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Caso Skripal, intervista al professor Gianluca Pastori

Il Presidente russo Vladimir Putin

Le conseguenze del cosiddetto caso Skripal, con un’ondata di espulsioni di diplomatici russi da molti Paesi Membri dell’Unione Europa, continuano a sollevare molte domande sull’immediato futuro dei rapporti diplomatici con la Russia e dopo aver approfondito l’opinione del giornalista e storico Sergio Romano, oggi vogliamo fornirvi la lettura di un altro esporti di relazioni internazionali.

Raffaele Masto di Radio Popolare ha intervistato Gianluca Pastori, docente dell’Università Cattolica di Milano e Socio fondatore di SeSaMO, Società per gli Studi sul Medio Oriente:

Se la convinzione o l’auspicio delle autorità europee è di trovare la famosa smoking gun, la pistola fumante che tanti anni fa si cercava per giustificare interventi mirati contro Saddam Hussein, temo che sarà un po’ difficile trovarla. Come sempre, in questo tipo di vicende, le prove sono certamente delle prove indiziarie, diciamo così. Non credo che alla fine della vicenda si riuscirà effettivamente e materialmente a trovare, diciamo in senso giuridicamente vincolante, le responsabilità della Russia nell’accaduto.

Ma non si riuscirà a trovarla perchè non c’è o perchè manca la prova?

Beh qui andiamo su una questione molto più delicata. Sicuramente non si riuscirà a trovare perchè non sarà materialmente possibile trovarla. Gli argomenti anti-russi sono noti e gli argomenti pro-russi, cioè gli argomenti di quanti sostengono che il governo e le autorità russe sarebbero estranee alle vicende, si basano sul principio secondo il quale nessuno sembrerebbe ricavare qualcosa da questa vicenda. È difficile dare una risposta così anche al momento sulla base delle nostre attuali conoscenze, ma ripeto sicuramente la cosa importante in questo momento è che l’ambiguità della situazione permette ad entrambi le parti – a Mosca e all’Europa, di sostenere di avere ragione. E questo politicamente è l’aspetto più importante.

Ecco allora rimaniamo sul generale. Non è la prima volta che c’è una reazione così unanime dell’Europa contro la Russia, basta ricordare il caso Ucraina. Dal punto di vista politico è una cosa razionale? Funziona? Quali interessi ci sono in gioco?

Diciamo che sulla questione dei rapporti con la Russia, l’Europa che ha molta difficoltà a stare insieme in questo momento sembra trovare la forma di una sorta di unità di facciata, diciamo così. Però come accaduto nel caso ucraino, questa unità di facciata tende a sgretolarsi sul lungo periodo. L’Europa appariva molto più unità di quanto poi in effetti non è stato. La mia impressione è che anche in questo momento succederà qualcosa di simile. Alcuni governi che per ragioni di politica interna continuano a mantenere un forte atteggiamento antirusso continueranno a tenere duro in questa prova di forza. Altri governi progressivamente e in maniera poco esplicita cercheranno progressivamente di disimpegnarsi dagli obblighi assunti in questi giorni e in queste ore.

Lei pensa che la Russia abbia interferito con le elezioni americane o che sia dietro questo avvelenamento di questo agente in Gran Bretagna o è l’Occidente che invece si va a cercare delle prove su questi temi?

Personalmente credo non sia il caso di mettere tutte le vicende insieme. Non so come e quando la Russia possa essere responsabile di questo ultimo avvelenamento. Per quanto riguarda la questione delle elezioni americane o comunque in generale la temuta influenza della Russia nelle elezioni in una serie di Paesi europei, beh questo lo trovo più possibile, però una certa azione di influenza sul voto di Paesi considerati importanti è normale in una certa misura e fa parte del normale gioco democratico per certi aspetti. Parliamo di influenza in questo caso, non di imbroglio o di frode nel voto. Diversi Paesi esteri sono in fondo degli attori all’interno dei sistemi politici nazionali, dei gruppi di pressione che agiscono in modo che il sistema elettorale non sia a loro sgradito. Questa non è una prassi che riguarda soltanto la politica estera russa, non è una prassi che riguarda soltanto gli ultimi anni, gli ultimi 10 anni. È una prassi consolidata almeno da quando le elezioni sono diventate una procedura normale all’interno di un sistema politico internazionale e interconnesso, quindi almeno da 50-60 anni.

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