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Vittoria dimezzata, Paese spaccato

All’indomani di un referendum dal carattere storico, la Turchia si mostra ancora una volta un paese spaccato e pieno di ombre. Il risultato, non ancora ufficializzato, viene definito illegittimo dalle opposizioni che hanno annunciato ricorsi alla Corte costituzionale e presso le istituzioni europe.

Quello della contestazione del voto è uno spettacolo già andato in onda diverse volte sullo scenario elettorale turco e che non ha mai riservato finali a sorpresa; in questo caso però quanto accaduto è un fatto inedito e grave: l’Alto Consiglio elettorale nel corso delle votazioni ha emesso una circolare nella quale si dichiarava che sarebbero state ritenute valide anche le schede elettorali non vidimate dal presidente di seggio: una decisione clamorosa in quanto in contravvenzione alla legge turca e definita una violazione dello stato di diritto da molti giuristi. Sostanzialmente un cambio di regole a competizione iniziata che, secondo il principale partito di opposizione, invaliderebbe da 1 milione e mezzo a due milioni e mezzo di schede. Tenedo conto che lo scarto fra il SI e il NO è di circa 1 milione e 300 mila voti, va da sé che il risultato potrebbe cambiare. Ma il fatto che il capo del Consiglio elettorale, con molta disinvoltura, non si esprima nel merito della decisione non lascia molte speranze.

L’autorità stessa ha comunicato che l’ufficializzaione dei risultati non avverà prima di 10 giorni. In virtù di queste incertezze e di queste ombre, il paese sembra essere caduto in uno stato catatonico: i festeggiamentı si sono limitati ai grossi concentramenti presso le sedi del partito di Erdoğan, mentre le proteste dei sostenitori del NO sono state tenute a bada dall’opposizione stessa che non ha voluto soffiare sul fuoco e fare una chiamata alle armi come era invece avvenuto nel corso delle ultime elezioni dall’esito anch’esso contestato. İeri sera a İstanbul si sono visti solo cazerolasos dalle finestre di alcuni quartieri e sporadiche marce di protesta da una parte, qualche macchina rivestita di bandiere turche a scorazzare per le strade per la vittoria del SI dall altra.

Lo stesso Erdoğan è apparso sotto tono nel discorso tenuto dopo quello del premier Yldırım: al di là delle frasi retoriche che celebravano la vittoria come una lezione di democrazia da sventolare in faccia anche ai ‘nemici’ occidentali, il potenziale futuro super presidente appariva molto meno trionfante di quello che ci si aspettava. Probabilmente il risultato, nonostante la vittoria, e al netto delle contestazioni, non è stato quello auspicato. E le ragioni per non esultare ci sono tutte.

I dati percentuali mostrano che non solo ha fallito il progetto di diventare il riferimento degli ultranazionalisti di destra, che su questo si sono proprio spaccati: il confronto con la somma dei voti di AKP e MHP ottenuti nelle elezioni del novembre 2015, mostrano un a calo dal 10 al 13 %. Inoltre c’è stata un’emorragia anche nel suo elettorato: Erdogan ha perso per la prima volta da quando è al potere le due piu grandi città del paese: Istanbul, Ankara. Addirittura a Istanbul il NO ha prevalso nella sua Üsküdar, il quartiere conservatore dove Erdoğan vive. E in generale nelle grandi città – 17 contro 13 – ha prevalso il NO.

Al di là della vittoria, dunque, le scelte dei cittadini turchi indicano uno scenario politico in trasformazione che potrebbe mettere degli ostacoli sulla strada verso l’acquisizione di quello che sarebbe davvero un potere quasi assoluto nel 2019, quando si svolgeranno le elezioni.

Quindi Erdoğan si ritrova a voler trascinare verso uno stato autoritario di stampo mediorientale un paese che per metà ha un concetto di democrazia molto diverso da quello da lui promosso ed esercitato e che guarda piuttosto verso un occidente che, a differenza sua, non considera nemico. Si tratta oltretutto della metà del paese piu trainante dal punto di vista economico, oltre che la più avanzata a livello culturale ed educativo. Per l’ennesima volta una paese spaccato, che viaggia con tempi diversi e direzioni opposte.

 

  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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    Questa settimana Elijah Wald è in Italia per portare sul palco, tra Milano, Torino e Piacenza, le sue storie su Bob Dylan e il Greenwich Village di New York. Chitarrista folk blues ma anche narratore e giornalista musicale, attraverso canzoni e racconti Wald ripercorre nel suo spettacolo il cammino di Dylan e dei tanti personaggi di quel periodo irripetibile. Da Woody Guthrie a Pete Seeger, da Eric Von Schmidt a Dave Van Ronk - quest’ultimo anche protagonista del film dei fratelli Coen “A proposito di Davis” e realizzato partendo proprio dal memoir scritto da Wald. Oggi Elijah è venuto a trovarci a Radio Popolare per raccontarci la sua storia e suonarci alcuni brani tra Mississippi John Hurt, Paul Clayton e Victor Jara. Ascolta l’intervista e il MiniLive di Elijah Wald.

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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