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L'Ambrosiano

Il Lago vuoto, la pietra senza porta, il test del 25 settembre

Vedere è sapere: attualità dell’antico detto! Il racconto è uno dei mezzi che abbiamo per condividere dannazioni o speranze comuni. In montagna sto vivendo lo spaccato d’un presente che anticipa inquietudini future.

Sono al lago dello Spluga quasi vuoto. S’è ridotta del 90 per cento la portata – dicono ad A2a – per dare acqua a Milano; irrigare i campi; fermare la discesa del lago di Como. Mi inoltro per centinaia di metri sull’antica strada che per millenni è andata al Passo ma che 90 anni fa fu sommersa per produrre energia elettrica per la città. Oggi l’invaso è una distesa di pietre e sassi. Pochi chilometri più sotto uno specchio d’acqua naturale, il lago Azzurro, da sempre icona per poeti e turisti è sparito: l’han prosciugato i prelievi d’acqua fatti per produrre neve artificiale che facesse sciare Madesimo.

A differenza del passato la sorgente non riesce a ricreare il lago. (A proposito: i piani per Milano-Cortina 2026?). Il disastro ambientale è come la guerra: sembra estranea finché è un massacro a “bassa densità” a migliaia di chilometri. Devi veder Putin invadere l’Ucraina per capire che ti riguarda (chissà fino a quando: l’istinto ad adattarsi crea cotenne sulle coscienze). Allo stesso modo non puoi star davanti alla tv, sentire i contadini lamentarsi (messa così sembra una protesta sindacale) o vedere il Polo perdere i ghiacci. Devi incamminarti a quasi 2000 metri sul fondo d’un ex-lago per capire che o cambi vita o la partita è persa. Mutamento vero è smetter d’essere spettatori di politica, istituzioni, iniziative culturali, media.

I tempi stretti di qui al 25 settembre posson procurare risvegli di coscienza, o il progressivo scivolare in una sorta di eutanasia collettiva complici le promesse in deficit di decine di miliardi dei partiti che assicurano flax tax, mille euro di pensione, blocco dei mari ma dove governano (ad esempio in Lombardia) non son stati neppure capaci di realizzare bacini per preservare l’acqua.

Sono moniti i versi di Wisława Szymborska: «Busso alla porta della pietra / Sono io, fammi entrare / Non ho porta – dice la pietra». L’irrimediabile è scontato? No: ci possono esser teste più dure della pietra. Bisogna provare. Siamo ancora in tempo.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

E se ci tocca Meloni? il danno, la beffa

Immancabile, nella cena d’agosto tra amici, piomba la frase pronunciata come un addebito: “E come la mettiamo con il fatto che la prima premier della storia d’Italia sarà Giorgia?”. Sottinteso: come la mettiamo con voi (donne, femministe, progressiste) che martellate sulle pari opportunità, che battagliate sull’equa rappresentanza, che ‘pretendete’ declinazioni femminili per lavori e cariche pubbliche, che lamentate ogni discriminazione eccetera eccetera? Detto in breve e alla Montalbano, voi che rompete i cabasisi a chi avrebbe serenamente continuato a non porsi il problema e i problemi e che ora vi trovate per le mani una postfascista che probabilmente varcherà una soglia ad alto valore concreto e simbolico: la prima volta di una donna alla guida di un governo. E quale donna e quale governo.
Neanche il tempo di archiviare la cena, peraltro dimenticabile, che ci si guasta la colazione con il titolo del Corriere: se Fratelli d’Italia vince, dichiara Meloni, sarò io il premier. Il premier, a proposito di declinazioni del linguaggio, e non è certo questa la peggiore delle notizie, visto che l’ultimo sondaggio certifica il primo posto di Fdl nelle preferenze elettorali e lei come la più gradita tra i leader.

