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L'Ambrosiano

Collusioni

Piano col giubilo! Plauso e soddisfazione hanno valore se l’arresto di Palermo produce cambiamenti in noi. Un boss in carcere non ridà vita alle vittime di atrocità mafiose, né dignità a chi inala lo smog d’un potere distorto e pervasivo, né prestigio alle istituzioni se apparati e politica le occupano per lucro e rendite di posizione, non per servirle. Giustizia è coscienza civile rigenerata, ricreare condizioni perché l’umano pianti tende dove prepotenze, violenza fisica e psicologica, conformismi, avidità han fatto il deserto. Propongo un grande rito collettivo laico: lavacro e purificazione in pubblico; riandare alla fonte primigenia di convivenza: l’etica, la morale pubblica. I Consigli Comunali diano l’esempio. Cominci Milano. Qui si candida in Regione Moratti: fu Sindaca d’una maggioranza di centro destra, tipo l’attuale a Roma, che fece revocare la Commissione d’Inchiesta sugli interessi mafiosi. Pure il Prefetto sosteneva: niente mafia al Nord. Storia? Inconscio culturale? Energia psichica attivabile? Un dibattito in Comune farebbe emergere l’Ombra in noi. Tecnicamente non si chiamerà mafia ma è parente, terreno di coltura. Il boss preso fa scattare la rassicurante proiezione: succede in Sicilia. Ma anche qui abita la mentalità del chi te lo fa fare; una Sanità in cui posti e primariati van sempre a quelli; i cartelli nelle gare e il far spallucce dell’Anticorruzione nel Codice degli appalti; Bergamo e Brescia oggi capitali della Cultura, ieri di cimiteri e Covid, mai di verità. Sconvolto da Capaci Jovanotti scrisse “Cuore”. Se crede a ciò che dice la politica dia ai giovani che nei tg esultano per il boss catturato aule per cantare: «I ragazzi diffidano di ogni proposta,/ non stanno cercando nessuna risposta,/ ma fatti, giustizia, rigore morale/ da parte di chi calza questo stivale. / L’Italia è anche un’altra. /la gente lo grida: / i ragazzi son pronti per vincere la sfida». Jovanotti spiegò che Capaci gli fece prender coscienza di «vivere in un Paese libero dal potere della malavita organizzata. Organizzata – precisò – in ogni sua forma, dalla più atroce e violenta a quella più strisciante, mascherata, istituzionalizzata e collusa con altri poteri». Chi? Dove? Come? Parliamone.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Il mare della violenza e il nostro cucchiaino

Una mia cara amica, femminista intelligente e impegnata, ieri era a Roma ed ha partecipato al presidio in ricordo di Martina Scialdone, uccisa dal suo ex compagno in un ristorante della capitale. Ha scritto a sera, la mia amica: “Tanta gente… ma mi  sto chiedendo, serve?”.

Ecco, la domanda è questa e in tante ce la poniamo: serve? Cosa serve? Perché non è mai abbastanza? Perché sembra di svuotare il mare con un cucchiaino, e il mare è l’oceano della violenza e delle tante scuri che si abbattono sulla vita delle donne – in Afganistan, in Iran, nella democratica America che ostacola chi vuole abortire, qui da noi, sotto casa, al tavolo accanto del ristorante dove una donna discute con un uomo perché vuole lasciarlo e in cambio riceve una pallottola letale. O in Spagna dove le quattro donne uccise in poco meno di 24 ore, dopo un crudelissimo mese di dicembre, fanno dire al ministro degli Interni che siamo davanti a un ‘terrorismo di tipo machista’. La Spagna, proprio il paese in cui era stata promulgata una delle più avanzate leggi del mondo in materia di violenza di genere nel  lontano 2004, dove si usa un algoritmo per predire la violenza e dove oggi ci si chiede cosa si è sbagliato, cosa serve e si sposta il focus sul controllo del potenziale aggressore a forza di braccialetti elettronici.

