Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Lunedì 30 novembre 2020

Alberto Cirio

Il racconto della giornata di lunedì 30 novembre 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia in Italia alla difficile strada verso il nuovo DPCM con le Regioni che non sembrano pronte ad una linea comune, mentre Recovery Fund e Mes continuano a creare tensioni nella maggioranza di governo. La situazione della scuola in Italia, intanto, continua ad essere frammentata e la disparità tra i territori aumenta. È stata rinviata di 10 giorni la firma del nuovo accordo tra stato e Arcelor Mittal sull’ex Ilva di Taranto. In Francia, dopo le tensioni e le proteste dei giorni scorsi, il governo annuncia la riscrittura del discusso articolo 24 della legge sulla sicurezza globale. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

Il numero dei nuovi casi da coronavirus è in calo in Italia, sono stati 16mila da ieri secondo il bollettino del Ministero della Sanità. Un dato così basso non si vedeva da settimane, ma si tratta del solito effetto weekend. I tamponi sono stati pochi e infatti la percentuale di positività è in linea con quella dei giorni scorsi: 12,5%. Il numero dei morti rimane alto, 762. Il numero di letti di terapia intensiva occupati è stabile oggi rispetto a ieri, mentre torna a crescere il numero dei ricoverati, di circa 300 unità. In tutto il mese di novembre, si legge nel bollettino mensile diffuso oggi dall’iss, in italia si sono contati 800mila casi e quasi 13mila decessi.
In vista della scadenza del decreto con le restrizioni in vigore, venerdì prossimo, continuano intanto le trattative tra governo e regioni. I nodi da sciogliere sono l’apertura degli impianti sciistici, le regole per le feste e i cenoni, gli spostamenti tra regioni, che saranno probabilmente vietati nella settimana di Natale.

Nuovo DPCM, difficile trovare una linea comune tra tutte le Regioni

(di Anna Bredice)

È difficile pensare come potrà emergere una linea comune tra tutte le regioni in vista del nuovo Dpcm che entro mercoledì deve essere pronto. C’è un pressing evidente da parte delle regioni alpine, governate tutte dal centrodestra, affinché ci siano molte più aperture di quelle previste, a cominciare dagli impianti di sci, dall’altra parte ci sono regioni come il Lazio governato da Zingaretti che ricorda che solo a novembre ci sono state oltre sedici mila vittime e il presidente del Lazio nonché segretario del Pd aggiunge: “A chi dice riapriamo tutto rispondo errare è umano perseverare è diabolico“. Il perseverare vorrebbe alludere a quello che è accaduto in primavera dopo le settimane bianche e gli spostamenti senza limiti di questa estate. Gli assessori allo sport e al turismo delle regioni alpine, Lombardia, Piemonte, Friuli, Veneto e Trentino hanno scritto una lettera al governo chiedendo di aprire gli impianti sciistici a Natale solo per chi pernotta in un albergo o raggiunge le seconde case, prenotando on line gli skipass e spiegano che paesi come l’Austria starebbero per fare la stessa cosa, il timore quindi sarebbe di una concorrenza dei paesi confinanti. Ma fino a due giorni fa sia Boccia che Speranza hanno negato che si potesse andare a sciare questo Natale. Su questo argomento è attesa una raccomandazione dall’Unione europea per tutti i paesi alpini, in modo che ci sia un’unica linea a cui uniformarsi. Ci sono poi gli altri temi, i ristoranti aperti durante le vacanze, l’orario dei negozi più largo, il divieto di circolare nelle ore notturne, che il governo vorrebbe mantenere inalterato. E poi gli spostamenti, finora l’ipotesi è di consentire i viaggi fino al 19 dicembre, vietando anche quelli tra regioni gialle dal 20 fino al 6 gennaio, ma il timore è di creare assembramenti proprio a ridosso dei divieti. Domani le regioni e i comuni incontreranno il governo, porteranno le loro proposte ma discuteranno anche del piano vaccini.

