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Tratto dal podcast
Prisma di lun 18/11 (prima parte)
Ambiente | 2019-11-18
L’Italia è un Paese che ogni volta che piove si riscopre fragile e spesso impreparato al maltempo. E ora deve anche fare i conti con i fenomeni più estremi dovuti ai cambiamenti climatici.
Il geologo Mario Tozzi, esperto di consumo di suolo, è intervenuto oggi a Prisma. L’intervista di Roberto Maggioni e Lorenza Ghidini.
Com’è questa storia che l’Italia si scopre sempre impreparata davanti al maltempo?
Negli ultimi 25 anni le cose sono cambiate in maniera ragguardevole per via del fatto che, soprattutto per quanto riguarda le piogge, la stessa quantità d’acqua che una volta cadeva in quei mesi oggi rischia di cadere in un giorno. Questa concentrazione di piogge improvvise e così copiose trova il territorio impreparato perchè l’abbiamo tutto quasi interamente impermeabilizzato e costruito. Quando piove così tanto il problema è sempre a terra, non è tanto nella quantità d’acqua che comunque è cambiata come modalità di precipitazione nel corso degli ultimi due decenni. Noi abbiamo creato il rischio dove non c’era e abbiamo aumentato il rischio dove era minore costruendo in posti che andavano lanciati in pace, soprattutto se parliamo dell’azione dei fiumi e delle alluvioni.
Se tu costruisci sull’orlo dell’acqua, poi ti trovi che l’acqua invade le case: quando ci sono le case e l’acqua nello stesso posto, nel posto sbagliato ci sono le case. È il problema di sempre. Noi pensiamo di vivere in un territorio che non abbia rischi, ci illudiamo di questo in buona o cattiva fede. Poi però ci troviamo a piangere i morti oppure a contare i danni dal maltempo in Italia perché non siamo stati capaci di vivere bene sul territorio. Noi dovremmo sgomberare i luoghi pericolosi, vale la pena di ricordarlo senza peli sulla lingua.
Quali sono i luoghi più pericolosi e quali sono le zone d’Italia con il rischio idrogeologico maggiore?
L’Italia ha circa la metà del territorio a rischio idrogeologico, però qualche regione ha addirittura il 100% dei Comuni a rischio, come la Liguria, dove si è costruito all’inverosimile allo sbocco dei fiumi o dentro i fiumi stessi. Genova forse è l’esempio più grosso, ma anche le Cinque Terre. Ci siamo messi a vivere in posti dove oggettivamente era complicato vivere. Posti in cui se smantelli il bosco originario o la foresta e lavori il terreno terrazzando come hai fatto per secoli alle Cinque Terre allora è ancora peggio.
Ma se poi abbandoni pure il terrazzamento e ti dedichi solo all’accoglienza dei turisti, poi quella montagna ti viene giù.
Scendendo giù abbiamo la Toscana, la Maremma e l’Alto Lazio che sono sempre oggetto di alluvioni di questo tipo, ma anche in Calabria il 100% dei Comuni è a rischio idrogeologico, o la Sicilia nordorientale o la Sardegna di Olbia come abbiamo già visto nel 2013. Poi la Lucania, abbiamo visto Matera ma in generale riguarda tutto l’Appennino. E risalendo ci sono le Marche, il Trentino Alto Adige e il Veneto.
Questi sono i posti in cui il rischio idrogeologico è maggiore, ma questo fa parte del nostro territorio. Noi siamo fatti così, il territorio in Italia è geologicamente molto giovane e molto attivo e col maltempo frane e alluvioni fanno parte del percorso naturale. In quel territorio, però, avremmo dovuto un’attenzione che non abbiamo prestato.
Settimana intensa per i #vigilidelfuoco: svolti 8.000 interventi per il #maltempo su tutta la penisola. Nelle ultime 36 ore effettuati 450 soccorsi in #EmiliaRomagna e 380 in #Toscana #18novembre pic.twitter.com/y31WcSj2FT
— Vigili del Fuoco (@emergenzavvf) November 18, 2019
Leggevo questa mattina su diversi quotidiani che fino ad alcuni anni fa i fiumi esondavano superando gli argini, mentre negli ultimi anni si è visto che gli argini li rompono. È così?
Dipende. Gli argini di cemento, come sono quelli delle città, non si rompono. Si rompono gli argini in terra, quelli pseudo naturali, per tante ragioni. A volte addirittura possono concorrere animali che fanno la tana, ma questa è una delle ultime cause. Il fatto è che a furia di costruire argini per proteggere le abitazioni messe nel posto sbagliato, e lo voglio ripetere un’altra volta, tu sopraelevi il fiume, cioè lo porti ad un livello più alto continuando ad alzare gli argini. A quel punto, quando arriva una piena con queste portate qui, è facile che la velocità del fiume sulle aree in cui ci sono delle anse possa portare a rettificare il proprio percorso e sfondare quell’argine lì. Il fiume può anche arrivare a questo, dobbiamo conoscere la violenza della natura. Il problema è che nelle aree in cui il fiume si deve espandere non ci deve stare nessuno. Le cosiddette aree golenali, quelle che il fiume invade quando è in piena, devono essere libere. Non è che puoi considerare il fiume soltanto dove comincia l’acqua. Tutto il letto è fiume e lo devi lasciare in pace.
Poi ci sono addirittura i fiumi tombati, come il famoso Fereggiano a Genova o il Seveso a Milano che poi si vendicano.
Il Seveso e il Fereggiano sono forse quelli più noti, ma consideriamo che in Italia ci sono circa 12mila chilometri di fiumi tombali. Solo a Genova sono 52. È frutto inizialmente delle bonifiche del fascismo, come a Genova dove costruivano grandi case sui fiumi che dovevano essere dimenticati.
In realtà averli messi sottoterra significa non poterli più vedere, non poter più fare manutenzione agli argini. Ed è davvero un danno clamoroso. Questo l’abbiamo dimenticato, ma se guardiamo le stampe del passato di Genova e altre città, lungo il corso dei fiumi non ci viveva nessuno. Stavano tutti in collina, e questo vale anche per Roma, che nasce non a caso sui sette colli. Nelle valli ci mettevano il foro, dove non si abitava in maniera persistente tutto il giorno.
Se dobbiamo abituarci ai fenomeni più intensi ed estremi dovuti ai cambiamenti climatici, quali sono gli interventi da fare subito?
Una cosa da fare è realizzare quelle opere che servono per affrontare al meglio il maltempo in Italia, come il collettore del Bisagno nel caso di Genova. L’altra opera, relativamente all’Arno, è l’espansione delle vasche vicine al corso del fiume che permettono di ospitare l’acqua forse in eccesso. Queste le aveva già progettate Leonardo Da Vinci. Io sono contrario alle grandi opere come logica. Più un fiume lo lasci in pace e meno danni fa, però è chiaro che ci sono casi in cui ormai c’è la città e quindi in qualche modo bisogna intervenire. Per il resto bisognerebbe fare un’operazione molto coraggiosa. Dalle zone pericolose, le aree cosiddette golenali, bisogna piano piano spostarsi. Non si può pretendere che si resista in quelle condizioni. Capisco che sia una cosa impopolare e difficile da dire, ma con un certo aiuto e col tempo quelle zone vanno sgomberate perché altrimenti non funziona più. Abbiamo visto che dove si fa questo ci guadagnano tutti. I sapiens non possono abitare ovunque e trasformare la terra in una grande città. Non funziona così la natura, ha tempi e ritmi molto diversi e dobbiamo tenerne conto.
Foto | Vigili del Fuoco