Qui oggi siamo, e nelle line social di femministe e donne della sinistra infuria il dibattito. Non è  discussione nuova, ma stavolta parliamo del bersaglio grosso: mai nessuna è stata così vicina a centrarlo, e portandosi dietro tutto l’apparato ideologico che rimanda a Dio, patria e famiglia e che mette a rischio conquiste e diritti ottenuti e difesi con fatica. Mai nessuna: perché a destra le donne competono per il potere con meno timori, perché invece a sinistra stanno al riparo dal conflitto con gli uomini e restano all’ombra del capo di turno che spende parole forti, e solo quelle, sulle pari opportunità, perché dire donna non significa, in politica, per forza nominare una differenza, perché Meloni interpreta istanze patriarcali e dunque rassicura, perché questo e quello…. Ognuna – e ce ne sono anche altre – di queste spiegazioni racconta un pezzetto di verità, ma lì ci ferma. E incombe su di noi – vale la pena ricordarlo a chi da posizioni progressiste ha facilmente esultato per la caduta del governo Draghi –  non solo un governo nettamente di destra che già basterebbe, ma una premier che sintetizza plasticamente il punto in cui si trova, anno 2022, questo paese.
Voteranno lei e il suo partito perché dice prima gli italiani e basta con gli stranieri e pure con l’Europa se è del caso, perché hanno pochi soldi e vogliono essere ‘protetti’ o ne hanno tanti e sperano di pagare meno tasse, perché se non c’è più l’uomo forte, nel 2022  va bene anche la donna forte che con il fascismo ‘ha un rapporto sereno perché è parte della nostra storia’. La voteranno, e mi sembra questione che ci deve inquietare, anche tante donne, non sapendo, mettendo tra parentesi, o fregandosene altamente di quanto ha detto in materia di aborto e diritti lgbt o della sua visione della famiglia. La voteranno e dovremo a malincuore riconoscere  – oltre il danno, la beffa – che se la vincitrice non ci piace, la partita è stata più equa. Però, dopo che proprio tutti i buoi sono scappati, nessun alibi: può anche darsi che Meloni si dia un profilo di ragionevolezza perché governare l’Italia tra pandemia, guerra e crisi economica imporrà di farlo, ma la sberla farà male assai e a lungo anche perché, pure stavolta, una voce femminile autorevole e che faccia differenza dalle nostre parti nessuno l’ha sentita.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La scuola non serve a nulla

Cosa? Una conferenza internazionale sull’Umorismo? Ma scherziamo? Dai, su… – Puntata 3

Nelle precedenti settimane vi stavo raccontando dell’ISHS Conference, l’annuale conferenza dell’International Society of Humour Studies (tradotto: la Società Internazionale di studi sull’Umorismo), riportandovi (fingendo, come tutti gli influencers che si rispettino, una qualche vostra richiesta in tal senso), il succo degli interventi più interessanti. Dopo la prima puntata, con lo spiegone a grandi linee sul “cosa, come e perché” della Conferenza più cliffhanger con la puntata dopo, la seconda con i primi interventi, e una breve pausa per commentare i commenti alla frase di Concita de Gregorio, ecco che continuo imperterrito a sciorinarvi un riassunto dei panel più fighi, da quel che ho capito io. Tanto non è che stia accadendo niente di particolare, in Italia e nel mondo, tale da catturare la vostra attenzione: indi per cui, per scongiurare il rischio d’addormentarsi nella sonnolenza del sottombrellone agostano, ecco qui un avvincente e mozzafiato sillabo di quanto è successo…

Eravamo arrivati a Luca Bischetti dello IUSS di Pavia? E si continua con Giselinde Kuipers. Costei si è soffermata sullo stesso argomento di Bischetti, cioè il “Disaster Humour” del Covid-19 (visto che gancio?) per puntualizzare che in effetti quella del Covid è stata sì “la prima volta” dell’umanità per tante cose, ma anche la prima occasione in cui tutti i comedians – e non solo – del pianeta hanno provato a creare materiale comico sullo stesso argomento. Da lì la pubblicazione sul Web, indipendentemente, di battute molto simili anche a latitudini lontanissime. Interessante come questo materiale rispettasse dei “cicli”, della fasi, che Kuispers ha potuto isolare e definire così:

– Fase 1: “Durerà poco” (essendo il virus “di fabbricazione cinese”, “andrà tutto bene”, ecc.”);

– Fase 2: “Non è reale, non esiste” (visto che “è solo un’influenza come altre”);

– Fase 3: “Panico e morte, tentativo di fronteggiare il trauma con il ridicolo” (per intenderci, l’umorismo in stile Taffo);

– Fase 4: “Lock down, noia, adattamento al nuovo” (tipo “Gita che parte dalla cucina, fermata autogrill in corridoio, arrivo in salotto”)

– Fase 5: “Critica alle disposizioni dei governi”, percepite come incoerenti (modalità “perché i teatri sono chiusi e le chiese no”).

Per ognuna di queste fasi gli umoristi, come del resto tutti i comici su un palco con un pubblico, hanno lanciato input e poi aggiustato il tiro dei successivi interventi sulla base della risposta ai precedenti: “un po’ come fanno proprio i tanto bistrattati pipistrelli, che mandano segnali nell’aria e aspettano la risposta per capire dove possono andare”. Che il povero pipistrello avrà fatto pure danni, ma come analogia con il comico è perfetta.