E ci si domanda cosa serve, cosa dobbiamo fare ancora perché avvenga, ad un livello visibile, apprezzabile, diffuso, lo scatto che tanti uomini hanno fatto e che molti di più ancora non fanno, continuando a pensare le donne come una proprietà, e ad agire il dolore di un abbandono come una cruenta vendetta.

È morta tra le braccia di suo fratello Martina Scialdone, è morta pochi giorni prima una ragazza di Genova, Giulia Donato si chiamava e aveva solo 23 anni, e subito dopo Martina una donna di 43 anni, Teresa Di Tondo, ammazzata a coltellate. Nel primo e nel terzo caso, come spesso ormai accade, gli assassini si sono tolti la vita che sono stati incapaci di vivere, così tanto da toglierla a una donna: e fa pensare questa impotenza distruttiva. Giulia, Martina, Teresa: sono la contabilità infinita di una strage che non accenna a diminuire. E poi ci sono le vite ferite, quelle che alla cronaca non arrivano, che restano urla da un appartamento vicino, o litigi al tavolo accanto e che ti lasciano lì a chiederti: cosa faccio, intervengo, chiamo la polizia, speriamo che finisca, che tutto si calmi…

E non si calma niente, e ci vuole il grande coraggio di chi ogni giorno continua a svuotare quel mare – nei centri antiviolenza, ma anche nelle relazioni di aiuto tra amiche, sorelle, vicine di casa, uomini di buona volontà  anche, certo – per non sentirsi sfiduciate, sopraffatte e per non dubitare. Serve, serve tutto – lavorare sugli stereotipi, con i giovani, con i figli, mettere soldi e risorse su questo piatto, scriverne, parlarne, non abbassare la guardia, uscire di casa per stare con altre in un presidio sotto la casa di una, l’ennesima,  vittima.  Serve, ma  stasera che fatica.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Ville Valo è tornato, il Love Metal è salvo

Poco più di una ventina d’anni fa c’è stato un periodo in cui il mondo del metal più commerciale venne invaso dalla musica di una band finlandese assai discussa, che seppe spaccare in due il pubblico, dividendolo fra chi li amava alla follia e chi li disprezzava senza rimorso. Sto parlando degli Him di Ville Valo, che in mezzo mondo, Italia compresa, nel 2000 fecero il botto con l’album Razorblade Romance. Quel disco, trascinato dalla ballatona gotica Join Me In Death e da una manciata di pezzi tirati, orecchiabili, in bilico fra glam, pop, goth e metal, diventò un classico garantendo alla band nata nel ‘91 a Helsinki, un posto di rilievo nel panorama musicale del periodo. Gli Him erano innegabilmente bravi, e altrettanto innegabilmente ruffiani. E poi avevano un cantante come Ville – bello come un modello e con quel look da maudit decadente – che gli garantiva una fanbase non composta dai soliti metallari col chiodo che ai concerti si agitano con la birra in mano pogando nelle prime file, ma uno stuolo di ragazzine urlanti che sbavavano su quel frontman dalla voce calda e urticante come un bicchiere di assenzio e la capacità di ammiccare come pochi. Già perché quei testi intrisi di love, death, perdizione e redention sembravano costruiti ad arte per generare appiccicosi wet dreams. Un po’ di Cure, un po’ di Billy Idol, una spruzzata dell’Ozzy Osbourne più pop, e poi un pizzico di glam, un filo di Jim Morrison nell’attitudine imbronciata, un briciolino di pseudo satanismo all’acqua di rose – Him stava per His Infernal Majestic – ed ecco la band che inventò il love metal. Inevitabile che a tanti piacessero e ad altrettanti facessero schifo. Personalmente ero tra i primi: adoravo Ville e i suoi. Sarà stato paraculo quanto volete ma con la sua musica sapeva emozionarmi; quell’atmosfera romantica e decadente mi faceva sognare e per quanto intuissi fosse un po’ artefatta, me la godevo comunque, come si fa con un film dell’orrore o una romantica commedia dalle tinte scure. D’altronde, come dicevano gli ismaeliti, quando niente è vero tutto è permesso. Per questo ci patii parecchio quando nel 2017, dopo un lucroso tour d’addio, il gruppo si sciolse. Ci patii ma lo accettai anche con un certo sollievo, perché era ormai da tempo che Valo, principale compositore di tutti i brani, sembrava stanco e a corto di idee.
Da allora il cantante degli Him ha fatto perdere le sue tracce. Tolta una collaborazione con lo stagionato gruppo folk finlandese degli Agents, è sparito dai radar lasciando i fan orfani della sua musica, perlomeno fino al 13 gennaio di quest’anno, giorno in cui è uscito Neon Noir, il suo primo disco solista, un album dove Valo suona tutti gli strumenti, dalla batteria alla chitarra. Come è il disco? Come una versione più morbida, azzarderei pop, degli Him. Ma attenzione, non sto dicendo sia male, a tanti magari questa versione un filo più annacquata e a tratti ispirata piacerà anche di più. Le inconfondibili trame melodiche di Valo ci sono tutte, state tranquilli. Quello che manca sono gli ammiccamenti facili, il goth a tutti i costi, che pur non sparendo del tutto si attenua, lasciando spazio anche a momenti più luminosi, quasi ottimisti, che so può sembrare irrispettoso visto che stiamo comunque parlando dell’ex frontman degli Him. Quello che convince meno è il risultato finale del disco, con le canzoni che – meno tirate, rabbiose e potenti che in passato – finiscono per suonare tutte molto simili, e alla alla lunga annoiano un po’. O magari semplicemente servono più ascolti per assimilarlo, vi saprò dire. Alla fine chissenefrega, la cosa importante è che Ville sia tornato, di nuovo produttivo e desideroso di spendersi sul palco, pronto ad adombrare la candela nera di amori fuggiaschi eternamente tormentati. Il love metal, anche se forse ora sarebbe più lecito chiamarlo pop metal, è salvo. Il suo re è tornato.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Appunti sulla mondialità

