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Una donna, una sindaca. Da Nobel

“Sono molto onorata di essere stata scelta per questo premio, dopo tante eccellenti donne. Un premio che rappresenta una grande responsabilità, perché è un impegno di coerenza e di lotta per il futuro, a far camminare le idee e la forza delle donne“.

Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, ha accolto così il prestigioso riconoscimento internazionale Prix Simone de Beauvoir per la libertà delle donne, alla presenza di Irina Bokova, direttore generale dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura).

Prima di Nicolini, il premio era andato ad altre donne come Malala Yousafzai (insignita del Nobel nel 2014), che si batte da tempo per i diritti civili e per l’istruzione delle ragazze nei Paesi musulmani; Taslima Nasreen, bengalese, scrittrice, medico, attivista femminista dei diritti umani; Michelle Perrot, storica francese, esponente di spicco della nuova storia sociale francese,in particolare quella delle donne.

Queste le motivazioni del premio alla sindaca di Lampedusa: “Militante responsabile e infaticabile, Giusi Nicolini è stata la prima voce ad elevarsi per sostenere i diritti dei rifugiati presso gli abitanti dell’isola, il governo italiano e l’Unione europea. Lavorando in stretta collaborazione con la Guardia Costiera che salva i naufragi in mare”.

Dalla primavera del 2015, la situazione dei rifugiati è peggiorata, provocando l’apertura di nuove rotte. Giusi Nicolini ha tracciato la via. Nonostante i suoi avversari, continua la sua azione per far prendere coscienza all’Europa e al mondo intero della necessità di cambiare le inumane politiche di asilo e rafforzare la solidarietà.

A Lampedusa, negli ultimi 20 anni, sono sbarcati 270 mila migranti. Il centro di accoglienza, in questi anni si è trovato spesso in grande difficoltà per gli arrivi massicci, sfiorando in alcuni casi il collasso.

Solo tre giorni fa, altre 200 persone sono state soccorse al largo della Libia e portate a Lampedusa. Si tratta di donne, uomini e minori provenienti da Senegal, Gambia, Guinea, Camerun, Mali e Nigeria. Sono stati trasferiti nell’hotspot dell’isola, dove si trovavano già oltre 400 migranti.

Gli hotspot sono strutture allestite per volontà dell’Europa che hanno lo scopo di identificare rapidamente, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti. Dovrebbero servire per alleggerire i Paesi più esposti ai nuovi arrivi come Italia e Grecia, i quali via hotspot dovrebbero smistare i migranti arrivati negli altri Stati membri dell’Unione europea. Queste le intenzioni, ma la realtà è quella vissuta e raccontata da Giusi Nicolini, con cui abbiamo parlato la scorsa settimana.

Sindaca Nicolini partiamo dagli hotspot…

Da settembre a oggi sono stati ricollocati in Europa solo 190 migranti dall’Italia e 80 dalla Grecia. Un risultato assolutamente fallimentare. Il meccanismo va rivisto perché così come ci è stato imposto dall’Europa ci costringe alla fine a tenere quasi tutti i migranti in Italia (dopo averli identificati negli hotspot, ndr), mentre era stato preso l’impegno a una giusta ed equa ripartizione negli altri Stati.

E poi cosa non la convince?

Le procedure come sono attuate sino a questo momento non sono rispettose della dignità umana, a partire dal prendere le impronte ai migranti.

Ma se non si prendono le impronte non si possono identificare, non crede?

Non è sbagliato chiedere le impronte. Gli stessi eritrei che stanno protestando qui a Lampedusa (era il 7 gennaio, ndr) vogliono dare le impronte, ma chiedono nello stesso tempo di sapere quale sarà il loro futuro. Mi pare una giusto diritto per chi è costretto a fuggire, a rischiare la vita per venire in Europa.

Lei mi diceva che l’Europa ha dichiarato guerra ai migranti. Sono parole molto forti, che scateneranno polemiche. Si spieghi.

Guardi se lei considera quanti morti ci sono sotto il mare, quanti bambini muoiono… È una condanna a morte. Quando vediamo la foto di Aylan Kurdi, il bambino morto sulla spiaggia, ci commuoviamo, ma così è facile. Io mi aspetto che ci si commuova anche per i bambini vivi, che chiedono accoglienza. Invece non apriamo i canali umanitari che evitino i rischi della traversata, i soprusi degli scafisti e spesso la morte, in Ungheria e altrove alzano muri o chiudono ponti, le forze dell’ordine europee caricano con i manganelli, si chiudono le frontiere interne abolendo di fatto Schengen. Cosa altro le devo dire …

Intanto l’Europa ha chiuso la porta ai migranti per motivi economici o ambientali, mentre la disponibilità è limitata verso i richiedenti asilo per motivi politici. Lei cosa dice?

È una grandissima ipocrisia: scappi sempre per non morire. Per me non fa differenza se uno muore per la guerra o uno muore per la fame: l’aiuto va dato a tutti. L’Europa deve darsi una politica dell’immigrazione comune che preveda un ingresso regolato, con diritti e doveri per i migranti. Penso anche a campi profughi sotto il controllo di organismi internazionali che andrebbero attivati lungo le coste nordafricane. Perché sappiamo che queste persone già prima di salire su barconi sono oggetto di stupri, di torture, di sequestri. Quindi o ci pensiamo noi, o comunque loro arriveranno, vivi, morti, annegati, morti di freddo, morti di fame. Occupiamoci di loro prima che accadano le tragedie. E poi i diritti o sono di tutti o non sono di nessuno.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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