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Una Cina, un sistema. Xi Jinping impone la dottrina del partito comunista a Hong Kong

Xi Jinping Cina Hong Kong ANSA

Nel pomeriggio di ieri il presidente cinese Xi Jinping è arrivato ad Hong Kong. È la seconda volta che visita l’ex colonia inglese e la prima dalle grandi proteste del 2019. L’ultima volta era stata in questo stesso periodo nel 2017.

Oggi, infatti, Hong Kong celebra l’anniversario dell’indipendenza dalla Gran Bretagna. 25 anni fa la bandiera inglese veniva ammainata per l’ultima volta e sostituita con quella cinese e quella nuova di Hong Kong. Era la rappresentazione simbolica di una nuova era per la città, perché Pechino si impegnava a rispettare per 50 anni l’autonomia politica di Hong Kong, con lo slogan “un paese, due sistemi”.

Da quel giorno, però, come detto, di anni ne sono passati solo 25, ma la Cina ha man mano soffocato Hong Kong stringendo la sua morsa sempre più forte. Del modello “un paese, due sistemi”, ormai, non c’è più nemmeno l’ombra. Eppure, ieri, alla vigilia delle celebrazioni di domani, Xi Jinping nel suo breve discorso dopo il suo arrivo a Hong Kong trasmesso dai media di Pechino ha detto che il “modello ha dato prova di grande vitalità”e che “negli ultimi due anni ci sono state alcune turbolenze”. Ciò che lui chiama turbolenze è in realtà una rivoluzione popolare che ha coinvolto migliaia di persone soprattutto giovani e giovanissimi e che ha provocato più di 9mila arresti, almeno due morti, diversi suicidi. Poi, ogni forma di dissenso o di opposizione è stata silenziata, in modo più o meno violento.

Anche nell’ultima settimana, proprio in vista della visita del presidente cinese, la polizia di sicurezza nazionale ha effettuato almeno nove arresti preventivi per evitare possibili imbarazzi al governo locale, e ha ufficialmente messo al bando le manifestazioni di protesta, che fino a 3 anni fa erano praticamente una tradizione del 1° luglio, per mostrare l’attaccamento della popolazione alle sue libertà.

Da quando è scoppiata la pandemia da COVID, Xi Jinping non ha praticamente mai lasciato la Cina. Quello di oggi è il secondo viaggio, dopo la Birmania nel 2020. Con il virus in circolazione il presidente cinese si è chiuso – e ha chiuso il suo paese – in una bolla rigidissima. Il fatto che abbia scelto di essere presente oggi, nonostante ad Hong Kong i casi di COVID siano tutt’altro che sotto controllo, spiega bene l’importanza che questo viaggio ha per lui e per la sua necessità di marcare il territorio.

Hong Kong è stata mangiata dalla Cina prima del tempo e ora è in mano ad un sistema politico, sociale e giuridico costruito a immagine e somiglianza di Pechino. A dimostrazione di questo, oggi, un ex capo della polizia, John Lee, diventerà il capo dell’esecutivo della città, sostituendo Carrie Lam. Xi Jinping assisterà all’insediamento di Lee, che – non è nemmeno necessario dirlo – è stato scelto direttamente da Pechino.

Per gli abitanti di Hong Kong la visita di Xi Jinping ha il sapore amaro della sconfitta. In questi 3 anni è diventata irriconoscibile e il presidente cinese, accolto da una folla strettamente selezionata e debitamente istruita, assistendo alle celebrazioni di domani, dichiarerà la sua vittoria: Hong Kong, quella che 25 anni fa festeggiava l’indipendenza, oggi non esiste più. È solo un’altra Cina.

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    Legge sul consenso, il governo non può tornare indietro

    La legge sul consenso si ferma al Senato perché la presidente della Commissione Giustizia Giulia Buongiorno vuole correggerla, ma la Lega esprime anche dubbi generali sulla necessità di una legge che definisca il consenso. Secondo Alessandra Maiorino, vice-capogruppo M5S Senato e Coordinatrice Comitato Politiche di Genere e Diritti Civili: “Da noi al Senato il provvedimento è arrivato tardi, da una parte c’è una questione strumentale per cui la Lega vuole più tempo, dall’altra parte c’è una questione reale, vogliamo leggere e approfondire il testo, quindi non trovo lunare la richiesta di prendere più tempo”. Insomma l’accordo c’è per approvare la legge. “L’importante è che il 609 bis che punisce la violenza sessuale agita finora con violenza, minaccia o abuso di potere, sia adegui a quello che dice la giurisprudenza: non servono il sangue, i lividi, le botte o le minacce perché ci sia violenza sessuale, basta che quell’atto sia stato compiuto senza il consenso della donna”. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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