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Mia cara Olympe

Dopo il Pertini, sulla scena del parto

Un paio d’anni fa, per un settimanale femminile, mi sono occupata di violenza ostetrica. Ho intervistato le donne e le attiviste che hanno fondato l’osservatorio e promosso l’indagine Doxa (su un campione di donne che hanno partorito – il 99% in ospedale – tra il 2003 e il 2017,  il 21% pari a 1 milione di donne ha dichiarato di avere subito violenza ostetrica. Il 41% ha riferito di pratiche lesive della propria dignità o integrità psicofisica e il 33% non si è sentita adeguatamente assistita), ho ascoltato ginecologhe e ostetriche, queste ultime ospedaliere e non. Sin dai dati (c’è un’altra indagine promossa dalla società scientifiche dei ginecologi che dà tutt’altri risultati) si poteva notare una fortissima divaricazione di sguardi: se sul fronte delle attiviste si rivendicava l’aver dato voce alle donne (e tante, tantissime l’hanno ripresa in questi giorni dopo la drammatica morte del neonato al Pertini di Roma) e l’aver fatto emergere pratiche e abusi in sala parto, il personale sanitario sottolineava  gli alti livelli di sicurezza garantiti alle madri dai nostri ospedali e un lavoro di decenni per modificare pratiche e cultura del parto.

Il parto è un iceberg: c’è un emerso –  la creatura è nata, si festeggia, la mamma torna più o meno conciata a casa, tutto riprende il suo corso – e un  sommerso gigantesco, tanto grande quanto personale, anche se una caratteristica comune c’é: nessuna dimentica, tutte possono raccontare a distanza di decenni il proprio o i propri parti. Altro che il  “Vedrai, appena ce l’hai in braccio ti dimenticherai di tutto”. Il parto è un iceberg che trascina, fa emergere con violenza per poi rinascondere mille cose di te e malgrado te: il rapporto con il corpo, con la sessualità, con il dolore, la genealogia femminile, le mille voci che da tempo immemore fino al momento prima di entrare in sala parto hanno detto cose, sussurrato comportamenti,  imposto norme, alimentato aspettative… Una di quelle è la tua stessa voce che ha costruito nei mesi dell’attesa una scena: talvolta troppo edulcorata, o spaventata, o fiduciosa, o tutte queste cose ed altre insieme.

Quell’iceberg riguarda anche chi ti assisterà e chissà quanto ha elaborato e lavorato sulla richiesta che da secoli impone alle donne di essere subito, interamente, autonomamente, coraggiosamente madri come se ciascuna non fosse una madre, quella madre, tra le tante possibili. E quel parto non fosse quello, unico, nuovo tutte le volte. Mentre, intanto,  i reparti si svuotano di medici e ostetriche, il clima di lavoro diventa sempre più pesante e in parte ‘burocratizzato’, l’alleanza terapeutica tra medico e paziente è andata, da tempo, sgretolandosi, la rete dei consultori si è impoverita e le donne sono più sole.

Ecco cosa mi sembra ci sia dietro la terribile vicenda del Pertini:  una relazione sempre più difficile tra il personale sanitario e le donne e, invece, sempre più necessaria, se è vero che  si partorisce più tardi,  il livello delle complicazioni aumenta e così anche – prima durante e dopo – la solitudine delle madri, aggravata dal Covid che ha tenuto fuori dagli ospedali i padri e il cerchio degli affetti. Mi ha detto un’ostetrica intelligente, mentre lavoravo a quella inchiesta: non siamo linee guida ma persone, il parto è a doppio scambio e non sempre si riesce a stabilire una comunicazione. E l’elaborazione di cosa è accaduto è fondamentale per la madre, ma anche per noi. Per vedere l’iceberg, si potrebbe dire, e trarne esperienza e consapevolezza.