Nel panel “Neurodiversity and humour”, Evelyn Ferstl, Mikhail Fiadotau e Noemi Treichel hanno analizzato la ricaduta dell’uso dell’umorismo nel lavoro di rieducazione con soggetti che presentano disturbi vari nell’area della neurodivergenze. Il loro studio ha rivelato come, sottoponendo allo stesso materiale umoristico un vasto campione di soggetti con quattro tipi di neurodiversità o disturbi diversi (autismo, iperattività/ADHD, schizofrenia e depressione), coloro che dimostrano meno difficoltà nel comprendere un messaggio con intenzione umoristica sono, udite udite (benché il loro sia il disturbo che impatta in maniera più devastante sulla rete relazionale dell’individuo e sul sistema sanitario nazionale) proprio i soggetti con schizofrenia. “E grazie al cavolo: sono almeno due, dentro, possono chiedere e aiutarsi fra loro”, ho commentato sapidamente io, nello spazio finale delle domande, rischiando di essere cacciato dalla Conferenza… ma questa è un’altra storia. Che fa pendant con una della migliori battute della conferenza, quella di una Comedian in un video, che in suo pezzo raccontava: “Mi è stata diagnosticata la Sindrome di ADHD: sono iperattiva e ho difficoltà a mantenere l’attenzione. Volevo dire una battuta per tutti quelli nel pubblico che sono nella mia stessa condizione… Ma temo si siano già distratti a pensare ad altro”. Non ricordo il nome della comedian. Credo mi fossi distratto anch’io.

Peccato poi, sempre nello stesso panel, esservi persi la prof.ssa Michelle Matter. Sì, perchè la professoressa ha illustrato i risultati di un suo bellissimo studio (come approccio, simile al precedente): ha fornito i medesimi stimoli umoristici (battute, barzellette, vignette) a soggetti con autismo e poi ad altri con sindrome di Williams-Beuren (ne ignoravo l’esistenza: è un disturbo che porta nel soggetto uno “sviluppo puberale precoce dei caratteri sessuali secondari e statura definitiva più bassa della media, ma si caratterizza soprattutto per un atteggiamento sociale aperto, spesso immotivatamente, con una tendenza a essere particolarmente gentili ed estroversi con gli estranei, specie se di età diversa”: a dirla male, un disturbo i cui sintomi parrebbero agli antipodi dall’autismo). Dallo studio è emerso come i soggetti appartenenti a entrambi i gruppi hanno grosse difficoltà a comprendere l’umorismo, ma se i soggetti con sindrome di Williams-Beuren non lo ammettono, gli autistici invece sì; e perché? Questione di gelotofobia (altra parola che ho appreso quel giorno: è la “paura di essere derisi”), molto più alta in soggetti con questa sindrome che in quelli con autismo. Riconoscere di non aver compreso una battuta esporrebbe al rischio di essere considerati diversi, e quindi di essere esclusi dal gruppo: perciò il soggetto con sindrome di Williams-Beuren riderà alla battuta pur non avendola compresa (specie se, per imitazione, ridono anche gli altri); mentre una persona con autismo non ride e ti chiede, impassibile e senza filtri, cosa c’è di divertente, perché lui non l’ha capito (esponendosi, inconsapevolmente, allo stesso rischio di esclusione, benché di segno opposto). Voi direte: e perché questo studio sarebbe interessante? Be’, fornisce idealmente i due estremi del paradigma entro cui ritrovare tutte le possibili sfumature delle reazioni che anche i soggetti neurotipici hanno verso l’umorismo quando esso è prodotto in situazioni di socialità. In altre parole: quante volte accade di ridere anche se non abbiamo compreso il motivo? Perché lo facciamo? E perché a volte è difficile dire “Non ho capito”? Quando ero piccolo, certi bulli carogne della mia cumpa, più grandi di me, probabilmente non sapevano di sottopormi allo stesso esperimento della Matter: questi spernacchiavano una battuta a tema sessuale; io non capivo, mancandomi le conoscenze fondamentali, ma ridevo lo stesso per sintonizzarmi con tutti gli altri. Poi mi chiedevano perché: io non lo sapevo spiegare. Mi picchiavano. Fine della breve storia triste.

