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La scuola non serve a nulla

Memorie d’un docente candidato alle elezioni dell’RSU

(ma che però non è stato eletto)

Cari colleghi,

ritengo doveroso comunicare quanto segue: alle elezioni per il rinnovo dell’RSU del mio Istituto Scolastico, quelle per eleggere i rappresentanti sindacali a scuola, e alle quali mi ero cum magna fide candidato, ho preso solo 3 voti.

Evidentemente, la mia proposta politica non ha raccolto gli auspicati consensi.

No, non rilascerò patetiche dichiarazioni del tipo “ho non-vinto”, dato che non ci sono giaguari da smacchiare o gioiose macchine da guerra da luddare. No, qui, la sconfitta, è tutta politica. Per cui, dopo le rituali telefonate ai miei avversari per le congratulazioni e i sentiti ringraziamenti a tutto lo staff del mio comitato elettorale, credo sia d’uopo compiere, nei prossimi giorni, un’analisi approfondita. Un’analisi che sia, savasandir, immancabilmente “lucida”; cui far seguire una riflessione, sempre savasandir, obbligatoriamente “stringente”, sui reali motivi della débacle.

Ma alcuni dati emergono di già, e si impongono evidenti all’attenzione con nitore chiarissimo.

Vediamoli.

Innanzitutto, l’elettorato docente non si è rivelato sufficientemente maturo per accogliere la mia sacrosanta proposta d’un intervallo mattutino di 4 ore con ingresso posticipato alle 10; poi, forse non ha creduto alla promessa di un milione di banchi a rotelle (“già sentita”, dicono); e, desumo, solo detrimento m’ha portato l’onda lunga delle critiche al mio progetto didattico proposto in DAD (ma “Leggere, scrivere e far di Covid” resta, per me, ancora un gran bel titolo).

In più, probabilmente troppo ardito è stato prospettare un curricolo di discipline limitate ad Arte, Musica e Teatro, per damsizzare anzitempo gli alunni già alle Medie – che tanto quella lurida fine fanno tutti -, con contestuale eliminazione non già di qualunque disciplina scientifico-matematica, ma proprio, e pure, “fisica”, di tali docenti: lo “STEMinio”, l’avevo definito.

Certo, inspiegabilmente osteggiata è stata anche la mia idea di dotare la sala docenti di biliardo, ping-pong e tappeti elastici, frettolosamente ridicolizzata al grido di “…Chi se ne frega che nei coworking di start-up in Silicon Valley fanno cosi! Qui è già tanto che funziona il computer per firmare sul Registro Elettronico!”

E parimenti, non avrei dovuto dar retta ai ben noti “guru della comunicazione” – e qui andranno fatti i nomi, chiaramente e senza infingimenti: Giovanni, il bidello-alfa della scuola, pure sindacalista. Confesso d’aver sempre nutrito perplessità sullo slogan elettorale propostomi, quello che avete visto invadere ogni spazio disponibile in campagna elettorale:

“MA NO, NON MI DOVETE VOTARE A ME, VOTATE A QUELL’ALTRO, CHE IO MI SONO MESSO SOLO COSÌ A CAZZO, SOLO PER FARE NUMERO NELLA LISTA”.

Ho le mie ragioni per dubitare della sua efficacia.

E l’aver aperto, anche solo in via ipotetica, a necessarie riforme come l’adozione del voto espresso non più in numeri decimali ma in emoticons, l’istituzione dell’ora curricolare di nascondino creativo, la Flipped Classroom anche in Educazione Fisica, con gli alunni che fanno gli esercizi distruggendo tutto nel salotto di casa e poi si dimenticano le scarpe Adidas a scuola? Certo, tutto ciò è stato un boomerang che mi ha nuociuto: però, davvero ci sono colleghi che hanno ancora così paura di queste riforme, imprescindibili per un ammodernamento del sistema scolastico e richieste oramai anche dall’Europa?

Ma forse, più di tutto e semplicemente, gli elettori non hanno compreso questa questione incontrovertibile: che io ero e resto di gran lunga il candidato ideale, il più giusto e meglio preparato per tale incarico. Anche il più bello, figo e carismatico.

In un parola, il MIGLIORE. Ma, purtroppo, ha prevalso la logica del “Voto Umile”.

Spero non dovremo pentircene, tutti, in futuro.

