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Blocco degli sfratti o bomba sociale

Milano Blocco Sfratti

Sono oltre 100mila i provvedimenti in attesa di esecuzione, dal 1° gennaio con la fine del blocco degli sfratti. I sindacati inquilini chiedono una moratoria di sei mesi, l’abbassamento dei canoni (con uno sgravio fiscale compensativo per i proprietari) e un tavolo per spendere i soldi per l’edilizia pubblica ancora non spesi. L’intervista di Prisma a Stefano Chiappelli, Segretario Nazionale del Sunia.

Quasi 30mila gli sfratti in Lombardia e 16mila soltanto a Milano. La fotografia lombarda assomiglia a quella nazionale. Torniamo agli anni ‘60?

È un problema nazionale. Certamente il comparto vive una crisi enorme, dovuta anche ovviamente alla crisi economica e sociale che ha portato la pandemia. Il dato nazionale ci dice che sul 2019, prima della pandemia e della sospensione del blocco degli sfratti che scade a fine anno, le richieste di esecuzione sul territorio nazionale erano più di 100mila. Un dato assolutamente drammatico, che ovviamente noi pensiamo possa solamente aumentare se dal 1° gennaio non ci sarà almeno una sospensione delle esecuzioni per sei mesi, per mettere in campo tutte le iniziative strutturali per affrontare questo problema, che non è soltanto di emergenza dall’oggi al domani, ma è un problema di politiche di programmazione nei prossimi anni, perchè chiaramente la pandemia ha causato grossi problemi da affrontare nell’arco dei prossimi anni.

La pandemia ha portato a nudo e ha esasperato tutto ciò covava e che voi già denunciavate. Voi avete proposto la rinegoziazione dei canoni d’affitto per diminuzione. Che cos’è e chi dovrebbe farla?

Sul 2019, su circa 50mila provvedimenti di sfratto emessi a livello nazionale, l’80-85% sono per morosità incolpevole. Vuol dire che il problema è che ieri e oggi le famiglie non riescono a pagare il canone di locazione. La capacità reddituale delle famiglie si è sensibilmente impoverita. Il 50% del reddito delle famiglie viene utilizzato per pagare il canone. La Banca d’Italia ci dice che il reddito medio delle famiglie in affitto è di 30mila euro. Di fronte a questa condizione oggi è necessario che la sospensione dell’esecuzione degli sfratti, per almeno sei mesi, metta in campo anche un percorso attraverso agevolazioni fiscali alla proprietà, per rinegoziare il canone e ridurlo.

Voi chiedete allo Stato di accettare di incassare meno dalla tassazione sugli affitti, e di mettere quella quota a favore delle famiglie.

E soprattutto agevolando il proprietario, che decide di ridurre il canone di locazione. Questa è una delle proposte che abbiamo avanzato al governo e alle forze politiche. In questi giorni inizierà il dibattito sulla legge di bilancio: noi pensiamo che questo sia un aspetto importante.

Cosa c’è in questa legge di bilancio per la casa? Per chi la deve conquistare o chi fa fatica a pagarla perchè non ce l’ha, c’è qualcosa?

Sulla legge di bilancio c’è solo il rifinanziamento del Fondo sostegno all’affitto, un’altra parte importante del ragionamento per affrontare la difficile situazione abitativa. Per il 2021 sono previsti 210 milioni per il fondo, e per il 2022 330 milioni. É un passo importante, sicuramente un segnale positivo, ma non sono sicuramente sufficienti. Noi avevamo proposto un rifinanziamento di 300/400 per far fronte alle difficoltà delle famiglie dopo la pandemia. Abbiamo una massa enorme di risorse che in queste ultime settimane sono state messe a disposizione, approvate dal governo. Abbiamo il superbonus del 110%, che è uno strumento di grossa opportunità per affrontare il problema dell’efficientamento energetico. Ci sono 850 milioni dalla legge sulla rigenerazione urbana. Ieri è stata approvata la ripartizione di altri 220 milioni di interventi di rigenerazione urbana sul patrimonio pubblico e ci sono ancora giacenti 970 milioni dei contributi ex Gescal, che servono a rilanciare l’edilizia pubblica, uno scandalo nazionale. Noi chiediamo che ci sia un coordinamento di tutte queste risorse, con una regia pubblica, perchè possano essere utilizzate a rilanciare l’edilizia residenziale.

Nonostante i soldi ci siano, pare di capire che non si costruisce, ne si restruttura, il vuoto e l’ammalorato che c’è.

Oggi l’obiettivo è che tutte queste risorse debbano essere destinate ad aumentare gli alloggi di edilizia pubblica e sociale a canone sostenibile. Anche sulle politiche verso l’housing sociale dev’essere fatta chiarezza: se qualcuno pensa che sia alternativo alle case popolari commette un grande errore. L’housing sociale non sostituisce l’aumento del patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica, ma deve aiutare a dare un’offerta abitativa a quelle famiglie troppo ricche per stare nelle case popolari ma troppo povere per stare sul mercato privato. Non può essere alternativa al fatto che ci sia bisogno di rilanciare il patrimonio pubblico del nostro paese. Sono circa 700mila le domande di famiglie per una casa popolare sul territorio nazionale. Siamo il 4% in Europa di edilizia residenziale pubblica, spendiamo pochissimo di spesa sociale. Tutte queste risorse devono essere coordinate, attraverso anche un confronto con i Comuni e le Regioni, ma finalizzate a un obiettivo. Chi non ce la fa oggi è quel ceto medio produttivo che negli anni passati aveva un minimo di tranquillità, sia su aspetto lavorativo sia su aspetto abitativo. A quelle famiglie bisogna dare un’offerta pubblica in affitto, a canone sostenibile.

C’è un tavolo da aprire, o state parlando a tutti?

Il tavolo lo abbiamo chiesto al Governo e anche all’Associazione dei Comuni e alla Conferenza delle Regioni. In questi mesi lavoriamo per costruire questo tavolo, e le stesse Regioni sono uscite con proposte molto vicine a quella che abbiamo avanzato noi. Bisogna mettere in campo un patto sociale per la casa, coinvolgendo tutti gli attori. Oggi il problema vero è come affrontare un’emegenza abitativa che nei prossimi anni, se non mettiamo in campo politiche strutturali, non può essere risolta. L’appello al Governo è che comunque bisogna mettere in campo un provvedimento urgente di sospensione dell’esecuzione degli sfratti, per poi sederci intorno al tavolo e discutere di come risolvere il problema nei prossimi anni. Io credo che il governo non possa non farlo, a fronte anche delle restrizioni dovute alla pandemia nel periodo natalizio. Sarebbe un controsenso chiudere le famiglie in casa e cacciarle via il 1 gennaio.

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