Tra Buddha e Jimi Hendrix

Ville Valo è tornato, il Love Metal è salvo

Poco più di una ventina d’anni fa c’è stato un periodo in cui il mondo del metal più commerciale venne invaso dalla musica di una band finlandese assai discussa, che seppe spaccare in due il pubblico, dividendolo fra chi li amava alla follia e chi li disprezzava senza rimorso. Sto parlando degli Him di Ville Valo, che in mezzo mondo, Italia compresa, nel 2000 fecero il botto con l’album Razorblade Romance. Quel disco, trascinato dalla ballatona gotica Join Me In Death e da una manciata di pezzi tirati, orecchiabili, in bilico fra glam, pop, goth e metal, diventò un classico garantendo alla band nata nel ‘91 a Helsinki, un posto di rilievo nel panorama musicale del periodo. Gli Him erano innegabilmente bravi, e altrettanto innegabilmente ruffiani. E poi avevano un cantante come Ville – bello come un modello e con quel look da maudit decadente – che gli garantiva una fanbase non composta dai soliti metallari col chiodo che ai concerti si agitano con la birra in mano pogando nelle prime file, ma uno stuolo di ragazzine urlanti che sbavavano su quel frontman dalla voce calda e urticante come un bicchiere di assenzio e la capacità di ammiccare come pochi. Già perché quei testi intrisi di love, death, perdizione e redention sembravano costruiti ad arte per generare appiccicosi wet dreams. Un po’ di Cure, un po’ di Billy Idol, una spruzzata dell’Ozzy Osbourne più pop, e poi un pizzico di glam, un filo di Jim Morrison nell’attitudine imbronciata, un briciolino di pseudo satanismo all’acqua di rose – Him stava per His Infernal Majestic – ed ecco la band che inventò il love metal. Inevitabile che a tanti piacessero e ad altrettanti facessero schifo. Personalmente ero tra i primi: adoravo Ville e i suoi. Sarà stato paraculo quanto volete ma con la sua musica sapeva emozionarmi; quell’atmosfera romantica e decadente mi faceva sognare e per quanto intuissi fosse un po’ artefatta, me la godevo comunque, come si fa con un film dell’orrore o una romantica commedia dalle tinte scure. D’altronde, come dicevano gli ismaeliti, quando niente è vero tutto è permesso. Per questo ci patii parecchio quando nel 2017, dopo un lucroso tour d’addio, il gruppo si sciolse. Ci patii ma lo accettai anche con un certo sollievo, perché era ormai da tempo che Valo, principale compositore di tutti i brani, sembrava stanco e a corto di idee.
Da allora il cantante degli Him ha fatto perdere le sue tracce. Tolta una collaborazione con lo stagionato gruppo folk finlandese degli Agents, è sparito dai radar lasciando i fan orfani della sua musica, perlomeno fino al 13 gennaio di quest’anno, giorno in cui è uscito Neon Noir, il suo primo disco solista, un album dove Valo suona tutti gli strumenti, dalla batteria alla chitarra. Come è il disco? Come una versione più morbida, azzarderei pop, degli Him. Ma attenzione, non sto dicendo sia male, a tanti magari questa versione un filo più annacquata e a tratti ispirata piacerà anche di più. Le inconfondibili trame melodiche di Valo ci sono tutte, state tranquilli. Quello che manca sono gli ammiccamenti facili, il goth a tutti i costi, che pur non sparendo del tutto si attenua, lasciando spazio anche a momenti più luminosi, quasi ottimisti, che so può sembrare irrispettoso visto che stiamo comunque parlando dell’ex frontman degli Him. Quello che convince meno è il risultato finale del disco, con le canzoni che – meno tirate, rabbiose e potenti che in passato – finiscono per suonare tutte molto simili, e alla alla lunga annoiano un po’. O magari semplicemente servono più ascolti per assimilarlo, vi saprò dire. Alla fine chissenefrega, la cosa importante è che Ville sia tornato, di nuovo produttivo e desideroso di spendersi sul palco, pronto ad adombrare la candela nera di amori fuggiaschi eternamente tormentati. Il love metal, anche se forse ora sarebbe più lecito chiamarlo pop metal, è salvo. Il suo re è tornato.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    Dovevano essere i presidi con cui ricostruire la sanità sul territorio in Lombardia, ma finora le case di comunità sono state un flop. 216 sono quelle previste entro la scadenza dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che arriverà a giugno 2026. Al momento 140 hanno aperto, ma solo otto in tutta la regione (sei in provincia di Bergamo e due nel varesotto) hanno tutti i requisiti obbligatori previsti dalla legge. In totale sono meno del 6 percento. La denuncia è del gruppo consiliare del Partito democratico lombardo che ha fatto un accesso agli atti alla direzione generale Welfare per ognuna delle case di comunità attive in Lombardia. L’assessorato ha replicato che i numeri diffusi “sono usati in modo difforme dalla realtà. Le rilevazioni mostrano percentuali elevate di attuazione per la maggior parte dei servizi obbligatori”. Per il capogruppo del Pd al Pirellone, Pierfrancesco Majorino, “Regione Lombardia è in colpevole ritardo”.

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