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Si accomodi, Mr. Orban

“Congratulazioni, non vedo l’ora di continuare a lavorare con voi per le nostre sfide europee”. Manfred Weber, capo del Partito polare europeo.

“Non vedo l’ora di collaborare con il governo ungherese su molte questioni di interesse comune”. Jean Claude Junker, presidente della commissione europea.

“Mi congratulo di cuore per il suo successo”. Angela Merkel, cancelliera tedesca.

Di cosa parliamo quando parliamo di Orban. Parafarasando Raymond Carver, rendiamoci conto che non parliamo di un orco che terrorizza Bruxelles.

Macché. Viktor Orban è un leader tenuto i palmo di mano. E’ uno dei maggior enti di quel Partito popolare europeo che domina il parlamento di Strasburgo. E che a sua volta è dominato da Angela Merkel. Il partito popolare europeo, in origine famiglia democristiana conservatrice e di rango, si è negli anni trasformato in un contenitore di partiti ben più a destra. Compresi leader discussi e ingombranti, basti pensare a Silvio Berlusconi. E oggi Orban se ne sta serenamente lì, dove furono De Gasperi e Adenauer.

Il gruppo parlamentare del Ppe ha 216 eurodeputati, quelli del partito di Orban, Fidesz, sono 13. Una forza siginificativa che diventa ancor più influente unita ai partiti cugini di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia. L’alleanza del Gruppo di Viesegrad, che si muove come un contropotere all’interno delle istituzioni europee.

Orban ne ha dette di tutti i colori contro l’Unione Europea. E altrettante ne ha fatte. La democrazia liberale è un sistema fallimentare, Russia, Turchia, Iran funzionano meglio: è una delle sue tesi preferite.

Insieme al ritorno alla sovranità nazionale: della Ue Orban  rifiuta i valori ma accetta i soldi. Con i muri e la linea dura anti-migranti si auto-proclama “difensore dell’Europa cristiana e bianca“. Con accenti antisemiti (vedi gli attacchi a Geroge Soros, indicato a simbolo della plutocrazia mondialista).

E, in Ungheria, sta cercando di piegare le istituzioni al suo volere. Ma anche in questo caso, l’Unione europea non sa reagire. Quando Orban ha fatto approvare la riforma della giustizia che sottomette i magistrati al suo governo, o la legge liberticida sulla stampa, sono arrivate proteste e minacce di sanzioni. Ma al momento tutto è fermo, anche perché il perverso sistema dell’unanimità del Consiglio (cioè, i governi stessi) non consente di farle scattare senza il via libera dello stesso paese sotto accusa e dei suoi stretti alleati.

Il leader ungherese non è un orco, insomma. E’ uno dei partner a Strasburgo del Ppe, e uno dei leader più in forma nel panorama europeo di fronte a una Merkel a fine ciclo, a un Macron zoppicante a un’Italia impantanata. E dunque, prego, si accomodi, mister Orban.

Orban

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    Alessandro Principe
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    Se ne parla solo quando c'è un suicidio, ma il tema della salute mentale negli istituti penitenziari va ben oltre i fatti di cronaca nera ed è un tema che investe chiunque abbia a che fare col carcere. Detenuti e detenute in primis, ma anche chi tra quelle mura ci lavora: educatori e educatrici, psicologi e psicologhe, agenti di polizia penitenziaria. Tra sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie e politiche poco umane, si rischia di impazzire. Ne abbiamo parlato con il consigliere comunale di Milano Alessandro Giungi, il consigliere regionale lombardo Luca Paladini, il nuovo garante dei detenuti di Milano Luigi Pagano, col coordinatore del dipartimento di amministrazione penitenziaria della Fp-Cgil della Lombardia Andrea De Santo e con la coordinatrice di Antigone Lombardia Valeria Verdolini.

    M7 – il settimanale di Metroregione - 08-11-2025

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