Ps. Però (o non però) in chiusura vorrei aggiungere il ricordo di un panino: mi fu offerto da un infermiere, un uomo, alle undici e mezzo di sera nel reparto della Mangiagalli  di Milano dove fui portata dopo l’estenuante e faticoso parto del mio secondogenito che mi aveva impegnato dalle sette del mattino. Era un semplice panino condito con olio e sale: era caldo, affettuoso, buonissimo.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

Salvate il soldato Pd

Sono tra i tanti che non han risparmiato critiche e ironie a omissioni, scelte, propositi e attese tradite del Pd. Non rinuncio a indispettirmi per autoreferenzialità e liturgie ma non posso non constatare: il Pd è il solo partito sulla scena in linea col disegno costituzionale. In una riga e mezza la Carta definisce la democrazia e fissa il confine oltre cui c’è il piano inclinato della deriva autoritaria. Art. 49: «Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Guardo al Parlamento e vedo agitarsi gruppi, leader che ne sono proprietari coi nomi nei loghi, schieramenti personalizzati, legati a fortune di singoli, gradimenti, sondaggi; non vedo organismi, Statuti, strutture sul territorio, luoghi di dibattito, elaborazione d’idee, strategie, culture, formazione di classi dirigenti, appuntamenti congressuali, modi in cui valutare presente e visioni generali, confronti su linee politiche, popoli a cui parlare, provvedimenti da proporre a chi si ispira a orientamenti diversi e coi quali o allearsi o competere (il «metodo democratico»), persone da eleggere perché con onestà e coraggio propugnino scelte condivise. Oggi in gioco è il modello costituzionale. Sul Pd, pur con carenze e difetti, grava un ruolo che va oltre le fortune sue. V’è da bloccare il deterioramento degli assetti istituzionali, l’alterazione dei contrappesi tra organi e poteri dello Stato, il perseguimento di condizioni afninché diritti e doveri siano garantiti. Quasi 30 anni fa Giuseppe Dossetti lasciò per un attimo il ritiro del monaco preoccupato del berlusconismo rampante. Nacquero Comitati per la difesa della Costituzione. Anche grazie a una rivolta civile e culturale appetiti furon placati: a destra e a sinistra. Al risveglio del pericolo va pensato qualcosa che lo contrasti in termini di cultura, mentalità. Presidenzialismo e autonomia differenziata, offerti come efficientamento democratico, la svuotano. I partiti sarebbero le prime vittime d’una deriva autoritaria. Come non vederlo? Anche sul no intransigente alla destra si giocano il futuro il Pd, le tradizioni cattolica e quella riformista, il Paese. E l’Europa, a voler guardare lontano.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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L'Ambrosiano

Collusioni

Piano col giubilo! Plauso e soddisfazione hanno valore se l’arresto di Palermo produce cambiamenti in noi. Un boss in carcere non ridà vita alle vittime di atrocità mafiose, né dignità a chi inala lo smog d’un potere distorto e pervasivo, né prestigio alle istituzioni se apparati e politica le occupano per lucro e rendite di posizione, non per servirle. Giustizia è coscienza civile rigenerata, ricreare condizioni perché l’umano pianti tende dove prepotenze, violenza fisica e psicologica, conformismi, avidità han fatto il deserto. Propongo un grande rito collettivo laico: lavacro e purificazione in pubblico; riandare alla fonte primigenia di convivenza: l’etica, la morale pubblica. I Consigli Comunali diano l’esempio. Cominci Milano. Qui si candida in Regione Moratti: fu Sindaca d’una maggioranza di centro destra, tipo l’attuale a Roma, che fece revocare la Commissione d’Inchiesta sugli interessi mafiosi. Pure il Prefetto sosteneva: niente mafia al Nord. Storia? Inconscio culturale? Energia psichica attivabile? Un dibattito in Comune farebbe emergere l’Ombra in noi. Tecnicamente non si chiamerà mafia ma è parente, terreno di coltura. Il boss preso fa scattare la rassicurante proiezione: succede in Sicilia. Ma anche qui abita la mentalità del chi te lo fa fare; una Sanità in cui posti e primariati van sempre a quelli; i cartelli nelle gare e il far spallucce dell’Anticorruzione nel Codice degli appalti; Bergamo e Brescia oggi capitali della Cultura, ieri di cimiteri e Covid, mai di verità. Sconvolto da Capaci Jovanotti scrisse “Cuore”. Se crede a ciò che dice la politica dia ai giovani che nei tg esultano per il boss catturato aule per cantare: «I ragazzi diffidano di ogni proposta,/ non stanno cercando nessuna risposta,/ ma fatti, giustizia, rigore morale/ da parte di chi calza questo stivale. / L’Italia è anche un’altra. /la gente lo grida: / i ragazzi son pronti per vincere la sfida». Jovanotti spiegò che Capaci gli fece prender coscienza di «vivere in un Paese libero dal potere della malavita organizzata. Organizzata – precisò – in ogni sua forma, dalla più atroce e violenta a quella più strisciante, mascherata, istituzionalizzata e collusa con altri poteri». Chi? Dove? Come? Parliamone.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Il mare della violenza e il nostro cucchiaino