La salute della Cina

Poche volte l’andamento dell’economia mondiale è dipeso dalla salute di un popolo, ma in questo 2023 che inizia dipenderà da quella del popolo cinese. I timori che il brusco allentamento delle misure draconiane di prevenzione finora adottate da Pechino contro il coronavirus possa tradursi in un’ondata incontrollata di contagi sono molto forti. I motivi sono diversi, ma i principali rimangono l’alta percentuale dei cittadini non vaccinati, una decina di milioni solo tra gli over-85, e la scarsa efficacia dimostrata nei test dai vaccini cinesi della Sinovac rispetto a quelli a mRna prodotti dalle multinazionali occidentali. In Cile, dove questi vaccini erano stati usati per la prima volta fuori dalla Cina, si è calcolato che la copertura di vaccini Sinovac di prima generazione non superava il 40% di efficacia. Nel 2022, la scarsa circolazione del virus nel Paese asiatico è stata dovuta non tanto ai vaccini, ma alle politiche di isolamento dei focolai, fondate su rigidissimi lockdown. La domanda degli esperti è se la Cina oggi è pronta per sostenere la ripresa economica globale, visto il ruolo determinante che svolge per la filiera produttiva mondiale. La pandemia, infatti, ha messo in evidenza come della Cina non si possa fare a meno: garantisce percentuali che toccano il 40% dei componenti attivi dell’industria farmaceutica e il 35% del mercato mondiale dei microchip, oltre a una enorme quantità di beni che spaziano dall’elettronica avanzata alle terre rare, che sono estratte o elaborate in Cina quasi per il 70%.

