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Guerra in Siria, UNICEF: “Bisogna porre fine agli attacchi indiscriminati”

sfollati guerra in siria

Guerra in Siria. Le stime dell’ONU parlano di circa 800.000 sfollati, di cui la metà bambini, dal 1° dicembre scorso ad oggi, da quando è cominciata l’offensiva russo-siriana contro la regione di Idlib e in parte quella di Aleppo. Uomini, donne e bambini che vivono sotto le bombe o al gelo nei campi profughi.

Ne abbiamo parlato con Andrea Iacomini, portavoce di UNICEF Italia. L’intervista di Alessandro Braga a Fino alle Otto.

Cosa sta accadendo in quella zona?

UNICEF non sta solo monitorando la situazione, ma sta anche distribuendo materiali di ogni tipo che purtroppo non bastano. In questa zona abbiamo un esodo di persone, e in particolare di bambini, che rischia di diventare un massacro nel giro di pochissimo. Non soltanto per via delle bombe che continuano a cadere, lo vediamo tutti i giorni, ma c’è anche un problema legato all’inverno. Ci sono almeno 70mila tra bambini e famiglie che vivono in condizioni penose in campi di fortuna all’aperto, mentre le restanti persone sfollate vivono in scuole che purtroppo sono anche oggetto di bombardamenti. Questi 70mila, però, sono alla mercé del freddo e delle temperature che stanno scendendo. Abbiamo parlato con delle mamme che ci hanno detto che i loro figli hanno delle ciabatte e non hanno vestiti adeguati. Se continuerà così, molti di questi moriranno a casa delle temperature molto rigide.
Le nostre attività sono sotto-finanziate da tempo, come in qualche modo è sottovalutata anche questa aggressione che non è iniziata oggi. È così da parecchio tempo, ci sono oltre un milione e mezzo di persone sotto assedio da anni.
Noi abbiamo più volte fatto appello alle parti in causa. Per evitare una tragedia occorre porre fine al conflitto, ma soprattutto porre fine agli attacchi indiscriminati. Ieri sono stati attaccati due ospedali, uno pediatrico e uno di maternità, rendendo naturalmente impossibile l’attività. Durante queste situazioni se c’è qualcosa che non bisogna fare è proprio attaccare gli ospedali, le scuole e i giovani.
Ma queste sono le strategie delle guerre di oggi: attaccare le scuole per distruggere le nuove generazioni, distruggere gli ospedali per non consentire a nessuno di salvarsi e sparare e uccidere i giovani perché rappresentano il futuro. Purtroppo questa è la situazione che sta vivendo la Siria non da oggi.

Come si può fare pressione come società civile?

Più è lontano il conflitto, più riteniamo che non ci riguardi. Poi, però, quando gli effetti di questo conflitto arrivano dentro casa nostra sotto diverse forme, dalle migrazioni agli attentati, iniziamo a farci delle domande. Il problema è che non c’è più una cultura della comprensione di queste cose. Arrivano notizie spot con immagini che sconvolgono per 2-3 giorni e poi si torna alla nostra quotidianità. Qui siamo di fronte ad una guerra senza precedenti che dura ormai da molti anni ed ha prodotto migliaia di morti. Sei anni fa noi contavamo 50mila bambini morti e probabilmente oggi la cifra è tre o quattro volte più alta. Siamo stati così bravi ogni venerdì a manifestare per l’ambiente e non riusciamo a trovare quella forza di poter dire nelle piazze che noi ripudiamo la guerra.
Ci siamo un po’ assuefatti a queste notizie e abbiamo perso questa idea così bella di poter dire al Mondo e a chi ci governa che sarebbe il caso di sedersi ad un tavolo e trovare un accordo.

Quale narrazione dovrebbero dare i professionisti della comunicazione per spiegare effettivamente la guerra in Siria?

Ci vuole un po’ più di coraggio e raccontare quotidianamente cosa accade in queste zone. Bisogna rendere i cittadini partecipi di quello che sta accadendo, anche raccontando storie di salvezza e di persone che ce l’hanno fatta, ma soprattutto raccontare che se non si portano aiuti in queste zone, queste zone sono destinate soltanto a bombardamenti. E, una cosa semplicissima, raccontare ai nostri figli quello che sta accadendo in certe parti del Mondo. Dovremmo ricordare che le guerre vanno ripudiate in ogni loro forma. Il conflitto siriano è il peggiore degli ultimi 70 anni, ha prodotto un esodo che non ha precedenti. Basteremmo questo, raccontato ciclicamente, per risvegliare qualche coscienza.

Foto di UNICEF/UNI214009/Souleimain/AFP-Services dalla pagina Facebook di UNICEF Italia

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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