa è governare con partiti di sinistra e centrosinistra, come Leu e Pd. Una cosa è la flat tax, una cosa sono politiche redistributive. Una cosa è approvare le leggi cosiddette della sicurezza, un’altra è abolirle. Una cosa sono le privatizzazioni, un’altra sono investimenti per la scuola pubblica e la sanità pubblica.
Il marketing o, se si preferisce, la propaganda, si ferma davanti alle porte dei Palazzi dove si prendono le decisioni politiche.
Ancora: l’amalgama tra le visioni politiche di Pd e 5 Stelle. Se non sarà solo una somma algebrica di interessi contrapposti, come fu il contratto Lega 5 Stelle, potrebbero esserci sviluppi positivi.
Zingaretti, segretario Pd, ha tenuto un discorso dove ha chiesto che questa “cosa giallorossa” sia radicalmente diversa dalla “cosa gialloverde”. Zingaretti ha detto: il nuovo governo non deve essere né staffetta né passaggio di testimone. Di Maio ha risposto che si deve lavorare su un governo di lungo termine e su un programma omogeneo. Programma è concetto molto diverso da contratto, parola che definiva l’accordo con la Lega. Se sono parole che non saranno smentite dai fatti si tratta di uno scarto, di una differenza cruciale.
E ancora: il governo durerà se le forze centrifughe non saranno prevalenti. Cosa farà Renzi con i suoi deputati e senatori? Cosa faranno quelle componenti 5 Stelle che guardano a destra, più che a sinistra?
Infine, il governo nascerà e soprattutto durerà se il M5S deciderà di crescere, di diventare forza politica istituzionale e non più movimento “anti sistema”. Il partito di Giuseppe Conte che si dà una struttura e una consapevolezza istituzionale.
Altrimenti, questa esperienza, se nascerà, avrà vita difficile e breve.