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Il fantasma di Corso Venezia

Draghi ANSA - Il fantasma di Corso Venezia

Sono giorni difficili per il governo che da un lato gode ancora dei favori dei sondaggi e dall’altro però rischia di incartarsi da solo, isolato in Europa, alle prese con la manovra e con i crescenti problemi nella sua compagine. Le nubi si stanno addensando su Lollobrigida, ancora potentissimo dentro al partito nonostante la fuga da lui di Arianna e Giorgia Meloni, di cui viene alla luce ora l’assunzione di decine di collaboratrici e collaboratori al ministero dell’Agricoltura, molti dal curriculum discutibile. E il clima di paranoia e complotto alimentato da Fratelli d’Italia si sta rivoltando contro Meloni. Da questo punto di vista ci mancava solo il fantasma di Corso Venezia: sarebbe Mario Draghi, che è andato nel centro borghese di Milano, tra i palazzi Liberty e neo gotici a trovare Marina Berlusconi, l’erede politica del padre Silvio. Visita di cortesia, dice lo staff di Marina. Ma non ci crede nessuno. Forza Italia ha scherzato questa estate sui diritti civili, quando è arrivato il momento di affondare il colpo in Parlamento si è ritirata, sia sullo Ius Scholae che sulle misure cattivissime della destra come il carcere per le madri e per le donne incinte. Sui soldi, scherza un po’ meno il partito centrista. E la minaccia di stamattina di Tajani di mettersi di traverso sulla tassa sugli extraprofitti è più seria. Così come è serio l’interesse per il piano Draghi in Europa, mentre Lega e pure Meloni, sotto sotto, continuano a vedere Draghi come uno spauracchio se non come un nemico. Salvini può dirlo più liberamente, Meloni meno e allora basta una speculazione di quelle che circolano in queste ore, scenari tipo governi tecnici a guida Pd-Forza Italia, per fare salire la tensione. E’ fantascienza, oggi, lo scenario. E’ realtà quel fantasma che stava a Corso Venezia a Milano ad agitare, da lontano, la Meloni asserragliata al primo piano di Palazzo Chigi circondata solo da pretoriani, non fidandosi nemmeno della Polizia.

  • Autore articolo
    Luigi Ambrosio
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    Si chiama “Board of Peace” e Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, l’ha pensato come il grande consiglio che guiderà – sulla carta - la ricostruzione di Gaza. Il disegno immaginato da Trump non prevede l'intervento degli organismi internazionali che hanno retto la sovranità del diritto per decenni. Nel futuro di Gaza – almeno per ora – non sono previste presenze come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Il "Board of Peace" richiama molto l’idea di un consiglio di amministrazione (un “board”, appunto), che dovrà gestire un affare economico e finanziario colossale, un consiglio che avrà Trump come presidente. Il piano Trump in 20 punti, al paragrafo 9 recita: "Questo organismo (Board of Peace, ndr) definirà il quadro di riferimento e gestirà i finanziamenti per la ricostruzione di Gaza". Gestirà i soldi, proprio come un CdA che si rispetti. E le logiche finiranno per essere quelle del business e non della convivenza internazionale; dell’interesse privato e non dell’interesse pubblico; dell’autoritarismo che oscura la democrazia. Raffaele Liguori ha intervistato Fabio Armao, docente di relazioni internazionali all’università di Torino. È autore, insieme a Davide Pellegrino, di “Distopia americana. L’impatto della presidenza Trump sul sistema politico americano” (Mimesis, in uscita).

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