Una mia cara amica, femminista intelligente e impegnata, ieri era a Roma ed ha partecipato al presidio in ricordo di Martina Scialdone, uccisa dal suo ex compagno in un ristorante della capitale. Ha scritto a sera, la mia amica: “Tanta gente… ma mi  sto chiedendo, serve?”.

Ecco, la domanda è questa e in tante ce la poniamo: serve? Cosa serve? Perché non è mai abbastanza? Perché sembra di svuotare il mare con un cucchiaino, e il mare è l’oceano della violenza e delle tante scuri che si abbattono sulla vita delle donne – in Afganistan, in Iran, nella democratica America che ostacola chi vuole abortire, qui da noi, sotto casa, al tavolo accanto del ristorante dove una donna discute con un uomo perché vuole lasciarlo e in cambio riceve una pallottola letale. O in Spagna dove le quattro donne uccise in poco meno di 24 ore, dopo un crudelissimo mese di dicembre, fanno dire al ministro degli Interni che siamo davanti a un ‘terrorismo di tipo machista’. La Spagna, proprio il paese in cui era stata promulgata una delle più avanzate leggi del mondo in materia di violenza di genere nel  lontano 2004, dove si usa un algoritmo per predire la violenza e dove oggi ci si chiede cosa si è sbagliato, cosa serve e si sposta il focus sul controllo del potenziale aggressore a forza di braccialetti elettronici.

E ci si domanda cosa serve, cosa dobbiamo fare ancora perché avvenga, ad un livello visibile, apprezzabile, diffuso, lo scatto che tanti uomini hanno fatto e che molti di più ancora non fanno, continuando a pensare le donne come una proprietà, e ad agire il dolore di un abbandono come una cruenta vendetta.

È morta tra le braccia di suo fratello Martina Scialdone, è morta pochi giorni prima una ragazza di Genova, Giulia Donato si chiamava e aveva solo 23 anni, e subito dopo Martina una donna di 43 anni, Teresa Di Tondo, ammazzata a coltellate. Nel primo e nel terzo caso, come spesso ormai accade, gli assassini si sono tolti la vita che sono stati incapaci di vivere, così tanto da toglierla a una donna: e fa pensare questa impotenza distruttiva. Giulia, Martina, Teresa: sono la contabilità infinita di una strage che non accenna a diminuire. E poi ci sono le vite ferite, quelle che alla cronaca non arrivano, che restano urla da un appartamento vicino, o litigi al tavolo accanto e che ti lasciano lì a chiederti: cosa faccio, intervengo, chiamo la polizia, speriamo che finisca, che tutto si calmi…