Tensioni nella maggioranza su Mes e Recovery Fund

(di Michele Migone)

Difficile nascondere sotto il tappeto le tensioni che pervadono la maggioranza. Al centro del malumore c’è Giuseppe Conte, la cui duplice strategia, sul Recovery Fund e sul Mes, ha irritato e non poco gli alleati del PD e di Italia Viva.
Conte ha costruito un’asse con il Ministro dell’Economia Gualtieri, ma questo non è stato sufficiente a tranquillizzare il Nazareno. Anzi. Il Presidente del Consiglio è visto sempre di più come un uomo che sta giocando la sua partita di potere per evitare di perdere il suo posto dopo le critiche sulla sua leadership.
La posizione sul Mes – sì alla riforma ma no ai soldi per la sanità – soddisfa i Cinque Stelle, ma non gli altri partiti della coalizione, il cui disappunto non tracima per evitare gravi incidenti di percorso al governo, ma che alla fine andrà a incidere sul rapporto con Conte. Come proprio non è piaciuta la creazione di una cabina di regia per l’utilizzo dei fondi europei. Tirando dentro Gualtieri e il ministro Amendola, oltre a Patuanelli, Conte pensava di ridurre l’ostilità espressa dal PD alla sua manovra di accentramento di gestione dei miliardi di Bruxelles, manovra finalizzata ad avere in mano le chiavi del rilancio economico del paese e quindi ad essere più forte. Al Nazareno non sono comunque contenti. Il PD sente le pressioni da una parte dei sindacati e dall’altra degli industriali e non vuole lasciare al solo Conte il potere di decidere quali siano le priorità e a chi dare quei soldi. Segmenti del partito pensano che l’unico modo per risolvere la questione sia un rimpasto che ridimensioni Conte.
Il fatto è che, al di là del politicismo, delle tattiche e degli interessi in gioco, delle tensioni tra i partiti, quel che appare certo è per ora sia assente un dibattito nazionale e pubblico, un piano organico e strategico per il futuro del paese, manchi insomma una visione politica su cui investire i miliardi europei.

La situazione della scuola in Italia è ancora frammentata

(di Claudia Zanella)

La situazione della scuola in Italia è ancora frammentata. In Puglia si combatte a forza di ordinanze di chiusura dei sindaci e ricorsi al Tar, mentre la Regione lascia la facoltà di scegliere alle famiglie se far andare i bambini – dalla scuola d’infanzia alle medie – a seguire le lezioni in presenza. In Campania restano a casa gli alunni dalla seconda elementare in su, fino al 7 dicembre.
Quella della scuola è una situazione complessa, confusa, che crea disparità tra i territori. L’unica cosa certa è che i ragazzi delle superiori resteranno a casa in tutta Italia fino a gennaio. Una didattica a distanza che, per loro, va avanti da quasi un anno. Perché le lezioni in presenza sono durate poche settimane a settembre. E poi?
Poi il sistema dei tracciamenti che non funziona e, soprattutto, l’inadeguatezza del sistema dei trasporti ha fatto chiudere tutto. Troppi rischi, per il governo. Non tanto a scuola, ma fuori, alla fermata dell’autobus, per esempio. I presidi speravano che queste settimane di chiusura facessero fare dei passi avanti. Ma è davvero così?
La ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, ha proposto, per aumentare lo scaglionamento nelle entrate a scuola, di andare in classe anche di domenica, rischiando l’incidente diplomatico con i sindacati. I trasporti, ora ridotti al 50% di capienza, non si capisce come potranno essere sufficienti. Intanto al centro delle polemiche resta la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina. Ministra che, certo, ha creato un sistema di reclutamento che avrebbe dovuto sgravare di lavoro le segreterie scolastiche ma che si è rivelato fallimentare. E così in cattedra mancano ancora tanti docenti. Ma non è certo responsabile di tracciamenti e trasporti.
E mentre gli studenti delle superiori protestano per chiedere di tornare a scuola, una data probabile c’è: il 7 gennaio. Ma sarà quella definitiva? O ci sarà un’altra impennata di contagi e decideranno di chiudere le scuole superiori? Ancora. E a pagarne le conseguenze saranno ancora i ragazzi, abbastanza grandi per gestirsi da soli, ma che perderanno un aspetto fondamentale nella loro formazione di adolescenti. Perché la scuola non è solo nozioni spiegate alla lavagna o apprese dai libri, la scuola è anche relazione. Lo dicono i loro professori, che non hanno dubbi su una cosa: “La scuola si fa in presenza”.

