Approfondimenti

Je so’ pazzo per il Potere al Popolo

L’oro di Napoli*

*Famoso film a episodi di Vittorio De Sica (1954)

Premessa. Come è ben noto la quistione – come scriveva Gramsci – meridionale è uno dei principali problemi che attanaglia il nostro paese sul piano economico, politico, sociale, civile, culturale se non antropologico, almeno dall’unità fino a oggi. Ascoltando notizie e racconti che mi giungevano da fonti diverse, mi è parso che Napoli fosse e sia in pieno fermento, una realtà assai più ricca e ben diversa dalla rappresentazione che se ne dà in termini di pura e semplice camorra e/o violenza criminale fino alle cosiddette baby gang. Inoltre nel panorama melmoso e stantio della politica nazionale, quale emerge in questa campagna elettorale, il fatto che Je so’ pazzo, centro sociale napoletano cosiddetto, lanciasse una lista nazionale titolata Potere al Popolo ha risvegliato la mia curiosità e voglia di andare a vedere in loco. Nel mentre leggevo i libri di Maurizio De Giovanni, restandone incantato, per le storie e per la città. Così, accompagnato da una guida locale, Amalia Tiano de Vivo, cui si devono tra l’altro le foto, sono sbarcato a Napoli per cercare di capire qualcosa attraverso due finestre: una culturale colloquiando con De Giovanni, l’altra quella dell’impegno politico sociale passando un qualche tempo a Je so’ pazzo, alle sue iniziative, coi suoi militanti e con le persone che lo frequentano. Da questo viaggio nascono i due reportage che seguono: il primo Je so’ pazzo per il potere al popolo, il secondo Non si ferma uno tsunami chiudendo le finestre.

***

Je so’ pazzo per il Potere al Popolo

Sono maoisti i giovani di Je so’ pazzo? Oppure cristiani magari senza Dio? Magari che praticano la Caritas camuffati da comunisti/e? O ancora persone alla ricerca di un seggio in Parlamento, visto che gli altri lavori sono grami a Napoli? E altro ancora si potrebbe ipotizzare per gli abitanti di questo strano animale che è Je so’ pazzo.

Noi siamo una casa del popolo. Je so’ pazzo è una casa del popolo. Così m’accolgono al presidio di protesta davanti alla RAI napoletana. Un giornalista del TG locale scende in mezzo a loro travestiti da fantasmi spiegando che mai e poi mai si sognò di oscurare la loro lista, solo che ecc… insomma incomprensioni e mancate comunicazioni. Un po’ si ride un po’ si contesta, ma senza alcuna cattiveria.

La dizione casa del popolo viene in seguito alla mia domanda: cosa vi distingue dagli altri centri sociali, per esempio il Leoncavallo. Ridono, sono piuttosto allegri questi/e militanti, le donne dalle ragazze alle mamme sono parecchie. Mentre la protesta alla RAI prosegue, parlo con alcuni studenti universitari che declinano il potere al popolo in potere studentesco, incerti se lo hanno già sentito da qualche parte.

(Nel ’68 , a Trento, poi ovunque ci fosse un’università, Potere Studentesco diventò una parola d’ordine che un po’ scimmiottava il Potere Nero, e un po’ nasceva da esigenze reali, ma il ’68 per loro appartiene a un’altra era geologica). Quindi snocciolano alcuni obiettivi tra cui il sempiterno diritto allo studio e accesso all’università per tutti, ammettendo che per ora le masse degli studenti non si mobilitano, “oggi è difficile anche solo parlare di politica, rischi che non t’ascolti nessuno”. Comunque hanno fondato il CAU (Collettivo Autorganizzato Universitario) e hanno alle spalle Je so’ pazzo, la loro casa del popolo di cui vanno molto orgogliosi. Ma cos’è una casa del popolo a Napoli nel 2018? Che fa? E perché hanno costituito una lista elettorale? Intanto scopro il poderoso, eroico pulmino di Je so’ pazzo, per i passeggeri attrezzato con un paio di sedie instabili oppure si sta accovacciati sul cassone, tuttavia avendo un occhio di riguardo per la mia età un compagno – il modo con cui si chiamano l’un l’altro – mi offre un passaggio a bordo della sua macchina. Lavora in banca, ha una figlia, è in attesa di un bimbo e si è candidato. Arriviamo all’ex OPG, ospedale psichiatrico giudiziario, occupato, la famosa casa del popolo come sta scritto all’entrata.

