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Un anno fa la sepoltura di Lorenzo Orsetti. Il ricordo di Davide Grasso

Lorenzo Orsetti

Lorenzo Orsetti, il giovane di Bagno a Ripoli che nel settembre 2017 si unì all’Unità di Protezione Popolare (YPG) nella lotta armata contro lo Stato Islamico, fu ucciso in combattimento nel villaggio siriano di Al-Baghuz Fawqani la mattina del 18 marzo 2019. La sua salma fu recuperata e trasportata in Iraq prima di fare rientro a Firenze nel giugno di quell’anno.

La cerimonia a Firenze per ricordare Lorenzo Orsetti si sarebbe dovuta tenere lo scorso marzo, ma è slittata ad oggi a causa dell’emergenza COVID-19. Ne abbiamo parlato con Davide Grasso, anche lui ex combattente delle YPG – Forze siriane democratiche contro l’ISIS. L’intervista di Claudio Jampaglia a Prisma.

Dove sei in questo momento?

In questo momento vedo il cupolone del Duomo di Firenze perché siamo San Miniato al Monte, al cimitero che si trova in una zona sopraelevata alle porte di Firenze, in attesa dell’inizio dell’evento che la famiglia di Lorenzo Orsetti ha organizzato ad un anno esatto dalla sepoltura che avvenne proprio qua per decisione della famiglia e del Comune di Firenze anche per sottolineare quello che Lorenzo ha dato dalla città rendendola nota per aver dato i natali ad una persona caduta in combattimento contro lo Stato Islamico.

Cosa vorresti ricordare oggi della tua e della sua esperienza?

È importante ricordare che, pur essendo anarchico e antifascista, Lorenzo Orsetti non era un attivista dei centri sociali, questo è un equivoco abbastanza comune. È giusto invece sottolineare che Lorenzo era una persona che lavorava nella ristorazione, aveva dei giri di amici qui a Firenze e in realtà non aveva mai voluto far parte di gruppi organizzati. Io all’epoca, quando l’ho conosciuto, ne facevo parte. E questa era una differenza sostanziale tra di noi, da parte sua c’era anche una certa diffidenza nei miei confronti. In Kurdistan si dice che la vita di ogni martire è un esempio di vita ed è giusto ricordare anche i particolari delle personalità delle donne e degli uomini caduti, questo ci illumina anche sulla situazione del nostro tempo. Tra tutti noi che siamo andati in Siria tra le YPG, Lorenzo è quello che è rimasto più a lungo e con più dedizione. Ha partecipato a tantissime operazioni militari ed era una persona che non aveva un retroterra definito sul piano militante. Questo secondo me è interessante, ha anche mandato un testamento in cui ha scritto quella frase diventata famosa: “Ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia“.
Il suo modo di essere goccia, con tanta umiltà, è stato quello di andare dove c’era una rivoluzione reale, un fenomeno di massa e una grande guerra per difendere la popolazione civile, al punto da dare la propria vita.

Cosa dobbiamo ricordarci di quello che sta accadendo da quelle parti?

Dobbiamo ricordarci che il Rojava o l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est non è riconosciuta da nessun governo o organizzazione internazionale. Questa regione, in un momento di pericolo e di pandemia con una situazione sanitaria difficilissima, patisce un embargo da parte della Turchia e dell’Iraq che mette in ginocchio le sue possibilità di sopravvivenza ed è parzialmente occupata dalla Turchia, grazie anche a delle bande jihadiste fondamentaliste che Erdogan utilizza come polizia militare. In questa situazione un riconoscimento istituzionale a livello internazionale, da parte del governo italiano o dalle Nazioni Unite, sarebbe fondamentale anche perché lì si trovano mezzo milione di profughi e sfollati a causa delle invasioni turche che vivono in condizioni agghiaccianti. Si è detto tanto rispetto alle donne curde che hanno combattuto l’ISIS e si è detto troppo poco sui tanti arabi e le tante comunità. Si è detto tanto rispetto alla necessità di sconfiggere l’ISIS o di indebolirlo, ma si continua a non fare nulla di concreto. Il governo italiano ad ottobre aveva promesso, nella persona del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, di interrompere qualsiasi fornitura di armi alla Turchia, ma si è scoperto che così non è stato.

Foto dalla pagina Facebook di Alessandro Orsetti

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    C’è un tesoro in Italia, ambito da sempre, ed è il tesoro delle Assicurazioni Generali. Chi comanda a Trieste, comanda su un pezzo importante del paese. Per 70 anni il tesoro delle Generali è stato controllato da Mediobanca, che una volta era il salotto del capitalismo familiare italiano e oggi è una solida banca milanese. Nell’ultimo anno, grosso modo, due capitalisti nostrani, non si sa se anche coraggiosi, Francesco Gaetano Caltagirone, insieme a Francesco Milleri, hanno portato a termine il colpo del secolo: con un’operazione di scambio di azioni – e con il concorso esterno del MPS, fino a qualche mese fa banca di stato - hanno cacciato i vecchi azionisti dagli uffici di piazzetta Cuccia a Milano (Mediobanca) e al loro posto ci hanno messo se stessi più alcuni amici. In questo modo l’immobiliarista e editore Caltagirone, insiene al socio un po’ litigioso degli eredi Luxottica, hanno preso il controllo di Mediobanca. E lo hanno fatto con l’aiuto del MPS, banca pubblica privatizzanda. Preso il controllo di Mediobanca, i “nostri” Caltagirone&Soci hanno cominciato a vedere terra, la costa triestina, la casa mitteleuropea di Generali. Ora, su tutta questa operazione – sommariamente sintetizzata – qualcosa non ha funzionato. La Procura di Milano sta indagando per il mancato rispetto di alcune importanti formalità da codice penale: il “concerto” non previsto, il rispetto del “mercato” e delle autorità di controllo. Aspettiamo fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso, mentre la politica rivendica i suoi meriti, giusti o sbagliati che siano. Pubblica oggi ha ospitato il giornalista e saggista Vittorio Malagutti (Domani) e il senatore del Pd Antonio Misiani.

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