Si è così compreso che la globalizzazione è sì una fase dell’economia mondiale nella quale tutti partecipano a un unico e grande mercato, ma questo mercato è tenuto in piedi da pochi Paesi, e soprattutto dalla Cina. Se la salute dei cinesi quindi vacilla, ne risente l’economia di tutto il mondo e in alcuni settori si rischia addirittura la paralisi. Questa è la conseguenza di un processo iniziato negli anni ’80 del secolo scorso, con il trasferimento di interi comparti industriali dismessi dall’Occidente verso la Cina, capace di acquisire velocemente una capacità produttiva che in precedenza non aveva grazie al suo inesauribile serbatoio di manodopera a basso costo, ma anche a zero politiche ambientali e sfruttamento illimitato di energia prodotta dal carbone. Poi il colosso asiatico è diventato esso stesso un grande mercato, ma senza perdere il ruolo di esportatore che, anzi, si è rafforzato nel tempo anche attraverso enormi investimenti diretti in una miriade di Paesi in tutto il mondo. Il vero colpo di reni della Cina è stata però la sua politica estera, non guidata da mire geopolitiche tradizionali ma volta a consolidare il primato economico raggiunto. Stringendo accordi commerciali, Pechino si è garantita rifornimenti certi di quasi tutte le commodities necessarie per la sua economia. E quindi grano, soia, carne, legname dal Sudamerica e minerali strategici dall’Africa, diventata il suo cortile di casa. Per non parlare del resto dell’Oriente, dove spiccano gli accordi con Vietnam e Laos e il sostegno a regimi come quello al potere in Myanmar.

L’espansione della Cina assomiglia molto, almeno da un punto di vista economico, a quella che fu propria dell’Impero britannico, ma senza l’apporto delle cannoniere e senza le colonie, almeno in apparenza. La Cina è dunque una potenza moderna e allo stesso tempo antica, ormai da tempo siede al tavolo dei grandi del mondo ma continua a usare retoriche terzomondiste con i Paesi più poveri. Questo ruolo, però, ora diventa fragile per via del più grande errore commesso da Pechino negli ultimi decenni: quello di non avere voluto, per motivi di orgoglio nazionale, copiare o acquistare i vaccini occidentali, preferendo continuare a seguire la via, rivelatasi fallimentare, del controllo della diffusione dei contagi. Il punto è che la salute del popolo cinese è un problema di tutti: senza la Cina non si uscirà dalla crisi iniziata nel 2019, a dimostrazione del fatto che, oggi più che mai, i problemi e i conflitti arrivano dall’economia molto più che dai missili. Ma a differenza dei carri armati, sono problemi che fanno poco rumore.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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La nave di Penelope

Scuola, Finlandia e la presunzione dei genitori

Sul caso della madre finlandese che ha ritirato i figli da scuola in Sicilia ritenendo il nostro sistema inadeguato si è letto di tutto. Il dibattito spesso non ha superato il livello discussione da bar. Si è tradotto in una guerra tra chi si è schierato contro la mamma scandinava sostenendo che il nostro sia il migliore dei sistemi scolastici possibili e che il loro non possa reggere il confronto e chi, invece, le ha dato ragione. Il discorso è, come sempre, molto più complesso. Ci sono punti di forza e di debolezza in entrambi i sistemi scolastici.

Di certo non si può negare l’altissima qualità del sistema del paese scandinavo: secondo gli ultimi dati Pisa – l’indice dell’Ocse che esamina la misura in cui gli studenti hanno acquisito alcune delle conoscenze e delle competenze essenziali per una piena partecipazione alle società moderne -, aggiornati al 2018, la Finlandia si classifica seconda in Europa, dopo l’Estonia. L’Italia è decine di posizioni più in basso.

Del resto l’investimento pubblico della Finlandia sull’istruzione è molto alto e questo porta ad avere anche strumenti che permettono una maggiore innovazione. Uno dei loro punti di forza è senz’altro la valorizzazione dei talenti individuali, tema su cui da noi c’è ancora molto da lavorare.

Ma ai tanti detrattori della scuola italiana, vorrei ricordare che, al di là di un sistema senz’altro migliorabile, non tutte le scuole sono uguali. Ognuna, nella sua autonomia può valutare di applicare diversi metodi didattici. E ci sono scuole all’avanguardia anche qui. Alcuni istituti, tra l’altro, vantano sperimentazioni molto apprezzate e che le portano ad essere considerate d’eccellenza (come quelle che applicano il metodo Pizzigoni o il Montessori).