 Foto Amalia Tiano De Vivo
Foto Amalia Tiano de Vivo

E’ un grande spazio senza riscaldamento secondo la migliore tradizione dell’estrema sinistra d’antan però ben tenuto, fino ai cessi di inusitato candore, con indicazioni in tripla lingua, italiano, francese, inglese del tipo: secondo chiostro, terzo chiostro, sportello medico popolare, parete di arrampicata, scuola italiano per migranti, raccolta di indumenti, aula studio, biblioteca popolare, bagno/toilette. Le attività che si svolgono sono una quarantina, dalla palestra all’ambulatorio, dalla scuola di ballo allo sportello migranti, dalla cucina popolare alla camera del lavoro, dal teatro al doposcuola, il tutto con un agguerrito sportello legale particolarmente attivo sul fronte del lavoro tanto quanto dei migranti. Si tratta di iniziative permanenti tenute in piedi dalle 15 alle 22 da oltre centocinquanta (150) volontari, alquanto partecipate, aperte e frequentate da persone di ogni età, colore, nazionalità. Una parola viene invocata per definirle: mutualistiche, attività mutualistiche. Una parola che sta nella storia del Movimento Operaio e Cooperativo dalla fine dell’ottocento. Quindi apparentemente niente di nuovo sotto il sole. Oppure anche: cosa distingue la raccolta di indumenti della casa del popolo da quella fatta dalla Caritas? E infine: queste attività hanno un buon successo nel contesto di Napoli dove i servizi sociali sono molto carenti o assenti tout court, una città col PIL più basso d’Italia. E’ bene farle ma non paiono certamente un viatico per il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, come Marx definì il comunismo, e voi vi chiamate comunisti finisco rivolto a Gianpiero. La risposta arriva in due assiomi. Il primo dice: “abbiamo molto lavorato sul linguaggio e sul modo d’approccio cercando di staccarci dal mito degli anni ’70, di cambiare proprio lingua, di operare su e dentro questo mondo, senza rimandare tutto a una utopia, a un mondo ideale per giunta del passato, sviluppando una capacità di migliorare la vita del popolo qui e ora”. La parola d’ordine sembra essere: dobbiamo sistemare il mondo che c’è e non idealizzare un mondo che non esiste. Il secondo recita: “in ognuno di questi ambiti mutualistici lavoriamo a costruire momenti di autorganizzazione. Non c’è chi assiste e chi è assistito ma insieme lavoriamo perché tutte le persone siano in grado di riappropriarsi della propria vita, a cominciare dalla salute, dalla scuola, dalla cittadinanza, in modo collettivo.”

A questo punto devo dire che mi sto appassionando alle vicende di questa casa del popolo, come da tempo non mi accadeva parlando e ascoltando di politica. Questo esperimento di un popolo (una parte di un popolo) che si autorganizza per soddisfare alcuni dei suoi bisogni fondamentali mi pare degno di nota, e oggi in Italia parecchio nuovo. Non so quanto sia ripetibile in altri luoghi diversi da Napoli, ma qui sta come il cacio sui maccheroni.

Il mio interlocutore colloca la loro pratica chiamando in causa il maoismo, “andiamo a scuola dalle masse – quello che è importante per noi non è detto lo sia per i proletari – organizziamo la resistenza del popolo, facciamo l’inchiesta, ecc…”.

E’ chiaro che questo significa un approccio molto diverso da quello che si avrebbe a Milano, non sento mai parole come produzione, produttività, nemmeno sfruttamento in fabbrica, e difficilmente potrei definire un “popolo milanese” da liberare con una lunga marcia attraverso i quartieri. Col che gli operai ci sono, e in contemporanea a me Giorgio Cremaschi, già dirigente nazionale FIOM, oggi aderente a Potere al Popolo, sta discutendo a Pomigliano con un gruppo di operai. Ma continuiamo dentro l’OPG perché dal maoismo si passa alle unità di misura: “come si misura l’impatto della nostra azione politica. Fin dall’inizio quando siamo entrati qua dentro, senza un progetto che non fosse quello di ascoltare le persone del popolo, ci siamo proposti di compiere azioni che fossero vincenti o almeno che avessero un reale effetto, misurabile”. E snocciola alcune iniziative. Qui ne scegliamo due. La prima proprio in senso cronologico a suo modo esemplare. “Eravamo appena entrati in occupazione, la via che sta là, via Salvator Rosa, era percorsa da automobili a velocità molto alta, provocando numerosi incidenti sui pedoni. Da tempo gli abitanti chiedevano un semaforo, ma l’amministrazione non ne voleva sapere. Poi la catechista della chiesa signora Annamaria, molto conosciuta e stimata, viene uccisa da una macchina e l’indignazione cresce. Il parroco chiama a una fiaccolata di ricordo e protesta cui decidiamo di partecipare, impegnandoci di fronte al quartiere per ottenere l’installazione del semaforo a chiamata. Ci sono voluti tre mesi di lotta dura senza paura – e sorride – però ce l’abbiamo fatta. Il 26 gennaio 2016 entra in opera il semaforo, il nostro monumento, e io ogni mattina quando vengo all’OPG mi fermo, lo aziono attraverso la strada e comincio la mia buona giornata.” Si potrebbe chiamare scaramanzia napoletana e mette allegria.