A seguire, Maggie Hennefeld e Luvell Anderson hanno presentato il bel libro “Uproarious: How Feminists and Other Subversive Comics Speak Truth”, di Cynthia Willett e Julie Willett: una sorta di storia della comicità al femminile Made in U.S.A a partire dagli anni ‘50. Giusto per ribadire come purtroppo il pregiudizio che “le donne non fanno ridere” non è solo roba Made in Italy. Un libro che racconta come gran parte della storia della rivendicazione dei diritti delle donne sia passata anche dai palchi di tanti Comedy Clubs. Tra le tante comedians, si parla anche di Wanda Sykes, e della sua celebre battuta dopo l’elezione di Donald Trump: “Sono certa che non è la prima volta che abbiamo eletto un presidente razzista, sessista, omofobo. È semplicemente il primo che ci ha avvisato in anticipo.”

E poi? E poi basta… cioè, tanti altri interventi interessanti, ma ve li racconto nell’ultima puntata della settimana prossima…

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purché formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Alika, Simone Weil, Francesco, i piccoli inuit e milioni di loro fratelli

«In ogni uomo v’è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. E neppure la persona umana. È semplicemente lui, quell’uomo (…) È questo che è sacro in ogni essere umano»: che «gli venga fatto del bene e non del male». Questo pensiero di Simone Weil allevia sgomento e tristezza per l’assassinio di Alika; il disinteresse collettivo intorno a Francesco che al Polo Nord chiede perdono per i crimini dell’Occidente (Chiesa compresa) che ha colonizzato i nativi violando singoli e identità culturali; l’indifferenza crescente sulla guerra di Putin all’Ucraina, tanto che, sentendosi legittimate dalla diffusa capacità di adattamento al peggio, la Serbia fa scintille col Kossovo e Cina e Usa si misurano su Taiwan. I tg han potuto dire “unanime condanna del mondo politico” per la brutale uccisione a Civitanova perché sugli “ismi” ci si può ritrovare: anche sul “personalismo” paradossalmente. I partiti a parole han condannato poi, ma: la Lega monta la campagna sicurezza (chiodo fisso di Salvini anti immigrati); la Meloni segue Orban che s’è scagliato contro il miscuglio delle razze (parola da bagaglio fascista); il Pd non ce la fa proprio con lo jus scholae. Da che parte stai emerge davanti un uomo, una donna, un bambino, un anziano. Di fronte ad ogni singolo o sei rispettoso, accogliente, prossimo cioè fai il bene di lui per come è, per il solo fatto che è lì: punto. O lo ignori, lo attacchi, gli imprimi uno stigma, lo irridi, lo violenti, lo uccidi. Il resto: chiacchiere. Le vittime: Alika; un bimbo inuit; un abitante di Odessa; un rifugiato; una donna che vuol ricostruirsi la vita con un altro. La Weil ha scritto negli ultimi mesi di vita (inizi ’43) a Londra i pensieri da cui son partito. La salute le aveva impedito di fare la Resistenza; lei ha lottato con idee giocate in ogni scelta e azione “per il bene” dell’uomo, non “per il male”. Contraddire nei fatti che «in ogni uomo v’è qualcosa di sacro» (o camuffarsi dietro parole vuote) è dire che Weil e milioni di donne e uomini han patito il nazifascismo, combattuto: son morti invano. E muoiono ancora solo perché nati. Poi ci stupiamo. Inaccettabile! Star vigili, sempre, ovunque. Essere uomini è l’eredità che possiamo lasciare. L’unica che vale.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Incontro con Hugo Vau, il monaco del mare che surfò una montagna