E non si calma niente, e ci vuole il grande coraggio di chi ogni giorno continua a svuotare quel mare – nei centri antiviolenza, ma anche nelle relazioni di aiuto tra amiche, sorelle, vicine di casa, uomini di buona volontà  anche, certo – per non sentirsi sfiduciate, sopraffatte e per non dubitare. Serve, serve tutto – lavorare sugli stereotipi, con i giovani, con i figli, mettere soldi e risorse su questo piatto, scriverne, parlarne, non abbassare la guardia, uscire di casa per stare con altre in un presidio sotto la casa di una, l’ennesima,  vittima.  Serve, ma  stasera che fatica.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Ville Valo è tornato, il Love Metal è salvo

Poco più di una ventina d’anni fa c’è stato un periodo in cui il mondo del metal più commerciale venne invaso dalla musica di una band finlandese assai discussa, che seppe spaccare in due il pubblico, dividendolo fra chi li amava alla follia e chi li disprezzava senza rimorso. Sto parlando degli Him di Ville Valo, che in mezzo mondo, Italia compresa, nel 2000 fecero il botto con l’album Razorblade Romance. Quel disco, trascinato dalla ballatona gotica Join Me In Death e da una manciata di pezzi tirati, orecchiabili, in bilico fra glam, pop, goth e metal, diventò un classico garantendo alla band nata nel ‘91 a Helsinki, un posto di rilievo nel panorama musicale del periodo. Gli Him erano innegabilmente bravi, e altrettanto innegabilmente ruffiani. E poi avevano un cantante come Ville – bello come un modello e con quel look da maudit decadente – che gli garantiva una fanbase non composta dai soliti metallari col chiodo che ai concerti si agitano con la birra in mano pogando nelle prime file, ma uno stuolo di ragazzine urlanti che sbavavano su quel frontman dalla voce calda e urticante come un bicchiere di assenzio e la capacità di ammiccare come pochi. Già perché quei testi intrisi di love, death, perdizione e redention sembravano costruiti ad arte per generare appiccicosi wet dreams. Un po’ di Cure, un po’ di Billy Idol, una spruzzata dell’Ozzy Osbourne più pop, e poi un pizzico di glam, un filo di Jim Morrison nell’attitudine imbronciata, un briciolino di pseudo satanismo all’acqua di rose – Him stava per His Infernal Majestic – ed ecco la band che inventò il love metal. Inevitabile che a tanti piacessero e ad altrettanti facessero schifo. Personalmente ero tra i primi: adoravo Ville e i suoi. Sarà stato paraculo quanto volete ma con la sua musica sapeva emozionarmi; quell’atmosfera romantica e decadente mi faceva sognare e per quanto intuissi fosse un po’ artefatta, me la godevo comunque, come si fa con un film dell’orrore o una romantica commedia dalle tinte scure. D’altronde, come dicevano gli ismaeliti, quando niente è vero tutto è permesso. Per questo ci patii parecchio quando nel 2017, dopo un lucroso tour d’addio, il gruppo si sciolse. Ci patii ma lo accettai anche con un certo sollievo, perché era ormai da tempo che Valo, principale compositore di tutti i brani, sembrava stanco e a corto di idee.
Da allora il cantante degli Him ha fatto perdere le sue tracce. Tolta una collaborazione con lo stagionato gruppo folk finlandese degli Agents, è sparito dai radar lasciando i fan orfani della sua musica, perlomeno fino al 13 gennaio di quest’anno, giorno in cui è uscito Neon Noir, il suo primo disco solista, un album dove Valo suona tutti gli strumenti, dalla batteria alla chitarra. Come è il disco? Come una versione più morbida, azzarderei pop, degli Him. Ma attenzione, non sto dicendo sia male, a tanti magari questa versione un filo più annacquata e a tratti ispirata piacerà anche di più. Le inconfondibili trame melodiche di Valo ci sono tutte, state tranquilli. Quello che manca sono gli ammiccamenti facili, il goth a tutti i costi, che pur non sparendo del tutto si attenua, lasciando spazio anche a momenti più luminosi, quasi ottimisti, che so può sembrare irrispettoso visto che stiamo comunque parlando dell’ex frontman degli Him. Quello che convince meno è il risultato finale del disco, con le canzoni che – meno tirate, rabbiose e potenti che in passato – finiscono per suonare tutte molto simili, e alla alla lunga annoiano un po’. O magari semplicemente servono più ascolti per assimilarlo, vi saprò dire. Alla fine chissenefrega, la cosa importante è che Ville sia tornato, di nuovo produttivo e desideroso di spendersi sul palco, pronto ad adombrare la candela nera di amori fuggiaschi eternamente tormentati. Il love metal, anche se forse ora sarebbe più lecito chiamarlo pop metal, è salvo. Il suo re è tornato.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    Zohran Mamdani è il nuovo sindaco di New York e il calcio ha avuto un ruolo importante nella sua campagna elettorale. È stato uno degli strumenti che gli hanno permesso di rendere più chiara la sua posizione su diverse questioni, a pochi mesi dai Mondiali che nel 2026 si disputeranno anche negli Stati Uniti. Ospite: Valerio Moggia, ideatore e curatore di Pallonate in faccia.