La seconda è l’esperienza del controllo popolare ai seggi contro il voto di scambio e la compravendita dei voti agita dalla camorra. “Abbiamo costituito delle squadre di vigilanza e siamo andati a Scampia, al rione Sanità, ai quartieri spagnoli, a Pianura cioè laddove i fasciocamorristi erano più attivi. Abbiamo ricevuto minacce, aggressioni, promesse di ritorsioni ma a un certo punto è successo un fatto inimmaginabile: le persone si sono unite a noi, in molti modi, dal portarci da mangiare o offrirci il caffè, allo scendere fisicamente al nostro fianco. E’ scattata una solidarietà popolare. Anche così il candidato della destra Lettieri ha perso e De Magistris ha vinto”. Il sindaco di Napoli che attraverso una sentenza della magistratura ha avuto in affidamento la gestione giudiziaria dell’ ex-OPG, in qualche modo mettendo Je so’ pazzo al riparo per ora da uno sgombero, che all’inizio quando fu occupato il 2 marzo 2015 sembrava possibile, se non prossimo.

Uscendo dall’OPG si può arrivare in Sant’Antonio a Tarsia, chiesa in disuso di proprietà dei Redentoristi, recentemente occupata (3 febbraio) dalla Rete di Solidarietà Popolare – emanazione con altri della casa del popolo – per dare alloggio ai senzatetto. Oltre ai nostri amici dell’ex-OPG, troviamo tra i protagonisti padre Alex Zanotelli, Giuseppe Aragno già docente di Storia all’università, don Francesco Esposito cappellano a Poggioreale. La chiesa era abbandonata da anni, e ripetutamente saccheggiata senza che nessuno battesse ciglio, ma adesso che sono arrivati “i centri sociali” apriti cielo. Ci si mettono un po’ tutti, da Liberi e Uguali che nella persona del consigliere comunale Mario Coppeto dice: “Sono atti pericolosi in campagna elettorale”, alla deputata e consigliera PD Valeria Valente che parla di “potenziale inquinamento della campagna elettorale da parte dei militanti di Potere al Popolo”, mentre a destra si tuona. Poi arriva la storia di Macerata, e il PD in un angolo ha adesso altre gatte da pelare. A questo punto la nostra cronaca sta volgendo al termine, se non fosse per la scelta di Je so’ pazzo di farsi promotore di una lista nazionale in condominio con Rifondazione Comunista, mettendo in moto Potere al Popolo, che tra l’altro sta scritto nell’articolo uno della nostra Costituzione: (..) La sovranità appartiene al popolo (..). Ne discutiamo con Chiara, uno dei portavoce: non accadrà che Rifondazione forte di una organizzazione nazionale prenda il sopravvento e i meccanismi della politica politicante contaminino Je so’ pazzo? In realtà questa domanda l’ho sparsa in giro dal mattino, ma tutti se ne sono tenuti alla larga. Così è finita in coda e con Chiara, una degli artefici. La chiave di volta che presenta sono le assemblee territoriali dove sono stati scelti i candidati e i delegati. Insomma i nodi di una nuova formazione politica? In realtà non si capisce ancora, che anche tra i centri sociali non c’è unanimità sul percorso elettorale, mentre neppure tutta Rifondazione sembra schierata a favore dell’abbraccio cogli stessi. Probabilmente molto dipenderà se Potere al Popolo riuscirà a superare la soglia del 3%, eleggendo qualche deputato, oppure no. Comunque sia soprattutto a Napoli, dove il popolo esiste come entità antropologica ben connotata e dove l’attività politica a sinistra sembra avere nuovi tratti interessanti e ricchi di senso, questa campagna elettorale costituisce uno spazio aperto di sperimentazione verso chissà una nuova forma partito e una nuova capacità di essere sinistra nella società.

(continua)

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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