C’è da dire anche che, nonostante le poche risorse, in molti casi, anche negli istituti più tradizionali, si può contare sul lavoro di ottimi professionisti che si impegnano a portare ampie ventate di novità con i pochi mezzi a disposizione e scuole che portano avanti progetti avvenieristici partecipando a bandi europei per colmare il vuoto di investimenti statali. Come quegli istituti tecnici di periferia che, ben prima del Covid e della Dad, e senza aiuti dal ministero, sono riuscite a ottenere fondi da Bruxelles per cablare l’istituto e dotarsi di device digitali di ultima generazione. O istituti comprensivi (quindi scuole elementari e medie) che sono riusciti ad attrezzare laboratori di robotica per i più piccoli.

Di sicuro, la mamma finlandese ha fatto una scelta leggera nello spostare la famiglia in un altro luogo d’Europa per poi iscrivere i figli in scuole a caso, che non soddisfano le sue aspettative, all’interno di un sistema scolastico che disapprova. Gli strumenti per informarsi sui progetti e su quale siano le caratteristiche delle scuole non mancano: gruppi social di mamme, open day, sito dell’istituto ecc. E almeno una ricerca online per capire come è strutturata in generale la scuola italiana forse si poteva fare. Spero che almeno sulla Spagna, dove ha annunciato che porterà la sua famiglia, si sia preparata.

A un’usanza comune nel nostro paese però si può dire che si è adeguata in fretta: alla presunzione di certi genitori di dover dire la loro sui metodi didattici (addirittura passando dai media e dopo un’esperienza di soli due mesi), denigrando e minando l’autorità degli insegnanti e sminuendo la loro professionalità.

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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    GIANLUCA GRIMALDA - A FUOCO! - presentato da Marianna Usuelli

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

    Tutto scorre - 16-09-2025

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    Caso Kirk: "Il Governo vuole creare un clima di paura" dice Benedetta Tobagi

    “Quelle che arrivano dalla maggioranza sono delle sciocchezze, che sarebbero grottesche se non fossero pericolose perché tradiscono una chiara volontà di creare un clima di paura e di allarme, criminalizzando tutta la galassia dell’opposizione”. Così Benedetta Tobagi, intervistata da Luigi Ambrosio all'Orizzonte delle Venti, sui reiterati attacchi del Governo alle opposizioni accusate di fomentare la violenza. “Anche per ciò che porto nel mio nome, l’Italia ha nella sua storia una sinistra antifascista e democratica che non è mai stata violenta. Figure come mio padre e Aldo Moro sono state colpite addirittura dal terrorismo di sinistra. Questa è la storia che vergognosamente Meloni, Tajani e Salvini non riconoscono e che, invece, deve essere la nostra forza”.

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di martedì 16/09/2025

    In diretta dall'Ucraina Sabato Angieri ci racconta delle profonde differenze che ormai segnano il paese tra territori in guerra e retrovie, di chi non vuole andarsene nonostante la guerra abbia distrutto spazi e vite e di come il fronte insista da due anni sugli stessi campi. Gianpaolo Scarante, docente all'Università di Padova ed ex-diplomatico analizza lo scontro verbale tra Russia e Nato e invoca il ritorno della ragione per evitare una escalation dei fatti. Emanuele Valenti ci aggiorna sull'entrata dei carri armati a Gaza City dopo giorni di bombardamenti mirati a distruggere tutti i palazzi principali della città per forzare la popolazione ad andarsene. Ma la popolazione non ha nessun posto dove andare. E anche chi avrebbe un visto di studio in Italia non riesce a uscire dall'inferno della Striscia lo raccontano le voci di alcuni degli studenti palestinesi che hanno vinto una borsa di studio nelle università italiane. Molti di loro hanno diffuso appelli sui social per chiedere di fare pressione sulle autorità italiane affinché organizzino la loro evacuazione immediata. Sentiamo le loro voci e ci spiega come stanno, chi sono e perché non si riesce ad aprire un corridoio umanitario per loro Stefano Simonetta, Prorettore ai Servizi agli Studenti e al Diritto allo Studio della Università Statale di Milano.

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