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    Benvenuti a Rotoclassica, programma di attualità e di informazione dedicato alla musica classica, che nasce nel 1983 alla fine di una storia della musica iniziata nel lontano 1976, subito dopo la nascita della Radio. Notizie, personaggi, concerti, anniversari, eventi, dischi, libri, film ed altro ancora che danno vita all’universo musicale classico e contemporaneo, dal centro della galassia sino alle sue estreme periferie, con una rinnovata attenzione anche per il dietro le quinte. Ideata da Claudio Ricordi, impaginata e condotta dallo stesso Ricordi e da Carlo Centemeri, si avvale del prezioso contributo di Carlo Lanfossi, Francesca Mulas, Luca Chierici, Margherita Colombo e Emanuele Ferrari che formano attualmente la redazione di musica classica di Radio Popolare. Della storica redazione hanno fatto parte anche Ettore Napoli, Marco Ravasini, Pierfranco Vitale, Luca Gorla, Giulia Calenda, Sebastiano Cognolato, Vittorio Bianchi, Giovanni Chiodi, Michele Coralli, Roberto Festa, Francesco Rossi, Antonio Polignano. Siamo da sempre felici di accogliere qualsiasi tipo di critica, contributo o suggerimento dagli ascoltatori della radio, incluse segnalazioni di notizie, concerti e iniziative.

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    con Anna Negri sul documentario “Toni mio padre”; Francesco Fei su “Piero Pelù rumore dentro”; Alessandro Genovesi e Valentina Lodovini regista e interprete di “Una famiglia sottosopra”; Lino Guanciale parla di “Il Commissario Ricciardi”. Estratto dall’incontro con Soahil Dahdal e Rehab Nazzal, vincitori del Nazra Palestine Short Film Festival, nell’auditorium di Radio Popolare (2). Tra le uscite: “Un semplice incidente” di Jafar Panahi; “Siamo in un film di Alberto Sordi?” di Steve Della Casa e Caterina Taricano; “Anemone” di Ronan Day-Lewis.

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    I girasoli di sabato 08/11/2025

    “I Girasoli” è la trasmissione di Radio Popolare dedicata all'arte e alla fotografia, condotta da Tiziana Ricci. Ogni sabato alle 13.15, il programma esplora eventi culturali, offre interviste ai protagonisti dell'arte, e fornisce approfondimenti sui critici e sui giovani talenti. L’obiettivo è rendere accessibile il significato delle opere e valutare la qualità culturale degli eventi, contrastando il proliferare di iniziative di scarso valore e valutando le polemiche sulla politica culturale.

    I girasoli - 08-11-2025

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