 

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purchè formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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L'Ambrosiano

L’incidente di Majakovski e il Servizio Civile di leva per la Pace

“L’incidente è chiuso” è una bella elegia di Majakovski, poeta che mitizzò il sogno rivoluzionario, è morto (suicidato?) sotto Stalin, sempre vive coi suoi versi. Canta la rigenerazione da un amore finito: «Tu ed io / siamo pari. / Non vale la pena di citare / le offese / i dolori / e i torti reciproci. / Guarda com’è pacifico il mondo. / La notte / ha imposto al cielo un tributo stellato. / È in ore come questa / che si sorge / e si parla ai secoli, / alla storia, / alla creazione». La guerra è mattatoio degli amori, fucina di solidarietà e riscosse. I poeti danno parole che proteggono dagli orrori (oggi Bucha; altri ne verranno; angosce da fine di tutto) e seminano speranza contro ogni speranza; evocano Apocalissi (termine di sinistre risonanze, in realtà vuol dire “rivelazione”, mostrare ciò di cui non vogliamo prendere coscienza) e cantano Catastrofi (la parola spaventa ma significa “rovesciare il corrente modo di vedere”).

Majakovski e i suoi fratelli fan guardare lontano con coraggio e visionarietà; sono impregnati del tempo, ne condividono spasmi e attese; attingono allo Spirito del profondo, sino ai recessi dove l’asse terrestre ha uno dei due perni attorno a cui ruota il globo: l’altro è incardinato in cielo. Si sconfigge la guerra se non ci si lascia sopraffare dai suoi orrori. Quanto più essi sono indicibili tanto più la sveglia del poeta fa sorgere la ribellione all’inumano. Se gli eventi sembrano più grandi di quel che pensiamo di saper sopportare reazione istintiva è il contrattacco: sacrosanto per chi si difende, insidioso per gli altri; la guerra intossica l’aria col veleno della violenza prima che con armi. Sulla scia dei poeti la vita chiude i mortali incidenti dei conflitti. Un esempio: in risposta a Putin e ai cloni attivi o mimetizzati istituiamo il Servizio Civile Obbligatorio Europeo: un periodo di ferma e poi ogni anno alcuni giorni di “richiamo”, come coi vaccini.

Le nuove spese militari vadano a fondare generazioni di cittadini della Pace. Da giovani s’impara a riconoscer l’altro, a ricostruire dalle macerie di corpi, anime, case, scuole, ospedali le ragioni, i luoghi, le passioni dello stare assieme. I poeti rendono evidente ciò che visibile non è; a noi di trasformare utopia in storia.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

La globalizzazione è finita?

A sentire Larry Fink, Ceo di BlackRock, il più grande fondo di investimento mondiale, la guerra in Ucraina avrebbe posto fine alla globalizzazione, almeno così come l’abbiamo conosciuta finora. Fink spiega anche che la pandemia prima, la guerra poi hanno esacerbato la polarizzazione e le tendenze estremistiche in seno alla società: è quel fenomeno che in America Latina è conosciuto da anni con il nome di grieta, “spaccatura insanabile”. Poi però lo stesso Fink ci ricorda che a chiudere la fase storica della globalizzazione non sarà la necessità di superare la dipendenza dal gas russo, argomento valido solo per Europa e Cina, e nemmeno l’isolamento della Russia dal mercato dei capitali: saranno piuttosto le diverse valutazioni formulate dai governi nazionali e dalle grandi aziende circa la loro dipendenza da altri Paesi.

In sostanza, Fink si limita a denunciare (con grande ritardo) una tendenza in corso da anni, che ha vissuto una grande accelerazione durante la pandemia e sulla quale, in realtà, la guerra in Ucraina sta avendo impatto marginale. Si tratta del reshoring, cioè del rientro in patria della aziende delocalizzate; a ciò si aggiunge il fatto che gli Stati stanno tornando a svolgere sia il ruolo di controllori dell’economia, cui avevano abdicato da almeno 30 anni, sia quello di soggetti economici attivi, che investono nei settori ritenuti strategici: anche questo tipo di iniziativa era stato quasi dimenticato. È stata la pandemia a “smascherare” la debolezza dei Paesi europei e nordamericani che avevano trasferito tecnologia e interi comparti industriali in Asia; nel frattempo la Cina si premurava di assicurarsi il controllo dei mercati delle materie prime strategiche grazie a politiche specifiche nei confronti di America Latina e Africa. La guerra in Ucraina avrà altre conseguenze, soprattutto sul settore dell’energia e su quello dell’industria bellica: si registreranno passi indietro sia per quanto riguarda il rispetto degli standard delle emissioni di CO2, sia per l’aumento spropositato e inutile dei sistemi di armamento.

