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Dal Mali, l’ultimo album di Nfaly Diakité

Dal Mali, l’ultimo album di Nfaly Diakité

Ormai da diversi anni a questa parte la presenza della musica africana nelle uscite delle etichette di world music si è andata rarefacendo: la musica del continente nero segue le sue strade, ormai largamente divaricate rispetto ai canali e all’immaginario della world music. Una parziale eccezione è rappresentata dalla musica del Mali, di cui le etichette di world music continuano a pubblicare parecchio materiale, ma di importanza e qualità molto differenti. Un album per diversi motivi di sicuro interesse è quello che ha come protagonista Nfaly Diakité, intitolato Hunter Folk Vol. 1: Tribute To Toumani Koné, da poco pubblicato dalla etichetta Mieruba.  Nato nel 1989 a Bamako, la capitale, Nfaly Diakité fa parte della confraternita dei donso, i cacciatori animisti, estremamente rispettati e anche temuti nel mondo mandingo (fra Mali, Guinea e Costa d’Avorio), perché rappresentano fra l’altro il rapporto con l’ignoto, l’invisibile, l’aldilà. Figura archetipica della cultura mandinga, il cacciatore è depositario della tradizione ma esprime anche la capacità di preservarla nel cambiamento: e Diakité ha avuto anche una ampia esperienza internazionale, in particolare con il BKO Quintet, ma ha conservato la dignità, il carattere, la compostezza che si può cogliere in questo suo primo album personale, registrato a Bamako nel 2020, realizzato interamente da solo – voce, voci di accompagnamento, donso ngoni, e keregne, tubo percosso con una bacchetta, l’uno e l’altra di metallo – in cui rende omaggio ad un grande maestro, il cantastorie e virtuoso del donso ngoni Toumani Koné. Non capita spesso negli album di musica maliana di trovare in evidenza il donso ngoni, lo strumento tipico della confraternita dei cacciatori: è un affascinante cordofono-arpa, che negli anni settanta fu adottato da un grande protagonista del jazz d’avanguardia, Don Cherry, che lo rese popolare presso il pubblico giovanile dell’epoca. L’album è pubblicato non da una etichetta europea o statunitense, ma maliana: la Mieruba è la proiezione discografica, creata nel 2008, di Mieruba Art Center, centro culturale a Ségou, sulle rive del fiume Niger, a oltre 300 chilometri a nordest della capitale Bamako, area oggi altamente insicura, per la situazione di conflitto e le attività jihadiste che il Mali vive, il che rende ancora più meritoria l’attività della Mieruba. Lo scopo di questa etichetta discografica – ci spiegava in una intervista un anno fa il collettivo che gestisce il centro culturale – “è l’esigenza di rilocalizzare parte dell’industria musicale nel Paese. La musica è come il cotone o l’oro: una materia prima che viene estratta in Mali. Questo non vuol dire che non venga trasformata e messa in valore dalle etichette straniere mosse da sincero rispetto per la cultura maliana: ma è arrivato il tempo di ‘decolonizzare’ la world music, che in questo momento si basa su un funzionamento ‘occidentale’ che non rispecchia esattamente la realtà della cultura locale”. Nelle note di copertina dell’album, Mieruba scrive che “con la crisi che infuria nel Mali, sembra necessario riconnettersi con la originale visione del mondo proposta dalla confraternita del cacciatori. Popolarizzare e diffondere la musica dei donso è un passo nella costruzione del mondo di domani. Un mondo basato sul rispetto e la fiducia, libero dalla devastazione determinata dal denaro, e che consenta al popolo mandingo di crescere nello spirito dei suoi antenati”. 

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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