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Il futuro nelle “convergenze di lotte”

Parigi 45 marzo. La Nuit debout è una vera rivolta o è un fuoco di paglia? La storia ce lo dirà, ci vuole molta cautela prima di scandire la parola rivoluzione.

Il magazine culturale di sinistra Les Inrocks segue con attenzione il nuovo movimento cittadino, che da 15 giorni alterna manifestazioni, scioperi e riflessioni notturne. Per il momento la Nuit debout non mostra segni di stanchezza.

Come ogni giorno, la piazza si riempie a partire dalle ore 18 e si svuota all’alba. Come ogni giorno, la piazza si divide in una ventina di assemblee generali/popolari e ognuna tratta un tema specifico. L’agenda dei lavori è annunciata sui social network e sul bollettino La Gazzette Debout mentre le discussioni possono essere seguite su Periscope, su Tv Debout (Youtube) o sulla web radio Radio Debout.

Ma che futuro ha la Nuit debout? Questa settimana Les Inrocks, il magazine che ha seguito più da vicino e ponendosi più domande il movimento, ha raccolto l’intervento a Parigi dell’antropologo americano David Graeber, uno dei protagonisti di Occupy Wall Street del 2011.

Graeber intravede delle affinità tra i due movimenti. “Nel 1848, 1968 e 2011 nessuno ha preso il potere – spiega in un dibattito- ma l’ordine mondiale ne è uscito trasformato. Tutti criticano Occupy perché non avrebbe prodotto niente. Ma nella sua continuità, dei movimenti di protesta simili si sono svolti in Turchia, Hong Kong, in Bosnia, in Brasile e ora in Francia. L’esplosione della Nuit debout è la versione più ispirata dal 2011”.

Il paragone piace agli “indignati” francesi che non vogliono fare la fine del movimento spagnolo indignados. L’economista e filosofo Frédéric Lourdon, una delle anime di Place de la République, sostiene che “Podemos non è un buon esempio, cerchiamo di non ricrearlo. La seconda parte della sua traiettoria si è ridotta a entrare nel gioco classico dell’elezione. È un triste destino”.

Che fare allora? Mark Ruffin, che con il suo film Merci patron ha ispirato la Nuit debout, non ha dubbi: “Non facciamo ancora abbastanza paura al governo, bisogna allearsi con i sindacati. Lo dico anche ai sindacati, non snobbate quello che succede in piazza. La vittoria è possibile solo se stiamo insieme”.

Si chiamano “convergenze di lotte”: tutti uniti nel battaglia contro la riforma del lavoro. Lunedì il primo ministro francese Manuel Valls ha tentato di fare rientrare la protesta degli studenti. Ha ricevuto i loro sindacati e presentato le modifiche da apportare alla riforma.

I rappresentanti degli studenti si sono detti soddisfatti ma hanno annunciato che continueranno la lotta, insieme ai lavoratori, i quali hanno ricambiato. A Le Havre i portuali iscritti al principale sindacato francese Cgt hanno votato una mozione indirizzata al prefetto di polizia per ammonirlo che “se uno studente, uno solo, viene toccato dalla polizia, il porto verrà bloccato”.

L’altra questione che viene dibattuta nelle assemblee popolari è come fare arrivare i messaggi alle classi popolari e alle periferie. Perché da fuori, da destra soprattutto, gli “indignati” sono definiti dei Bobo (borghesi bohémiens) in cerca di forti sensazioni.

Nicola Norito, fondatore della casa editrice Libertalia, che pubblica i libri di John Halloway, altra figura importante di Occupy, spiega che in piazza c’è “una popolazione che legge molto, lo stand è svuotato ogni sera. La composizione sociologica del movimento? È bianco, del centro città, trentenne, della classe media. Sono prof a Montreuil (periferia parigina, ndr), non ho visto uno solo dei miei studenti”.

Génération Bataclan quindi? Quella decimata dagli attentati del 13 novembre e che Libération aveva definito “un modo di vivere edonista e festaiolo di una generazione profondamente segnata dalla strage di Charlie Hebdo che trovava la felicità in uno spazio urbano dove coesistono negozi di moda, bar pakistani, caffè arabi, ristoranti cinesi, librerie musulmane e sinagoghe”?

Può essere. Un mese dopo gli attentati di Parigi, l’avevamo descritta così: “Le testimonianze di parenti, colleghi e amici delle 130 vittime, raccolte e pubblicate ogni giorno da Le Monde e Libération, confermano l’intuizione di Libé: avevano brindato alla vita, cantato, amato, ballato e viaggiato molto ma trovavano sempre il tempo per aiutare gli altri e per protestare contro le ingiustizie”.

Una generazione che sa anche sdrammatizzare. Martedì Place de la République ha vissuto una notte completamente al buio. Secondo il Comune è stata colpa di un guasto, gli “indignati” hanno risposto lanciando un hashtag: #lampgate. Un cittadino ha scritto su Twitter: “Hanno staccato la corrente ma noi vediamo la luce in fondo al tunnel della nostra società”; un altro: “È tempo di riaccendere le stelle”.

  • Autore articolo
    Chawki Senouci
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    Cosa chiedono (e come) gli studenti che stanno protestando nelle Università italiane per la Palestina (e che sono diventati il nemico pubblico numero uno leggendo alcuni organi di stampa), ce lo spiegano tre di loro: Camilla Piredda, coordinatrice nazionale Unione degli universitari, Barbara Morandi coordinatrice di Link studenti indipendenti e Olivia di Progetto Palestina, collettivo dell'università di Torino. Massimo Alberti ci spiega i dati sulla povertà, mai così alti, le nuove povertà al Nord, il disinteresse del governo (tanto non votano). Antonio Verona, responsabile mercato del lavoro della CGIL di Milano, spiega come un terzo dei lavoratori della città metropolitana sia povero (il lavoro c'è ma non basta a mantenersi e sempre più giovani lo rifiutano). Misha Maslennikov di Oxfam, rilancia la campagna Tax The Rich (firmate anche voi!) e promuove un sondaggio per capire quanto sia vicino o lontano il governo dai vostri bisogni. Cosa farete il 25 aprile? Noi come sempre saremo in piazza e stavolta con l'appello de Il manifesto speriamo di essere ancora di più, Lorenza Ghidini racconta la nostra adesione all'appello e Alessandro Braga riprende le posizioni di Cgil e Anpi.

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