Ma la globalizzazione è finita sul serio? Assolutamente no, contrariamente a quanto afferma il Ceo di un fondo che gestisce 10mila miliardi di dollari. L’odierna mappa dell’economia mondiale, e soprattutto dei ruoli e dei luoghi di produzione, è il frutto di tre decenni di investimenti e di profonde trasformazioni anche culturali avvenute nella società. A cambiarla non sarà una guerra, che tra l’altro coinvolge un Paese marginale come l’Ucraina e una potenza militare che si rapporta con il mondo soltanto vendendo commodities alimentari ed energetiche.

Stati Uniti e Cina continueranno a scontrarsi sul piano commerciale e senza dubbio nelle aree economicamente forti vi saranno nuovi investimenti per produrre semiconduttori e batterie, oltre che dispositivi sanitari. L’economia mondiale sarà un po’ meno globalizzata, ma si tratterà di una riduzione limitatissima perché l’economia-mondo ci ha resi simili a un organismo vivente che, per vivere, ha bisogno di ogni suo organo e di ogni sua funzione, e non c’è più spazio per autarchie né per il ritorno a Stati onnipresenti e onnipotenti in economia. Soprattutto, è cambiata la cultura: nei fatti, e non solo nella retorica, nel mondo c’è maggiore consapevolezza del fatto che si sta tutti sullo stesso pianeta. Da qui derivano anche le reazioni di fronte al deflagrare della guerra in Ucraina, considerata culturalmente una cosa del passato, per lo meno quando scoppia in Europa, visto che nel resto del mondo le guerre sono state sempre presentissime.

Sono questi i due livelli sui quali si svolge oggi la nostra esistenza. Quello dei sogni sulla maggiore libertà e tolleranza che regnerebbe nel mondo, indotti dai venditori di prodotti e servizi, e quello della dura realtà nella quale sprofondiamo quando ci colpisce una pandemia o quando il regime di turno mette in moto i carrarmati. Parrebbero fenomeni contrastanti, in realtà sono le due facce della stessa moneta.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Il bambino, la stella, la puzza, la guerra, la Pace: e l’immaginazione

Un bambino entra nella stanza dei giochi di una psicoanalista. Punta a una stella marina, la odora, dice: «Non puzza». Gioca. Da grandi pensiamo, ma non sentiamo. Usi a mentalizzare procediamo per astrazioni, ci priviamo di funzioni legate al corpo; un’esperienza dei sensi mancata mozza le ali all’immaginazione. Parliamo di clima, ma non sentiamo la terra ferita che prosegue nel degrado; Putin è imputabile di crimini di guerra, ma noi non abbiamo l’abc della Pace. Le guerre non capitano. Gli uomini usano pretesti per invadere, distruggere, ammazzare civili; egoriferiti non vedono i processi innescati. L’irrazionale spadroneggia.

Nel caos non sentiamo la puzza del virus delle armi: chi attacca è inflazionato; l’aggredito deve difendersi; chi sta fuori è spinto a schierarsi: appartenere dà sicurezza, fa riconoscere in simboli e in chi di essi si cinge. L’olezzo dei crimini confonde. Svia il voler spiegare razionalmente la ragione che non c’è: psiche di Putin; ambiguità di Xi Jiping; senilità di Biden; geopolitica; interessi. Le simmetrie acuiscono i conflitti, non li risolvono; le immagini che dovrebbero supportare argomenti sono ambigue: i tg danno un’idea, ma fan da “schermo”: nella tragicità confermano che la guerra “è la”; le devastazioni innestano regressioni, paure inconsce, rivalse. Il coraggio di calarsi vigili nel buio di emozioni, sfera affettiva, corpo che vibra fa sentire in pieno l’orrore. Andar nel profondo, sostare, attendere: la luce che viene di dentro corrisponde a una che già brilla nel cielo.

