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La mancata zona rossa di Bergamo e Brescia: le domande senza risposta

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29 marzo 2020

Al tavolo tecnico scientifico che affianca il governo siedono almeno 3 rappresentanti del ministero della salute, il direttore dell’ospedale Spallanzani, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, un delegato della Conferenza delle Regioni, la Protezione Civile, Dunque i rappresentanti di regioni, governo, protezione civile erano perfettamente a conoscenza della raccomandazione del 2 marzo da parte del massimo organo di tutela della salute pubblica italiana, che indicava di fare ad Alzano Lombardo, Nembro, Orzinuovi una zona rossa come nel lodigiano, isolando le aree e chiudendo le aziende.
Il direttore dell’ISS Giovanni Rezza lo ha confermato ai microfoni di Radio Popolare: quella raccomandazione è stata letta e discussa. Ma mai adottata. Perché? Chi non ha voluto ascoltare l’ISS?



Le mancate risposte della protezione civile

Pubblicamente si è sempre parlato di un’ipotesi, ma era qualcosa di più: una precisa indicazione nero su bianco. Quando Regione Lombardia e Governo hanno iniziato il gioco dello scaricabarile su chi doveva prendere misure più drastiche, si basavano su quell’indicazione? La protezione civile ha dato tre diverse spiegazioni, nelle diverse risposte alle domande della giornalista Veronica Di Benedetto Montaccini di The Post Internazionale.
La prima: dopo Lodi non potevamo chiudere altre aree. Ma se la chiusura era necessaria per la salute pubblica, era da fare. E l’ISS ci dice che era necessaria. Quindi perché “non potevano”?
La seconda: da li a poco il governo avrebbe preso un nuovo provvedimento.
Che però arriverà solo 1 settimana dopo, l’8 marzo, stringerà solo sui comportamenti individuali, non toccherà le aziende (per quelle passeranno altre 2 settimane), non isolerà i focolai.
La terza risposta: “le misure adottate dal governo sono state prese in ossequio ai principi di proporzionalità e adeguatezza” ha detto il capo della protezione civile Borrelli. Un’affermazione drammaticamente smentita dai fatti e da migliaia di morti. Se è stata una valutazione scientifica, è stato un drammatico errore. Se invece è stata una scelta politica, qualcuno la deve spiegare.
Perché il mancato isolamento di quelle aree, di quelle migliaia di morti ne è stata di fatto la causa. Lo sa bene il Sindaco di Orzinuovi, che è anche parlamentare e domani presenterà anche un’interpellanza urgente.
Perché queste domande non possono restare senza una risposta, e chi è titolato di quella “non decisione” deve darne conto.

 

“Chiudete Bergamo e Brescia”: L’ISS lo diceva già il 2 marzo, ma è stato ignorato

28 marzo 2020

Una zona rossa nei comuni focolaio di Bergamo e Brescia. È la richiesta che il Consiglio di Sanità ha portato al tavolo tecnico scientifico, che affianca il governo, già il 2 marzo, all’alba della diffusione del contagio. Una richiesta ufficiale mai presa in considerazione. Da lì in poi il virus è dilagato nelle due province, con migliaia di contagiati e di morti.

Medici, sindaci, cittadini lo dicono da tempo: non chiudere le aree focolaio nelle province di Bergamo e Brescia è stato un errore determinante. La conferma arriva da un documento ufficiale che lo metteva nero su bianco, ma è stato ignorato. La notizia compare per la prima volta sul quotidiano online The Post Internazionale il 25 marzo.

Nell’ambito di un reportage da Bergamo, la giornalista Francesca Nava rivela che una nota tecnica dell’Istituto Superiore di Sanità chiedeva che nei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro e in quello bresciano di Orzinuovi, venisse creata una zona rossa, come quella di Codogno. Quindi aree isolate e chiusura delle imprese.

Sabato 28 marzo la giornalista Nuri Fatolahzadeh del Giornale Di Brescia dà conto della conferma da parte dell’ISS di questo carteggio interno al comitato tecnico scientifico, dove siedono rappresentanti delle regioni, della Protezione Civile, del Ministero della Salute, quindi del governo.

Erano i giorni di “Milano non si ferma”, “Bergamo non si ferma”, quelli degli aperitivi e degli inviti a non fermare il commercio, quelli in cui Confindustria premeva per non fermare le produzioni nonostante fosse già chiaro che in quelle aree il contagio si stesse allargando senza un freno e la nota tecnico scientifica diceva chiaramente questo: si deve chiudere. Non a caso la nota sottolineava la vicinanza di importanti centri urbani, come ulteriore fattore di rischio.
TPI aggiunge che questa nota viene ulteriormente integrata il 5 marzo, ma in questo caso non c’è conferma di chi l’abbia vista. La nota del 2 marzo, però, sul tavolo del comitato tecnico scientifico c’era: lo conferma sempre a TPI la Protezione Civile.

L’abbiamo valutata ma non si poteva chiudere tutto. È stato già doloroso fare quelle zone rosse che abbiamo fatto” sono le risposte preoccupanti che Agostino Miozzo della Protezione Civile dà alle domande di Veronica Di Benedetto Montaccini. “Stavamo valutando e poi è stato deciso il lockdown nazionale”, aggiunge Miozzo. I cosiddetto lockdown nazionale arriva però solo l’8 marzo e, come sappiamo, non chiude le imprese e prende prime blande restrizioni comuni a tutto il territorio, ignorando la situazione specifica di zone di fatto focolaio.

Un primo decreto sulle imprese arriverà solo il 22 marzo, quello definitivo il 25. Nel frattempo nelle province di Bergamo e Brescia i morti ufficiali sono oltre 2.000, ma secondo i sindaci è una cifra ampiamente sottostimata.

Foto dalla pagina Facebook del Dipartimento di Protezione Civile

  • Autore articolo
    Massimo Alberti
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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    Già vincitore di un Leone d’Oro per “Sacro Gra” nel 2013 e di un Orso d’Oro tre anni dopo alla Berlinale, Rosi riceve anche il Premio Speciale della Giuria di Venezia 82. In “Sotto le nuvole” l’esplorazione si sposta nella Napoli della circumvesuviana, in un bianco e nero inedito per la città dei mille colori, tra la terra che ogni tanto trema, sotterranei archeologici in mano alla camorra, la centrale dei Vigili del Fuoco, le fumarole dei Campi Flegrei e il Porto di Torre Annunziata con con una nave siriana che scarica grano ucraino. “È il mio primo film non politico” sostiene Rosi, eppure nel fuoricampo di “Sotto le nuvole” il non detto arriva anche in senso politico. L'intervista di Barbara Sorrentini

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