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Il candidato “della legge e dell’ordine”

“Legge e ordine”.

E’ stato il concetto su cui Donald Trump ha insistito di più, nel discorso con cui ha accettato la nomination repubblicana per la Casa Bianca. Per quasi un’ora e mezzo, davanti alla folla di delegati che l’hanno spesso interrotto con applausi e acclamazioni, Trump ha dipinto un’America percorsa da crimine, crisi sociale, insicurezza. E ha detto di essere lui “il candidato della legge e dell’ordine”

Quella frase, “legge e ordine”, è stata ripetuta da Trump per almeno cinque volte. Il candidato repubblicano ha anche dato delle cifre (che spesso non sono sembrate attendibili): il 17 per cento in più di omicidi nelle maggiori 50 città americane. “Quasi 4mila persone – ha spiegato Trump – sono state uccise a Chicago da quando Barack Obama è salito alla Casa Bianca”. In questa rappresentazione delle strade americane percorse dalla violenza, è venuto naturale il riferimento ai poliziotti uccisi a Dallas, a Baton Rouge, a Kansas City, in altre città americane. “Il compito più basilare del governo è difendere le vite dei suoi cittadini – ha detto Trump -. Un governo che non lo fa non è degno di amministrare il Paese”.

La questione dell’ordine pubblico, con toni anche apertamente autoritari, ha occupato buona parte del discorso, reminiscente di quello che disse Richard Nixon alla Convention repubblicana del 1968. Allora Nixon promise di “restaurare l’ordine e il rispetto per la legge in questo paese”. Oggi Trump ha detto: “Ho un messaggio per voi. Con il 20 gennaio 2017, quando sarò presidente degli Stati Uniti, il crimine e la violenza che affligge oggi la nostra nazione finirà”.

Nel capitolo sicurezza e ordine non poteva ovviamente mancare il tema dell’immigrazione e del terrorismo internazionale. Di fronte ai rischi che il radicalismo islamista pone, agli Stati Uniti e al mondo, Trump ha detto: “Chiunque appoggi la violenza, l’odio e l’oppressione non è benvenuto nel nostro Paese e non lo sarà mai”. Trump però questa volta ha parlato di blocchi alle frontiere, senza però citare direttamente i musulmani: “Dobbiamo immediatamente sospendere l’immigrazione da qualsiasi nazione che è compromessa col terrorismo, fino al momento in cui un sistema di verifica non verrà posto in atto”.

Quanto al muro con il Messico, Trump ha detto che si farà: “Non ci saranno più città santuario – ha spiegato – luoghi dove l’immigrazione illegale può tranquillamente prosperare”. Il tema della lotta all’immigrazione illegale si è legato, nel discorso di Trump, a quello del commercio, delle insicurezze economiche, dei milioni di posti di lavoro che si sono in questi anni trasferiti all’estero. “Decenni di immigrazione record hanno prodotto salari sempre più bassi e tassi di disoccupazione sempre più alti per i nostri concittadini, soprattutto per gli afro-americani, per gli ispanici. Torneremo ad avere un sistema di immigrazione che funziona, ma che funziona soprattutto per gli americani”.

Durissima è stata anche la critica cui Trump ha sottoposto Hillary Clinton. “E’ il candidato delle lobby, degli interessi particolari, che finanziano la sua campagna e la Clinton Foundation”, ha detto Trump, che ha anche ricordato quello che, a suo giudizio, è il disastro ottenuto da Clinton nel suo periodo da segretario di stato: “Prima che arrivasse, Egitto, Iraq, Siria, erano Paesi relativamente tranquilli. L’Isis non esisteva. Dopo il suo passaggio, il mondo è crollato. E’ una criminale”, ha scandito Trump.

In conclusione, il discorso di Trump è apparso perfettamente in linea con un candidato che si pone come leader populista, che vuole essere rappresentante di tutti – ricchi e poveri, bianchi e neri, gay ed evangelici – in un annullamento di differenze, interessi, ideologie del passato. In questo Trump, nel suo discorso finale alla Convention, ha davvero sotterrato decenni di pensiero e di pratica politica repubblicana. Il partito pro-business, pro-capitale, il partito attento alla vita e alla famiglia non esiste più (Trump non ha praticamente mai citato la questione dell’aborto, per anni cavallo di battaglia dei repubblicani; e ha fatto una plateale difesa dei diritti delle persone omosessuali, peraltro applauditissimo dalla platea). Anche il tema dell’“America first”, della difesa degli interessi americani rispetto a quelli dell’equilibrio globale, è parsa in stridente contrasto con decenni di politica estera repubblicana.

Il rifiuto della forma partito, e della storia del G.O.P., è apparso evidente anche nel continuo riferimento che Trump ha fatto al suo “movimento”. “Il nostro è un movimento – ha detto – che è pronto ad accogliere tutti, i democratici compresi”. Il dato politico che emerge da questa Convention, dunque, è proprio questo: l’emergere di un movimento conservatore e populista diverso dai repubblicani di cui, al momento, si intravvedono i contorni, non ancora natura e obiettivi.

Questo è stato l’altro capitolo in cui il magnate newyorkese si è allontanato dalla tradizione e dal pensiero più tradizionale del partito repubblicano. Qui Trump si è presentato come il leader che metterà fine a tutti quei trattati di commercio – anzitutto il Nafta (l’Accordo nordamericano di libero scambio, ndr)– che hanno indebolito i lavoratori americani. “Ho visitato i lavoratori licenziati dalle loro industrie, e le comunità schiacciate dai nostri terribili e ingiusti trattati di commercio – ha spiegato Trump -. Questi sono gli uomini e le donne dimenticati del nostro Paese. Gente che lavora duro, che non ha voce”. La rivendicazione degli “esclusi” e dei “dimenticati” si è presto estesa anche alle minoranze.

In questo porsi come rappresentante della nazione, al di là di differenze di classe, reddito, educazione, etnia, Trump ha espresso forse l’elemento centrale della sua proposta politica, diversissima da quella tradizionale, pro-business, liberista, globalizzata del vecchio partito repubblicano. La stessa forza populista, che è annullamento di storia, differenze, tradizioni, Trump l’ha mostrata in altri punti del discorso. Ha detto di essere il difensore dei diritti delle persone omosessuali (e i delegati hanno applaudito; è stato uno sdoganamento delle questioni LGBT che mostra che anche il popolo repubblicano è cambiato); ma ha anche detto di essere debitore agli evangelici, e ha omaggiato la National Rifle Association, la lobby delle armi. In questa capacità di trasmettere un messaggio che va oltre le ideologie, Trump ha in fondo liquidato gli ultimi decenni di politica e strategie del partito repubblicano (non a caso buona parte della classe dirigente del G.O.P. ha preferito non farsi vedere a Cleveland).

La conclusione del discorso è stata appunto dedicata tutta al tema della presenza americana nel mondo. “L’America viene prima, viene prima di tutto”, ha urlato per due volte Trump. “L’America viene prima della globalizzazione”. Pur promettendo di lavorare con gli alleati, anzitutto con Israele, Trump non ha nascosto che la sua America sarà prima di tutto impegnata a casa, a difendere i propri interessi, e non sarà più il “gendarme del mondo”. La conclusione, dopo la rappresentazione di un Paese devastato da paure e crisi, è stata invece di di speranza. “A tutti gli americani, stasera, in tutte le città e in tutti i villaggi, faccio questa promessa: restituiremo la grandezza all’America. Restituiremo l’orgoglio all’America. L’America tornerà sicura. L’America tornerà grande”.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

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    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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