Accettare di non capire non cancella i delitti dell’aggressore, né sminuisce vittime e diritti violati: restituisce la complessità dell’umano. Pace è riconoscere gli opposti (indesiderati) che ci abitano, rinunciare a qualcosa di sé, far spazio all’altro dentro di sé. Non ci si fida delle parole perché di Putin (si può capire), ma anche perché “di testa”, da interpretare. Profumo di vita e odore di morte sono realtà: sentire l’uno e l’altro è cominciare a far pace con se stessi, rischiare la speranza. La stella che puzza appena pescata può divenire Stella Polare: la direzione. I bambini lo sanno e ci giocano. Riscopriamo il “come se” del gioco. L’immaginazione è generatrice di pace.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

In morte di Carol Maltesi, i titoli che non dimenticheremo

Cosa ricorderemo della vicenda che ha atrocemente messo fine alla breve vita di Carol Maltesi, uccisa e fatta a pezzi da un uomo, Davide Fontana, suo amico, ex partner, vicino di casa?

Ricorderemo che aveva 26 anni appena, che era una giovane donna che lavorava e si manteneva, che aveva avuto un bambino a soli 20 anni che ora vive con il padre e al quale era molto legata, che aveva, come tutti, sogni, desideri e convinzioni? Da affidare ai social, per esempio, come la passione per i viaggi o il messaggio sulla violenza contro le donne, ‘un tema che mi sta molto a cuore, non solo perché nel mio piccolo l’ho vissuto personalmente’.

Ricorderemo che il suo è uno dei tanti femminicidi commessi nel nostro Paese, uno ogni tre giorni, strage che non accenna a fermarsi e che, nella quasi totalità dei casi, rimanda alla responsabilità di un uomo che la vittima conosceva, di cui si fidava, che aveva, addirittura, amato.

Ricorderemo che l’autore confesso del suo omicidio – naturalmente insospettabile, cos’altro dire di lui ? – l’ha colpita,  uccisa, fatta a pezzi, ha comprato su Amazon un congelatore per nasconderli, ha cercato di cancellare i tatuaggi dal suo corpo, ha tentato di darle fuoco e ha poi buttato via quei poveri resti in sacchi dalle parti di Borno, nel bresciano? E che mentre questo faceva, nei due mesi  trascorsi dal femminicidio al ritrovamento del cadavere, ha risposto ai messaggi che giungevano sul telefono di Carol, spacciandosi per lei con enorme freddezza e cercando di depistare chi la cercava?

Oppure di questa storia ci resteranno in testa solo le parole che hanno fatto titoli su titoli di giornali, trasmissioni tv e siti: pornostar, attrice hard, diva del porno, ballerina di lap dance e via insistendo e aggiungendo particolari: in un articolo sul sito di un grande quotidiano il cronista si è spinto a scrivere di curve che i frequentatori di un locale milanese non hanno potuto ammirare – peccato, era già stata ammazzata –  e di curve adornate da tatuaggi, che sono poi stati fondamentali per il riconoscimento del suo corpo. Senza dire dell’ignobile, disgustoso tweet di un sedicente comico, tale Pietro Diomede, che per fortuna Zelig ha cancellato dalla sua programmazione. Ancora una volta al centro della scena non c’è la responsabilità maschile, non c’è la contabilità dei femminicidi che si allunga, non c’è il contesto della violenza di genere, ma c’è il corpo, c’è la sessualità femminile. A maggior ragione, e più facilmente, se la biografia di quella giovane donna può essere usata per le morbosità che valgono click.

Immagino già i commenti: allora dovremmo non scrivere, non dare le notizie, tacere questo e rimuovere quello? No, e proprio perché non sfugge neanche come, con il passare dei giorni, il racconto su diverse testate si sia riequilibrato, è ancora una volta questione di linguaggio, di tono, di misura, di rispetto delle libere scelte delle donne. E del giusto peso che, nell’economia della storia che si racconta, si dà alle ‘notizie’, in questo caso all’attività che la vittima svolgeva, senza dimenticare la forza dello stigma.
Le giornaliste –  è soprattutto loro il merito – e i giornalisti italiani si sono dati codici deontologici, hanno organizzato e frequentato corsi di formazione, hanno promosso mai finiti dibattiti sul linguaggio, sugli stereotipi da evitare, sulle narrazioni tossiche. Piacerebbe, leggendo giornali e siti nostrani,  poter dire più spesso che non sono rimasti lettera morta o buone intenzioni per il prossimo convegno sul tema.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Marcia indietro leghista: educazione sessuale alle medie solo se lo vogliono i genitori

    La Lega al Senato ha deciso di fare marcia indietro sull’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Dopo avere condiviso con Valditara la linea dura che prevede il no all’educazione nelle scuole medie e il sì alle superiori condizionato dal consenso dei genitori, ora la Lega dà il via libera alle lezioni anche alle medie, ma sempre subordinate al consenso dei genitori. Una giravolta dettata probabilmente dalla freddezza degli alleati ma ancor di più dall’opposizione che stava montando tra gli insegnanti. La proposta leghista in ogni caso non è la vera soluzione che sarebbe necessaria, perché in ogni caso tutto dipenderà dal sì dei genitori. Valeria Valente, ex presidente della commissione femminicidi, senatrice del Pd. L'intervista a Valeria Valente, ex presidente della commissione femminicidi e senatrice del Pd.

