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Sequestro penale. Quel parco non s’ha da fare?

Da una settimana i cartelli apposti dal Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e forestale dei Carabinieri del Gruppo di Sondrio  mostrano che per l’area Ex Falk di Novate Mezzola, si è aperto un nuovo capitolo. Sigilli a presidi, piezometri, pozzi e vasche di un’acciaieria che per 26 anni ha inquinato la terra e le acque di una preziosa area naturale e che, anche dopo la chiusura avvenuta nel 1991 , probabilmente continua a farlo.

L’imputato principale e’ il CrVI (cromo esavalente), sostanza altamente cancerogena presente nelle scorie prodotte dall’attività siderurgica; per anni sono state riversate nel lago e accumulate in discariche abusive che si trovano ancora in loco. Si, perché una vera e propria bonifica dell area, nonostante lo prevedesse l’accordo fra enti locali e proprietà a fine anni ’90, non è mai stata fatta. Per ragioni prevalentemente economiche si sono svolte delle operazioni definibili come “messa in sicurezza”: copertura in asfalto dell’area occupata dallo stabilimento e una telonatura impermeabile solo sulla superficie delle scorie. Conseguenza: il CrIV ha continuato a dilavare nel terreno negli anni, tanto che l’ARPA ha stabilito come ‘’non buone’ lo stato chimico delle acque del lago di Novate Mezzola.

Questo non ha impedito agli enti locali di dare il via libera nel 2014 all’iter di approvazione di un nuovo progetto industriale, quello di un parco minerario per l’estrazione e la lavorazione di massicciati per l’alta velocita’. Un progetto fortemente contestato da cittadini locali costituitosi nel Comitato Salute Ambiente Valli Lago,e non solo per il suo forte impatto su di una zona gia fortemente stressata per la quale i suoi abitanti legittiamente auspicherebbero un altra destinazione. Negli anni il comitato si e’ attrezzato per mettere in discussione con osservazioni verificate e dati certi la non fattibilita’, quando non l’irregolarita’, del progetto, sia nei suoi termini che nel suo iter di approvazione : contestate fra le altre cose, anche per mezzo di svariati ricorsi al TAR, l’edificazione su di un ‘ area contaminata, le attivita di lavorazione degli inerti vietate dal piano regionale, i livelli di contaminazione delle acque e del terreno, le indagini epidemiologiche e la presunta messa in sicurezza.

In questo momento le autorita’ giudiziarie sembrano dare ascolto in particolare alle denunce riguardanti le concentrazioni di cromo. Il sequestro avviene dopo che sono stati finalmente resi pubblici dal comune le analisi eseguite a partire dalle crepe del muro che separa l’area messa in sicurezza .

Non si tratta della prima indagine aperta dalla procura sulla faccenda scoperchiata dal comitato : in relazione al progetto del parco minerario nel 2015 dopo una perquisizione in comune e in comunita’ montana si ipotizzarono i reati di abuso d’ufficio e falso ideologico.

Nonstante gli enti locali, dalla regione alla provincia al comune abbiano dato via libera al progetto esprimendo parere favorevole sulla valutazione di impatto ambientale e approvando il cambio di destinazione d’uso dell’area, rimane aperta la questione della bonifica sula quale la regione in seguito a una mozione scritta dai cittadini , e’ stata costretta all’istituzione di un tavolo di valutazione. Sulla certificazione di avvenuta messa in sicurezza e iter per la concessione della ripresa dell’attività produttiva, pendono ben quattro ricorsi di tipo amministrativo. Un primo pronunciamento del Tar è previsto per il 9 maggio.Ora, il sequestro della procura che vieta l’ingresso nell’area.

Al momento questo parco non s’ha da fare.

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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    In diretta dall'Ucraina Sabato Angieri ci racconta delle profonde differenze che ormai segnano il paese tra territori in guerra e retrovie, di chi non vuole andarsene nonostante la guerra abbia distrutto spazi e vite e di come il fronte insista da due anni sugli stessi campi. Gianpaolo Scarante, docente all'Università di Padova ed ex-diplomatico analizza lo scontro verbale tra Russia e Nato e invoca il ritorno della ragione per evitare una escalation dei fatti. Emanuele Valenti ci aggiorna sull'entrata dei carri armati a Gaza City dopo giorni di bombardamenti mirati a distruggere tutti i palazzi principali della città per forzare la popolazione ad andarsene. Ma la popolazione non ha nessun posto dove andare. E anche chi avrebbe un visto di studio in Italia non riesce a uscire dall'inferno della Striscia lo raccontano le voci di alcuni degli studenti palestinesi che hanno vinto una borsa di studio nelle università italiane. Molti di loro hanno diffuso appelli sui social per chiedere di fare pressione sulle autorità italiane affinché organizzino la loro evacuazione immediata. Sentiamo le loro voci e ci spiega come stanno, chi sono e perché non si riesce ad aprire un corridoio umanitario per loro Stefano Simonetta, Prorettore ai Servizi agli Studenti e al Diritto allo Studio della Università Statale di Milano.

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