Ex Ilva di Taranto, rinviata la firma del nuovo accordo

(di Massimo Alberti)

È stata rinviata di 10 giorni la firma del nuovo accordo tra stato e Arcelor Mittal sull’ex Ilva di Taranto. La scadenza di oggi era il frutto dell’accordo del marzo scorso con cui il governo e la multinazionale avevano evitato di risolvere il contenzioso in tribunale. “Ci sono ancora aspetti da aggiustare” ha detto il commissario di Invitalia Arcuri nell’incontro di oggi con i sindacati, dove sono state confermate una parte delle indiscrezioni sul piano, del quale in realtà si conoscono ancora pochi dettagli.
Il rinvio della firma all’11 dicembre cambia poco, parlando di un accordo che serve sostanzialmente a prendere tempo. Dall’incontro di oggi con i sindacati sono uscite conferme e ulteriori dubbi. Le conferme riguardano l’ingresso di Invitalia nell’ex ilva al 50% fino al 2022, di fatto in coincidenza con la scadenza del contratto d’affitto che lega Arcelor Mittal all’impianto di Taranto. Se fino ad oggi si parlava di 400milioni, i soldi messi dallo stato son diventati oltre 2 miliardi. Per fare cosa? Gli annuncia al tavolo di Arcuri, prima di scappare a metà incontro, prevedono 8 milioni di tonnellate di acciaio entro il 2025, di cui però solo una parte in elettrico, mantenendo anche il carbone. La previsione è che gli attuali 8300 dipendenti rientreranno tutti solo per quella data. Arcelor Mittal ottiene un taglio di fatto dell’occupazione dei circa 2000 operai in cassa integrazione dell’amministrazione straordinaria, che non rientreranno più. Ed il mantenimento agli ammortizzatori sociali pagati dallo stato di altri 4000 per un periodo lungo e indefinito. Oltre ad un ingresso di capitali dello stato che di fatto serviranno a ripianare le perdite di questi anni. E non è detto che basti così, visto che causa del rinvio sarebbero proprio le ulteriori richieste della multinazionale al governo, di fatto senza partner alternativi e costretto così ad accettare ogni condizione per non perdere l’unico privato disposto a restare, seppur con soldi pubblici. Cosa succederà tra due anni quando lo stato sarà in maggioranza, resta un grosso interrogativo, sperando che nel frattempo arrivino i soldi del Recovery Fund. Il piano per altro esclude tutta la parte ambientale: delle onerose bonifiche si è solo accennato, così come dell’inquinamento a Taranto, dove oggi nel quartiere Tamburi si piange un altro bambino, di 11 anni, morto di tumore.
Intanto nell’altro stabilimento di Arcelor Mittal, a Genova, ieri sera è crollata una torre faro di 18 metri nell’area Molo. L’incidente è avvenuto nel momento del
cambio turno e per questo fortunatamente nessun lavoratore ci è rimasto
sotto, spiegano le RSU, che da mesi denunciano lo stato di rischio delle torri, tra cui proprio quella crollata su cui sarebbe previsto un piano di manutenzione, mai attuato secondo i sindacati.

Iran, ucciso il comandante dei pasdaran Muslim Shahdan

(di Farian Sabahi)

A poche ore dalla cerimonia funebre con cui l’Iran ha conferito lo status di martire a Fakhrizadeh, il network Al-Arabiya, con sede a Dubai dà la notizia di un’altra morte eccellente nella galassia del potere iraniano. Il comandante dei pasdaran Muslim Shahdan, è stato ucciso domenica notte da un drone in un attacco in Iraq, al confine con la Siria. L’emittente degli Emirati cita fonti irachene, secondo cui il drone ha preso di mira l’auto su cui viaggiava il comandante pasdaran. Stessa dinamica dell’omicidio del 3 gennaio contro il generale dei pasdaran Soleimanì nell’aeroporto di Baghdad.
La notizia della morte di Shahdan è in corso di sviluppo, ma non appare sui media della Repubblica islamica. Forse, la leadership di Teheran non può ammettere questo ulteriore omicidio. All’opinione pubblica iraniana, arriverebbe un messaggio troppo chiaro: siamo vulnerabili, la nostra leadership non è in grado di difenderci. E questo, ayatollah e pasdaran non possono permetterselo.
Per ora, la tv di Stato della Repubblica islamica si limita a mandare in onda le immagini della bara dello scienziato Fakhrizadeh, accanto al ritratto di Soleimanì.