Riuscite a immaginare la sensazione di essere sulla cresta di un’onda alta 35 metri e di provare a cavalcarla? I pensieri immobili, corpo e mente assorbiti dall’istante, in una danza con il mare totalizzante e pericolosa. Adoro il surf perché – al netto delle gare, degli sponsor e delle costose marche di infradito di cui sinceramente mi interessa poco – chi pratica questo sport con autentica vocazione é una specie di monaco del mare. Rispetta la natura, sa vivere il presente e possiede una giusta distanza dalle cose. E ha un rapporto quasi famigliare con le onde. Come Hugo Vau, il surfista portoghese che ha cavalcato con la sua tavola quel gigante d’acqua di cui parlavamo prima. 35 metri, si é scritto. Una roba impressionante. Da allora Hugo, a quell’onda che ha osato surfare e che gli ha cambiato la vita trasformandolo in uno dei surfisti più conosciuti del mondo, ha dato un nome: Big Mama. Grande mamma.
Perché questo é stata per lui.
L’incredibile esperienza di Hugo si é concretizzata il 17 gennaio 2018 a Nazarè, in Portogallo. Il resto é leggenda, con una storia che ha fatto il giro del mondo ed é diventata un libro – Big Mama La madre di tutte le onde – che Vau ha scritto insieme al giornalista e scrittore ligure Fabio Pozzo, che da sempre é un abile e credibile narratore del mare e dei suoi protagonisti.
Ho la fortuna di incontrare i due a Chiavari, in una delle tante presentazioni che li stanno portando in giro per l’Italia a raccontare Big Mama. In una serata caldae non di meno afosa, Hugo mi viene incontro sorridente, il viso abbronzato incorniciato da una folta barba. Indossa pantaloni leggeri, t shirt scura e ai piedi gli immancabili infradito. Nonostante dalla sua impresa siano passati 4 anni non sembra ancora essersi abituato al fatto che tante persone vogliano stringergli la mano e conoscerlo. E anche io sono una di queste.
Me lo presenta Fabio Pozzo, con cui in settimana ci eravamo accordati per un’intervista da registrare per la Radio (la troverete presto in onda all’interno di Onde Road).
La serata scorre via piacevole, Hugo racconta al numeroso pubblico la “sua onda”, l’emozione di trovarsi sopra una montagna, inseguito da una valanga. A fianco siede Fabio, che da cantastorie esperto tratteggia luoghi, persone e sfumature di quell’incredibile impresa. Il resto lo fanno i contributi video di quella giornata a Nazaré, con quell’onda immensa a scompigliare per sempre il destino di Hugo, un giovane laureato in psicologia innamorato del mare, che a seguito della morte della mamma decide di seguirlo fino in fondo quell’amore. E allora lascia un lavoro stabile e un futuro scritto per cavalcare le onde dentro un futuro da scrivere. Una storia da film, che raggiunge il suo punto piu alto quel giorno a Nazaré, con l’allora trentasettenne Vau che compie il proprio eroico destino. Eppure, devo ammettere un po’ inaspettatamente, la cosa che piu colpisce di tutto quell’adrenalinico video che anima la notte chiavarese non é tanto la cavalcata dell’onda ma un’altra cosa. Sto parlando della nota audio che accompagna una parte del filmato, dove si puó ascoltare la registrazione delle comunicazioni radio fra Hugo e Alex Bothello – l’amico surfer che quel giorno guidava il jet sky che accompagnó Vau in cima a quella montagna d’acqua – con il loro team a terra. Ecco, la voce rilassata, tranquilla e focalizzata sul momento di Hugo – che non dimentichiamo stava andando a calvacare Big Mama rischiando la pelle – sono qualcosa che colpisce, stupisce, addirittura sorprende. Piu da monaci zen che da sportivi, e proprio qui sta il suo bello. Come bello é Hugo, il suo mondo fatto di onde, la vita alle Azzorre, i piedi scalzi e un bimbo avuto da poco dalla compagna. E come é bella quella Big Mama a cui non si puo che volere bene.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    DOC – Tratti da una storia vera - 09-11-2025

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    A cura di Elena Mordiglia. Nella città frenetica, in quello che non sempre sembra un paese delle meraviglie, ci sono persone da raccontare e da ascoltare. Quale lavoro fanno? Come arrivano alla fine del mese? Quale rapporto hanno con la città in cui vivono? Ma parleremo anche di cosa le appassiona ed entuasisma. Registratore alla mano e scarpe buone, queste storie ve le racconteremo.

    Alice, chiacchiere in città - 09-11-2025

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    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 17, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

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    Ricordi d'archivio di domenica 09/11/2025

    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    Giocare col fuoco di domenica 09/11/2025

    Giocare col fuoco: storie, canzoni, poesie di e con Fabrizio Coppola Un contenitore di musica e letteratura senza alcuna preclusione di genere, né musicale né letterario. Ci muoveremo seguendo i percorsi segreti che legano le opere l’una all’altra, come a unire una serie di puntini immaginari su una mappa del tesoro. Memoir e saggi, fiction e non fiction, poesia (moltissima poesia), musica classica, folk, pop e r’n’r, mescolati insieme per provare a rimettere a fuoco la centralità dell’esperienza umana e del racconto che siamo in grado di farne.

    Giocare col fuoco - 09-11-2025

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    La Pillola va giù di domenica 09/11/2025

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 09-11-2025

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    Comizi d’amore di domenica 09/11/2025

    Quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto. Ogni domenica dalle 13.20 alle 14.00, a cura di Stefano Ghittoni.

    Comizi d’amore - 09-11-2025

Adesso in diretta