Breaking Dad

Attacco al Pianeta Terra

C’era una volta un giovane alieno. Proveniva dal pianeta XZ079 e si trovava sulla Terra perché aveva un’importante missione da compiere. Il giovane alieno era molto emozionato e anche un po’ preoccupato perché si trattava della prima, vera prova per poter diventare un “Cacciatore”. Voleva fare bella figura e, per questo, si era preparato al meglio.

Il Grande Consiglio gli aveva dato questo incarico: avrebbe dovuto verificare lo stato di sviluppo del Genere Umano per confermare – o smentire – la convenienza dell’invasione. Mica una cosa da poco, aveva pensato il giovane alieno, tutto orgoglioso che quell’incarico fosse toccato proprio a lui. Ma, del resto, si era impegnato a fondo e aveva portato al Grande Consiglio una relazione dettagliata e approfondita.

Il Genere Umano, aveva illustrato ai Saggi schiarendosi la voce, ha ormai raggiunto grandi traguardi scientifici, tecnologici e sociali. Hanno fatto passi da gigante nelle comunicazioni, le loro città sono vaste e moderne, la loro società è efficiente e organizzata in modo complesso. Le stesse abitudini quotidiane – aveva proseguito, mentre i saggi annuivano – sono contraddistinte da raffinatezza, gusto del bello, finezza di ragionamento. Non sono certo – aveva aggiunto, sicuro che quel dettaglio avrebbe convinto il Consiglio – come quei buzzurri del Pianeta Sgorbius!

Il Pianeta Sgorbius era stato candidato all’invasione ma poi scartato, dopo che la relazione di suo cugino, di qualche anno più grande di lui, aveva bocciato senza appello il grado di sviluppo della popolazione indigena.

Ascoltata l’appassionata arringa del giovane alieno, il Grande Consiglio si pronunciò. E sia. Sia dato il via libera all’ultima fase della missione Terra. Era fuori di sé per la felicità. Si vedeva già con la divisa da Cacciatore, ammirato e rispettato da tutti. Ma ora non poteva commettere errori. Tutto dipendeva da lui. Ripassò mentalmente ciò che avrebbe dovuto fare: lanciarsi con il Razzo in una zona nascosta, prendere la forma umana, mescolarsi a loro e verificare di persona. Scattare foto, girare video, insomma, mettere insieme le prove definitive.

A quel punto, avrebbe inviato un messaggio di conferma e, dal pianeta XZ079, sarebbe partita la squadra d’attacco. L’obiettivo? Semplice, conquistare la Terra, uccidere la gran parte dei Terrestri tranne quelli che servivano a far funzionare città, treni, aerei, telefoni, e così via. Nel giro di qualche mese la Terra sarebbe diventata una splendida colonia del Pianeta XZ079.

Il giovane alieno aveva studiato anche quale fosse il luogo migliore per quell’ultima, decisiva, verifica. New York, Tokio, Dubai, Londra…. Aveva scelto. Ma qualcosa andò storto. Sarà stata la tensione, l’inesperienza, chi lo sa! Sta di fatto che il Razzo, programmato per atterrare in Giappone, si infilò, nottetempo, nella sabbia della spiaggia di Zadina. Tra Cervia e Cesenatico. In Romagna, Italia. Ma il giovane alieno non lo sapeva. Non se n’era accorto, emozionato com’era. E così, sul far del giorno, dematerializzato il Razzo, assunte fattezze umane, si incamminò tra gli ombrelloni colorati.

Che strane abitazioni, pensò. Me le aspettavo un po’ più… un po’ più…
Ma non ci fece troppo caso e, visto che non c’era ancora nessuno, si sdraiò e, stanco per il viaggio, si addormentò.
Venne svegliato dalle urla di un tizio che gridava: cocco! Cocco bello! Era seminudo e portava una specie di cesto colmo di pezzetti di roba da mangiare. Il giovane alieno si stropicciò gli occhi e si guardò attorno.

Erano TUTTI seminudi! E stavano sdraiati su giacigli primitivi, se non per terra, in mezzo alla sabbia. Quest’ultima, anzi, spesso ne ricopriva la pelle ma loro non sembravano esserne infastiditi.

Il giovane alieno deglutì. Sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Poteva aver sbagliato tutto? Ma che razza di pianeta era mai quello. No, non poteva essere. Si mise a camminare nervosamente verso il mare. E li vide. Fu uno choc. Le costruzioni, le famose opere dell’ingegno terrestre che aveva studiato per anni e che tanto avevano contribuito alla sua tesi sul Pianeta Terra. Eccole lì. Quattro umani, quasi nudi pure loro, con degli attrezzi primordiali, scavavano nella sabbia. Avevano costruito una piccola, ridicola, galleria. Uno di loro si alzò e, con un improbabile contenitore, trasportò dell’acqua e la fece colare nella galleria. Due umani di piccole dimensioni applaudirono. Lui disse: grande! L’altro umano grande gli scagliò della sabbia bagnata addosso.

Era un incubo. Non poteva essere vero. Il giovane alieno si sentì perduto, ma non si diede per vinto. Sarà un caso, si disse senza crederci troppo. Si mise a correre da una parte all’altra, alla disperata ricerca di qualcosa che lo rassicurasse. Ma ovunque vedeva umani nudi che si rotolavano nella sabbia, saltellavano nell’acqua, dormivano l’uno accanto all’altro. Alcuni mangiavano con le mani, come nella preistoria, pensò. Altri utilizzavano ridicoli strumenti che, con tutta evidenza, procuravano loro divertimento: sfere colorate che lanciavano qualche metro avanti a sé. Mio Dio, ho sbagliato tutto, pensò il giovane alieno. Gli umani erano a un grado di evoluzione paragonabile agli abitanti del Pianeta Sgorbius. Ma non voleva darsi per vinto.
Corse via dalla spiaggia, attraversò la pineta: umani che si spostavano su mezzi di trasporto primitivi, con due ruote e nessuna fonte di propulsione che non fossero i loro stessi muscoli. Mio Dio! Qualcuno aveva steso teli di forma quadrata a colore alternato, rosso e bianco e, seduto per terra, si nutriva di cibo appoggiato al telo stesso. No! No!

Il giovane alieno, esausto e agitato, si avvicinò a una piccola costruzione in legno dove, aveva intuito, veniva preparato del nutrimento.
Mi dia il cibo più buono che avete qui, disse.
Il signor Loris si pulì le mani sul grembiule e rispose: la piadina!
Dopo qualche minuto il giovane alieno teneva nelle mani in forma umana un pezzo di pane piatto e caldo.

Mi sentite? Qui Terra, missione attacco. No, signore. Fermate tutto. Ripeto: missione fallita, fermate tutto. Sono mortificato, non è come pensavo. No, signore. Vi relazionerò al mio ritorno. Grazie signore. Torno al razzo signore.

E fu così che il vecchio Loris, le bocce e i castelli di sabbia salvarono l’ Umanità.

“Papà! Hai finito di scrivere? Vieni in acqua?”
“Arrivooooo!”

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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