Violenza di polizia in Francia: 2 poliziotti arrestati

(di Francesco Giorgini)

Questa mattina la notizia dell’incarcerazione in detenzione preventiva di due dei tre poliziotti incriminati per il pestaggio dieci giorni fa di Michel Zecler e le cui immagini hanno scandalizzato tutto il paese. Di seguito riunione d’urgenza all’Eliseo: Macron ha convocato il primo ministro, il ministro della giustizia quello dell’interno e i capigruppo della maggioranza presidenziale alla camera. All’ordine del giorno il contestato articolo 24 del progetto di legge sulla sicurezza che limita la diffusione di immagini di poliziotti in azione di servizio e contro cui sabato centinaia di migliaia  di manifestanti sono scesi in piazza in tutta la Francia.
La miscela é esplosiva per lo smart president preoccupato delle accuse di deriva autoritaria o di promuovere leggi liberticide; lui il paladino dei diritti e delle libertà criticato come un Erdogan qualunque e costretto a commentare le immagini inequivocabili di una polizia violenta e forse razzista.
 Certo la nomina del sarkozista Darmanin al ministero dell’interno puntava a consolidare il voto macronista di destra in vista delle presidenziali del 2022, ma ora il rischio é di perdere, per eccesso di zelo a destra, i liberali del centro sinistra, uno dei pilastri della maggioranza presidenziale.
Allora dopo due ore di riunione d’urgenza l’annuncio, affidato ai capigruppo parlamentari per non obbligare il ministro ad un umiliante marcia in dietro, dell’abbandono del famigerato articolo 24 del progetto di legge sulla sicurezza. Articolo che sarà riscritto in commissione parlamentare.

Francia, il governo riscrive l’articolo 24 della legge sulla sicurezza globale

(di Luisa Nannipieri)

Davanti alle proteste e al rischio sempre più concreto di creare una frattura insanabile nei ranghi della maggioranza, il governo francese ha deciso che l’articolo 24 della controversa legge sulla sicurezza globale, quello che prevede di punire chi dovesse diffondere delle immagini lesive della salute psicofisica di un agente, dovrà essere completamente riscritto dai deputati. Non stralciato, come chiedono le opposizioni, ma nemmeno rielaborato da una commissione indipendente, come aveva proposto il primo ministro scatenando la rabbia del presidente dell’assemblea nazionale che, pur appartenendo anche lui alla maggioranza presidenziale, ricordava che il potere legislativo spetta al parlamento. [CONTINUA A LEGGERE]

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    San Siro, i dubbi sulla data del vincolo spostano la decisione del Tar a mercoledì. Intervista all’avvocata Dini

    Il Tar della Lombardia oggi si è riunito per discutere la richiesta di sospensiva dell’operazione di vendita dello stadio di San Siro arrivata da Comitato Sì Meazza. Si attendeva una decisione in giornata ma i giudici si pronunceranno domani. La decisione del Tar lombardo segnerà il destino dell’operazione San Siro. Se i giudici non accoglieranno il ricorso la procedura di vendita andrà avanti con la tabella di marcia comunicata ieri dal sindaco di Milano Beppe Sala alla sua maggioranza, e cioè la vendita dello stadio entro il 31 luglio a tappe forzate. Se i giudici accoglieranno il ricorso scatterà invece la sospensiva del procedimento: tutto fermo nell’attesa di chiarire i dubbi sulla data del vincolo o sulla conformità del bando. Sulla data del vincolo il Comune dice che i 70 anni del secondo anello scatteranno il 10 novembre 2025, secondo il Comitato Sì Meazza i 70 anni sono già scattati, e hanno portato a supporto di questa tesi diverso materiale fotografico e documentale. Roberto Maggioni e Massimo Bacchetta ne hanno parlato a Popsera con l’avvocata del comitato Sì Meazza Veronica Dini che ha partecipato all’udienza al Tar.

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    Alberto Trentini, da otto mesi in carcere in Venezuela: il Governo deve attivarsi, chiede la madre del giovane

    Sono passati otto mesi da quando Alberto Trentini, operatore umanitario in Venezuela, è stato fermato e arrestato senza motivazione dalle autorità venezuelane mentre svolgeva il suo lavoro per una ong internazionale. Da quel giorno Trentini è in isolamento totale, senza contatti con l'esterno e con la sua famiglia. La madre del giovane chiede al Governo di attivarsi come ha fatto in altri casi. "In questo momento che Alberto è ancora in vita, è fondamentale il ruolo dell'informazione" queste le parole di Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21. Alessandro Braga ne ha parlato con il nostro collaboratore Lorenzo Marcandalli che segue quotidianamente la vicenda.

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