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La crisi dei profughi vista dalla Svizzera

Nei giorni scorsi abbiamo raccontato la crisi dei profughi accampati da un mese alla stazione San Giovanni di Como. 300 persone, eritrei, etiopi e somali, respinti alla frontiera di Chiasso e rimandati in Italia. Tra loro tante donne incinte e tanti minori non accompagnati.

La Svizzera ha aumentato i controlli alla frontiera e in strada, i migranti non in regola con i documenti e che non fanno richiesta d’asilo in Svizzera vengono rimandati in Italia.

Da Como, per far scendere il numero di persone accampate nei giardinetti della stazione, sono partiti nelle scorse settimane autobus carichi di migranti rimandati nel sud Italia. Un giro perverso, tanto che alcuni di loro sono già ritornati a Como per cercare di superare il confine.

Vogliono quasi tutti raggiungere la Germania, paese che sulla vicenda sta tenendo un profilo basso. In molti però, soprattutto in Svizzera, spiegano i maggiori controlli proprio con una rigidità tedesca verso l’accoglienza di eritrei, etiopi e somali. Nessuno lo dice ufficialmente, ma “la Svizzera respinge perché non vuole rischiare di ritrovarsi con migranti rimandati indietro al confine tedesco” dicono in tanti a microfono spento.

Chi vuole fare richiesta d’asilo in Svizzera può farla, anche se la deputata socialista al Gran Consiglio Lisa Bosia Mirra ha denunciato violazioni di queste procedure.

In una settimana, secondo l’Amministrazione federale svizzera delle dogane, sono state fermate 1.349 persone, delle quali 1.102 respinte in Italia perché non intendevano presentare richiesta d’asilo ma soltanto transitare per la Svizzera verso la Germania. Negli ultimi quattro quattro giorni di luglio le autorità ticinesi hanno registrati oltre 700 nuovi arrivi.

Le domande d’asilo sono però in calo: 247 nell’ultima settimana di luglio, mentre nella precedente erano state 981. Tra aprile e giugno sono state poco meno di 6.000, circa il 25% in meno rispetto al primo trimestre dell’anno. Rispetto ad un anno fa sono calate del 45%.

Non sono respingimenti quelli che facciamo” dice il portavoce delle guardie di confine svizzere Mirco Ricci. “Se un migrante vuole recarsi in nord Europa ma non adempie alle condizioni d’entrata in Svizzera, noi lo riammettiamo in Italia sulla base della procedura e degli accordi vigenti”. Tra cui il protocollo di Dublino, che obbliga il richiedente asilo a fare domanda nel primo paese europeo in cui mette piede. Nel caso di sbarchi via mare, questo paese è evidentemente l’Italia.

La destra svizzera sta alimentando da tempo una campagna anti-immigrazione che coinvolge anche i mal sopportati frontalieri italiani. Ma con i profughi i partiti di destra hanno trovato terreno ancora più fertile per alimentare un discorso pubblico xenofobo e di chiusura dei confini. A giugno l’Udc, partito euroscettico, contro l’immigrazione e uscito vincente dalle ultime elezioni svizzere, parlava di “immigrazione clandestina fuori controllo”.

Qualcuno si è spinto oltre chiedendo l’intervento dell’esercito, cosa che non avverrà per il momento perché, ha spiegato un portavoce dell’esercito, “non ci si è minimamente avvicinati al limite dei 30 mila arrivi di profughi in pochi giorni”, limite posto dal Consiglio Federale per un eventuale dispiegamento di truppe ai confini.

Il Canton Ticino intanto ha annunciato la costruzione di una nuova struttura per l’accoglienza temporanea dei profughi in attesa dell’espulsione verso l’Italia.

Di questi e altri temi legati alla crisi dei migranti, vista dalla Svizzera, abbiamo parlato con Aldo Bertagni, vicedirettore del quotidiano La Regione del Ticino:

aldo bertagni profughi svizzera

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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