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Gaza, l’inchiesta della BBC sull’agenzia fantasma incaricata da Tel Aviv di gestire la distribuzione degli aiuti umanitari

Nella striscia di Gaza la strategia del cibo provoca un nuovo massacro

Il giornalista della BBC Tom Bateman è andato a Dover, nel Delaware, per indagare sulla Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione sostenuta da Stati Uniti e Israele con l’obiettivo dichiarato di distribuire aiuti alimentari alla popolazione di Gaza. La sua registrazione ufficiale risale a due settimane dopo l’insediamento del presidente Donald Trump, proprio in Delaware, uno Stato noto per la sua normativa molto permissiva sulla trasparenza societaria.

Tra i nomi citati in un documento trapelato a maggio, come potenziali dirigenti o consulenti della GHF compaiono figure importanti del settore umanitario come Nate Mook, ex direttore di World Central Kitchen, David Beasley, ex direttore del World Food Program, e Jake Wood, veterano dei Marine e disaster response expert. Dopo alcune verifiche, è però emerso che né Mook né Beasley sono effettivamente coinvolti e il documento sembra piuttosto una “lista dei desideri”, pensata per legittimare il progetto e attirare fondi.

Al contrario, Jake Wood era stato nominato direttore esecutivo, ma si è dimesso dopo pochi giorni, affermando pubblicamente che la GHF violava i principi umanitari fondamentali: umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza. Visitando di persona l’indirizzo ufficiale della GHF trovato nei registri pubblici, Bateman ha scoperto che non si trattava della sede operativa della fondazione, ma semplicemente di un’agenzia di registrazione aziendale. Le impiegate presenti non sapevano nulla dell’organizzazione e alla domanda sul perché una fondazione si registrasse lì senza avere una sede reale, una di loro ha risposto sorridendo: “Così nessuno li disturba”.

Nei giorni successivi Bateman ha cercato ripetutamente ma senza successo di ottenere un’intervista ufficiale con il portavoce della GHF e con il presidente esecutivo: il reverendo Johnnie Moore, pastore evangelico vicino a Donald Trump e noto sostenitore di Israele e che in un’intervista a Fox news ha apertamente attaccato il sistema di aiuti dell’ONU. Nessuna informazione concreta è stata fornita né sulla governance, né sui finanziamenti della fondazione.

Nel tentativo di ottenere maggiori informazioni, si è rivolto anche all’ufficio statale del Delaware, dove ha ricevuto tre semplici pagine che confermavano solo il cambio di nome della fondazione, avvenuto il 28 aprile: da “Global Humanitarian Fund” a “Gaza Humanitarian Foundation”. Il documento era firmato da Loik Henderson, Presidente un avvocato con esperienza nel settore aziendale. Ogni tentativo di contattarlo, però, è andato a vuoto.

Il giorno seguente, la GHF ha inviato un comunicato via email, anonimo e privo di contatti stampa, in cui affermava di aver distribuito 19 camion di cibo quel giorno. Una quantità molto inferiore rispetto ai 600 camion al giorno che l’ONU riusciva a far entrare durante il cessate il fuoco. Per oltre due milioni di persone, quei numeri sono tragicamente insufficienti.

di Sara Farinella

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    Il grande flop delle case della salute. Solo il 5% è pienamente funzionante. La denuncia del Pd lombardo

    Dovevano essere i presidi con cui ricostruire la sanità sul territorio in Lombardia, ma finora le case di comunità sono state un flop. 216 sono quelle previste entro la scadenza dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che arriverà a giugno 2026. Al momento 140 hanno aperto, ma solo otto in tutta la regione (sei in provincia di Bergamo e due nel varesotto) hanno tutti i requisiti obbligatori previsti dalla legge. In totale sono meno del 6 percento. La denuncia è del gruppo consiliare del Partito democratico lombardo che ha fatto un accesso agli atti alla direzione generale Welfare per ognuna delle case di comunità attive in Lombardia. L’assessorato ha replicato che i numeri diffusi “sono usati in modo difforme dalla realtà. Le rilevazioni mostrano percentuali elevate di attuazione per la maggior parte dei servizi obbligatori”. Per il capogruppo del Pd al Pirellone, Pierfrancesco Majorino, “Regione Lombardia è in colpevole ritardo”.

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