
Donne sole che scappano dalla guerra, donne con bambini anche piccoli, da curare, da allattare. Donne incinte. Donne che vogliono abortire, perché il figlio che aspettano è frutto di una violenza, avvenuta in uno dei Paesi di transito, magari in Libia, dove sono state le schiave dei trafficanti. Donne che pagano il viaggio con prestazioni sessuali, dopo essere state derubate. Donne adolescenti, fatte sposare dalla famiglia precocemente, perché affrontare la traversata verso l’Europa con un marito è considerato più sicuro. Donne sottoposte a mutilazioni genitali. Donne traumatizzate, che hanno visto la morte in faccia.
Sono loro, adesso, insieme ai bambini, la maggioranza dei profughi, il 55 per cento. Dal 2016, secondo l’Agenzia delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), hanno superato il numero di uomini che cercano di raggiungere l’Europa.

Il Parlamento europeo voterà oggi una direttiva sulla protezione delle donne rifugiate e richiedenti asilo.
Si chiedono agli Stati membri cose molto basilari e concrete: spazi separati nei centri di accoglienza, servizi igienici adeguati, servizi medici e di supporto psicologico per chi ha subìto violenza, personale adeguatamente formato, anche femminile. Operatrici preparate sulle mutilazioni genitali femminili. Si chiede inoltre che donne e madri non vengano sottoposte a detenzione, ma possano arrivare nei Paesi di destinazione attraverso percorsi sicuri e legali.
L’8 marzo delle donne rifugiate sembra però una beffa. Cade all’indomani dell’ulteriore stretta dell’Unione europea nei confronti dei richiedenti asilo. Un piano, quello tra Ue e Turchia, definito “disumano e illegale” da Iverna McGowan di Amnesty International. “I leader europei e turco sono scesi ancora più in basso mercanteggiando di fatto sui diritti e la dignità di alcune tra le persone più vulnerabili al mondo”, ha commentato.
Le responsabilità europee sono decisive, secondo l’Unhcr. “Se le istituzioni e gli Stati membri avessero rispettato gli impegni presi a settembre e dicembre scorso – denuncia Sophie Magennis dell’Alto commissariato per i rifugiati – non ci troveremmo nella situazione” disastrosa che si è creata al confine tra Grecia e Macedonia.
Una crisi autoindotta anche secondo Aurélie Ponthieu di Medici senza frontiere: “L’Unione europea va a finanziare una risposta umanitaria a una crisi che è lei stessa a creare. Non è una crisi umanitaria, non è una catastrofe naturale, è una crisi prodotta dalla politica, ovvero dalla decisione unilaterale di alcuni Paesi di bloccare le frontiere”. E dal rifiuto di altri di rispettare le quote di redistribuzione.
La fotografa Marie Dorigny, autrice per il Parlamento europeo delle foto in questa pagina e della mostra Displaced (visitabile fino al primo giugno a Bruxelles), da trent’anni si occupa di guerre e crisi umanitarie. “La cosa che mi ha colpito di più è che ora, rispetto al passato, c’è un numero enorme di donne e bambini tra i rifugiati. È una composizione totalmente differente che necessita di attenzioni e gestione diverse”. Le immagini sono state scattate sulla rotta balcanica, che Dorigny ha percorso dalla Grecia fino alla Germania.

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