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Il format

sea watch

Ve la ricordate la vicenda della Sea Watch? No, non la Sea Watch oggi. La Sea Watch a fine dicembre, quando a bordo aveva 32 persone salvate nel Mediterraneo. Anche allora, come oggi, fu tenuta per giorni -più di due settimane- lontana dai porti italiani, in attesa di fare sbarcare i migranti che aveva a bordo. Eh sì. E’ facile confondere date, nomi, circostanze. E’ facile dimenticare. Perché i casi si susseguono. E soprattutto, perché il copione è sempre lo stesso.

La nave della Ong raccoglie i migranti che rischiano di annegare. Si avvicina alle coste italiane. Salvini dichiara sui social che non sbarcheranno mai in Italia. Di Maio, o Toninelli -qui la sceneggiatura si prende un po’ di libertà- si accodano e riaffermano che l’Italia tiene alla propria sovranità, che non ci si può far trattare in questo modo dall’Europa egoista che ci lascia soli a gestire il problema. Le associazioni umanitarie protestano, la Chiesa protesta, a volte anche organismi internazionali come l’Unhcr protestano. Il governo risponde che se ne frega, Salvini fa il duro e dice che non sbarca nessuno, nemmeno i bambini. Le opposizioni di sinistra cercano di farsi sentire, fanno quello che possono, qualche deputato prende la via del mare per portare la propria testimonianza. Il Pd ogni tanto cerca di dare qualche segno di vita. Il governo li irride. Salvini fa il duro, i 5 Stelle a ruota.

Poi, dopo che il ciclo della notizia si è concluso, la nave della Ong entra in porto, e i profughi sbarcano. Alcuni di loro restano in Italia. Una quota viene accolta in Germania o in altri Paesi dell’Europa occidentale. I Paesi dell’Est, a cominciare dall’Ungheria di Orban, l’amico di Salvini, dicono che non ci pensano nemmeno.

A dicembre in mare in attesa di entrare in porto c’era anche la nave Sea Eye. 17 persone a bordo. Ve la ricordate? E tutti i casi precedenti, quelli della scorsa estate, ve li ricordate? Stesso copione, stessa scenografia.

Un format.

Stiamo assistendo alla guerra del governo alle navi delle Ong. Una guerra che ha un scopo principale: essere sfruttato a livello mediatico. Il format serve a questo: a funzionare in televisione e sui social network in particolare. Un format che fu preparato con cura fin da prima delle elezioni, quando Di Maio inaugurò la campagna contro le Ong dal titolo: “Taxi del Mediterraneo”.

Nel frattempo i porti sono aperti e nel silenzio arrivano imbarcazioni commerciali, private o della Guardia Costiera che hanno soccorso persone. Ma in questo caso trovare un format è più difficile, mica puoi lasciare affondare una barca che sta arrivando sulle coste. Mica puoi tenere ostaggio personale e profughi a bordo di una nave militare della Guardia Costiera. Ci hanno provato, in estate, con nave Diciotti. E’ finita con Salvini sotto inchiesta per sequestro di persona, una richiesta di processo, il governo che rischia di cadere, i grillini in una trappola mortale perché o danno l’autorizzazione a procedere e crolla tutto o la negano e si sputtanano ancora di più. Insomma un casino. Il soggetto perfetto, il nemico perfetto per il format sono le navi delle Ong. Ecco perché il governo si concentra su di loro.

Un altro classico del format sono le accuse di fare combutta coi trafficanti. Quante volte avete sentito dire “abbiamo le prove”? L’ultima volta è accaduto ieri, da parte del ministro dell’Interno. Poi oggi si è presentato alla Camera e ha citato le inchieste di alcune Procure. Tutto qui? Sì, tutto qui. Come sempre.

Una variante del format si chiama “terremoto”: “i migranti sì, ok, ma i terremotati?”

Funziona molto bene soprattutto sui social, ci si fanno dei meme molto condivisi. C’è poi una ulteriore variante, la variante “alberghi”: “i migranti negli alberghi e i terremotati nelle tende”.

Il format ha una duplice funzione: la prima è consolidare il consenso, grazie alla mobilitazione su un tema identitario molto forte, forse il più forte. La seconda è nascondere la realtà. Una perfetta arma di distrazione di massa. L’Italia rischia la recessione economica. I morti sul lavoro sono a livelli record. La disoccupazione, soprattutto giovanile, non cala. La criminalità organizzata è sempre più forte. Da Afragola a Foggia scoppiano bombe come petardi. L’ambiente, i diritti, la qualità della vita, i livelli di istruzione, la sanità pubblica minacciata. Questa è la realtà che il format cancella trasformando tutto in una fiction.

Foto | Sea Watch Facebook

  • Autore articolo
    Luigi Ambrosio
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    Sui luoghi del tulipano selvatico giallo. L’Università di Pavia, con il gruppo di studio del professor Graziano Rossi, sta ricostruendo da Calvigano la presenza storica di questo fiore tipico dell’Oltrepo pavese, ma anche delle zone limitrofe dell’Appennino Piemontese ed Emiliano, e non solo. L’agricoltura intensiva negli ultimi cinquant’anni ha ridotto gli esemplari di questa pianta spontanea della flora mediterranea. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento racconta come le proprietà delle comunità difendano e migliorino gli ecosistemi. Un aspetto confermato dalla premiazione di Legambiente per quelle trentine del Monte Bondone alla vigilia dell’Overshoot Day, la giornata del consumo annuale delle risorse rinnovabili dei territori. In Valtrompia, a Villa Carcina, provincia di Brescia, da centoquindici anni c’è la Macelleria e salumeria equina Porta, ci siamo fatti raccontare come sono cambiati i consumi e la produzione, anche per la crescita delle temperature. Nelle Multinazionali del Cibo, queste sconosciute Andrea Di Stefano descrive il mercato del tonno e gli impatti ambientali dell’incremento dei consumi, quindi della pesca. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Il ritorno della piante di Fabio Marzano, dedicato al verde urbano e al ruolo ambientale, sociale e alimentare delle coltivazioni in città e nelle aree peri urbane. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti, in collaborazione con la Regione Lombardia, l’agricoltore filologo Niccolò Reverdini introduce gli arazzi disegnati dal Bramantino esposti nell’omonima sala al Castello Sforzesco di Milano.

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