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Alle prese con una grave crisi costituzionale

Trump russiagate

NEW YORK – Politici democratici e giuristi parlano ormai apertamente di “crisi costituzionale”. L’espressione, usata per descrivere momenti drammatici della storia americana quali la guerra civile e lo scandalo Watergate,  è stata rispolverata negli ultimi giorni dal capo della commissione giustizia della Camera Jerrold Nadler, dalla Speaker Nancy Pelosi e da quasi tutti i candidati democratici alle presidenziali del prossimo anno. 

L’inizio della crisi è coinciso con la conferma di William Barr come nuovo Ministro della Giustizia nonostante egli avesse inviato una lettera alla Casa Bianca dove si candidava alla nomina sparando a zero contro l’inchiesta Mueller sul Russiagate e affermando che il potere presidenziale è assoluto quanto quello di un re e ciò lo rende quindi intoccabile.

Da quel momento il Dipartimento di Giustizia – storicamente la branca più indipendente del governo Usa, sempre attentissima a evitare conflitti di interesse – si è trasformato nell’avvocato personale di Trump, pagato con i soldi dei contribuenti americani. Era già successo con Richard Nixon e sappiamo bene com’è finita.

Ecco allora spiegato il sequestro del Rapporto Mueller per mano di Barr. Che l’ha tenuto sotto chiave per quasi un mese, durante il quale ha inculcato nell’americano medio la bugia ripetuta all’infinito dalla FoxNews, che esso esonera Trump. Quando Mueller  ha protestato, accusando Barr di aver falsificato il suo rapporto, Trump gli ha vietato di testimoniare al Congresso. Più tardi, quando la Camera ha chiesto alla Deutsche Bank di consegnare il dossier relativo a Trump che conterrebbe le prove dei suoi intrallazzi con la mafia russa, il presidente ha querelato la banca. E nonostante la costituzione obbligasse il fisco Usa a consegnare al Congresso le dichiarazioni fiscali del presidente, Trump ha impedito all’IRS di farlo.

Nel tentativo disperato di non far conoscere agli americani la versione integrale del rapporto Mueller, Trump ha invocato il “privilegio esecutivo” a tappeto, impedendo al Congresso di svolgere il suo compito istituzionale sancito dalla Costituzione di controllore e supervisore dell’esecutivo.  “Il nostro sistema costituzionale non ha mai contemplato un presidente come Trump”, spiega il New Yorker. “I Padri Fondatori hanno anticipato l’attrito tra i tre rami del governo, una costante durante tutta la nostra storia. Ma la Casa Bianca di Trump ha ora decretato un blocco completo contro il ramo legislativo, vanificando qualsiasi supervisione. Il sistema”, conclude il New Yorker, “potrebbe non essere in grado di rispondere a quest’inedita sfida”.  Tutto dipende, adesso, da come si comporterà Trump quando il potere giudiziario, cioè i tribunali, si pronunceranno sulle innumerevoli questioni aperte dal suo ostruzionismo ad oltranza.

Spalleggiato da Barr, Trump avrebbe ordinato al Dipartimento di Giustizia di usare la possente macchina dello stato per indagare Joe Biden, suo massimo rivale politico nel 2020, proprio mentre il suo avvocato Rudy Giuliani ha chiesto aiuto al governo ucraino per farlo rieleggere. Inutile dire che entrambe le iniziative sono illegali, anticostituzionali e punibili con l’impeachment. “Trump e il suo entourage sono convinti che, se commetti un crimine alla luce del sole, non si tratta più di crimine”, si lamentano in coro i giornalisti americani.  “Visto che fino ad ora l’ha fatta franca, non ha alcun incentivo a smettere”.

La crisi costituzionale secondo alcuni rischia di sfociare in autocrazia. “Tiranni moderni come Trump non mandano carri armati nelle piazze”, mette in guardia Ian Bassin, ex consigliere della Casa Bianca, “eliminano gradualmente l’ordine costituzionale e immobilizzano complici e rivali in uno stato di paralisi perenne, normalizzando comportamenti illegali e pericolosi”. Dopo essere approdato alla Casa Bianca con l’aiuto decisivo di Wladimir Putin, da lui stesso invocato, e aver governato per due anni calpestando leggi, norme e trattati internazionali, Trump avrebbe confessato al suo ex avvocato personale Michael Coen, oggi in carcere, che sarebbe pronto ad invalidare le prossime elezioni in caso di perdita. “Questo è il motivo per cui nel 2020 dobbiamo vincere alla grande”, spiega Nancy Pelosi, “E’ l’unico modo per assicurare una transizione dei poteri pacifica a Washington”.

  • Autore articolo
    Alessandra Farkas
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    Dopo 18 ore di fermo, Ayoub è libero. A Milano il presidio solidale

    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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    1) L’incubo di Gaza visto con gli occhi di una 23enne. In esteri la testimonianza da Deir el Balah: “Mi manca ballare e ridere con le amiche”. (Aya Ashour) 2) Washington potrebbe abbandonare gli sforzi per la pace in Ucraina. Marco Rubio da Parigi lancia un avvertimento che lascia più domande che risposte. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti. Harvard dice no a Trump, lui congela i fondi. Lo scontro del presidente con le università americane è sempre più pericoloso. (Roberto Festa) 4) Un posto sicuro per la scienza. L’università di Marsiglia offre asilo accademico ai ricercatori in fuga dagli Stati Uniti. Quasi 300 fanno domanda in un mese. (Francesco Giorgini) 5) Messico, mentre il governo nega la responsabilità dello stato nelle sparizioni forzate, nel week end le famiglie dei desaparecidos si preparano alle giornate nazionali di ricerca delle persone scomparse. (Andrea Cegna) 6) Mondialità. La vittoria schiacciante di Daniel Noboa e la sconfitta del “Correismo” in Ecuador conferma i cambiamenti politici in corso in America Latina. (Alfredo Somoza)

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