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Gli interrogativi sulla strage jihadista

Amman come Parigi e Bruxelles. Un commando di terroristi ha fatto irruzione di prima mattina, nel primo giorno di Ramadan, ha sparato e lanciato bombe a mano contro l’ufficio dei servizi di sicurezza, al secondo piano di un edificio alle porte del campo profughi palestinesi di El Baqa’a, alla periferia settentrionale della capitale giordana. Cinque persone sono state uccise, tutti dipendenti dai Servizi: due impiegati e tre ufficiali. Si è evitata una strage ben più pesante, soltanto perché non era ancora iniziato il turno mattutino. Il personale presente in ufficio era quello del turno della notte, ridotto rispetto al lavoro diurno.

Per il momento nessuna rivendicazione, probabilmente perché due dei terroristi sono stati arrestati. Tutti gli analisti, però, puntano il dito contro Daiesh. Il ministro dell’informazione, Mohammed Al-Moamany, ha accusato implicitamente gli islamisti: “Gli autori sono elementi criminali, che non rappresentano la nostra fede moderata e che hanno versato sangue innocente nel primo giorno del Ramadan, il mese del digiuno e del perdono”. Queste parole possono essere interpretate come accusa ai jihaidsti siriani e iracheni oppure anche agli islamisti giordani.

L’altra ipotesi che viene avanzata, infatti, è la militarizzazione dell’estremismo islamista giordano, in seguito alle misure restrittive del governo contre la Fratellanza Musulmana, con la chiusura delle sedi e il ritiro delle licenze per le attività dei loro circoli.

Il campo profughi El Baqa’a è il più grande campo palestinese in Giordania ed è esistente dal 1967, ed è abitato di circa 100 mila persone, ai quali si sono aggiunti negli anni recenti i rifugiati siriani, in seguito al’accuirsi del conflitto nel paese arabo confinante.

Il sedicente Califfato non ha mai nascosto le sue minacce alla Giordania, considerata un perno importante della Coalizione, organizzata da Washington, per combattere il jihadismo in Iraq e Siria. La crudeltà con la quale era stato ucciso, arso vivo, il pilota giorndano, Muaz Qasassbeh, catturato nel nord della Siria nel dicembre 2014, dimostra il livore che i capi del jihadismo nero tengono nei confronti dell’azione della Giordania.

Uno dei perni sui quali Daesh potrebbe fare leva è la divisione nella società giordana tra la popolazione indigena e quella palestinese. Ma il governo, nella sua comunicazione, sembra voler scongiurare che queste diverse sensibilità possano diventare una frattura ulteriore nella quale l’azione terroristica tenti di incunearsi. Anche le autorità palestinesi sono sensbili al tema e non è tardata infatti la condanna da parte dell’ANP, per bocca dello stesso presidente, Mahmoud Abbas. Anche il movimento islamista Hamas ed altre organizzazioni palestinesi, che hanno uffici di rappresentanza in Giordania, hanno espresso cordoglio al governo ed alle famiglie delle vittime del dovere.

Lo stesso ufficio dei servizi di sicurezza di El Baqa’a è stato obiettivo di un fallito attacco simile, nel 2009, e allora il governo aveva accusato Al Qaeda di essere dietro l’operazione terroristica.

Se è terrorismo esterno oppure interno lo diranno le indagini e gli interrogatori dei due terroristi arrestati. Gli inquirenti stanno visionando tutte le registrazioni video delle camere di sorveglianza nella zona, per raccogliere ulteriori elementi. La stampa giordana sostiene che le forze di sicurezza sono alla ricerca di un’auto bianca che ha portato gli assalitori nel luogo dell’attentato.

Tre mesi fa, nella città settenterionale di Irbid, vicina al confine con la Siria, le forze speciali giordane hanno intercettato una cellula armata di jihadisti di Daesh, ingaggiando con loro una battaglia durata diverse ore, finita con sette miliziani e un agente uccisi. Dalle carte sequestrate nelle abitazioni dei membri della cellula, sono venute fuori piani terroristici per organizzare attacchi ad Amman e altre città giordane, sul modello attuato a Parigi prima e poi a Bruxelles.

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    Farid Adly
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