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Identità perdute e ritrovate: gli Oodal raccontano il nuovo album

    È uscito “Vivere Le Vite degli Altri”, secondo album della band toscana Oodal che oggi è passata a trovarci a Volume. Scritto in gran parte in un casolare di montagna, l’album si muove tra elettronica e dream pop, esplorando il tema dell’identità: “Parla di perderla, ritrovarla e non capirla”, racconta la band ai microfoni di Radio Popolare, e di vivere esperienze così in simbiosi che a volte ti sembra di aver vissuto anche la vita di qualcun altro. Ascolta il MiniLive degli Oodal.

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    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 16.00, Elisa Graci e Dario Grande vi accompagnano alla scoperta del suono di oggi: notizie, tendenze e storie di musica accompagnate dalle uscite discografiche più imperdibili, interviste con artisti affermati e nuove voci, mini live in studio e approfondimenti su cinema, serie TV e sottoculture emergenti. Il tutto a ritmo di giochi, curiosità e tanta interazione con il pubblico. Non fartelo raccontare, alza il Volume!

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    Chiara Bersani a Triennale Teatro: "Michel Petrucciani mi ha ispirata"

    Chiara Bersani a Triennale Teatro: "Michel Petrucciani mi ha ispirata" Artista associata di Triennale Teatro per il triennio 2025-27, la coreografa e performer Chiara Bersani arriva a Milano con il suo ultimo spettacolo, The Animals I Am. Il lavoro è una evoluzione di due precedenti lavori, in cui Bersani ripensava i codici del balletto classico a partire da un corpo divergente, come il suo, a causa dell’osteogenesi imperfetta. Il nuovo progetto porta in scena tre performer con disabilità, per sfatare il concetto dell'artista disabile come "eccezione", con uno statement essenzialmente politico. Bersani si è ispirata al celebre pianista jazz Michel Petrucciani, che aveva la sua stessa condizione genetica, a sua volta audace nel suo modo di esprimere arte attraverso il proprio corpo. L'intervista di Ira Rubini.

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    Musica leggerissima di lunedì 10/11/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Nuova rubrica mensile con @Rosario Balestrieri dal titolo Cari estinti, per farli rivivere almeno nell'immaginario di chi ascolta. La Huja è stata la protagonista avvistata l'ultima volta il 28 dicembre del 1907. A cura di Cecilia Di Lieto.

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    Oggi a Cult, il quotidiano culturale di Radio Popolare: l'intervista di Barbara Sorrentini ad Anna Negri sul doc "Toni, mio padre"; la mostra "Material for an Exhibition - Store, memorie e lotte dalla Palestina e dal Mediterraneo" al Museo S. Giulia; Chiara Bersani, artista associata di Triennale Teatro per il triennio 2025-29, sul suo ultimo spettacolo "Michel - The Animal I Am"; la rubrica GialloCrovi di Luca Crovi...

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    Pubblica di lunedì 10/11/2025

    «Democrazia alla prova». Oggi la democrazia è sfidata da una potente deriva autoritaria in giro per il mondo e dalle conseguenze di un neoliberismo ancora in forze. Che cosa può fare la democrazia per riscattarsi da queste sfide minacciose? Quali risposte può dare, ad esempio, alle richieste di giustizia sociale? In altre parole, oggi la democrazia da un lato è messa alla prova da cattive influenze (autoritarismo e neoliberismo), dall'altro è chiamata a rispondere, a dire se ce la fa a tenere il passo con il presente e a rigenerarsi per il futuro. «Democrazia alla prova» è titolo di un convegno che si svolgerà il 23-24-25 gennaio 2026 a Genova e che è stato presentato la settimana scorsa da Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze&Diversità, e Luca Borzani, storico, già presidente della Fondazione Palazzo Ducale di Genova, l’istituzione che ospiterà la tre giorni di fine gennaio. Luca Borzani è stato ospite oggi di Pubblica.

    Pubblica - 10-11-2025

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