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L'Ambrosiano

Rimozione e risvegli

La conferma di Fontana e centrodestra nonostante i disastri combinati con Covid, siccità, consumo del suolo è frutto anche di rimozione e prospetta un risveglio possibile. Rimuovere è un meccanismo di difesa; lo attuiamo per eliminare traumi, stati emotivi pesanti da sopportare. Contando di proteggerci agiamo come se un brutt’evento non fosse accaduto. Così la maggioranza di una minoranza (nata tra 4 elettori su 10) scotomizza miglia di morti, i camion dell’esercito che di notte portano via cadaveri da Bergamo e Brescia, le promesse di voler imparare dal disastro trasformate invece in una riforma che ha equiparato sanità pubblica e privata, creato liste d’attesa indegne, ha reso drammatico il divario tra chi può curarsi e chi invece deve rinunciarci. Molto voto a destra è da Alice nella Lombardia delle “loro” meraviglie. Ma per la psiche nulla si crea e nulla si distrugge: tutto resta e si trasforma. E presenta il conto. Questo è il risveglio: traumatico per chi capirà l’inganno; già praticato da chi ha vinto i mal di pancia ritrovandosi nella pur timida opposizione e dai 6 elettori su 10 che non han votato ma aspettano chi dia ragioni per tornare a sperare. Il risveglio è un processo di aggregazione tra chi dopo omissioni, errori, smarrimenti, ricomincia a ritrovare se stesso, idee, proposte politiche a servizio di uomo, ambiente, nuovi stili di vita, scuola, cultura, recupero d’un ceto medio non tutelato, di giovani, studenti, donne, emarginati, minacciati nei diritti, a capire chi è vero europeo, cercare assetti di pace e non blocchi. Il risveglio rivelerà «Il re è nudo» della destra, che cerca bersagli per dar senso a povertà ideali e ritiene nemico da “menare” con dubbi scoop (Donzelli & C.) invece che competitor chi la pensa in modo diverso. Se fosse meno spocchiosa la destra imparerebbe che i nemici di noi siamo noi se gestiamo le istituzioni come proprietà privata, gli avversari quali soggetti da delegittimare, i cittadini come cretini (navi Ong al Nord “per difendere i confini”), il Paese come fosse nato oggi e non realtà viva plurale, con una storia, da tenere unito invece che spaccare con ingiustizie, disuguaglianze, proiezioni su altri (i deboli) delle inadeguatezze proprie.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Elezioni: oltre la passione, ogni attenzione spenta

Ce la ricorderemo questa percentuale: 41,6% i votanti in Lombardia, 37,2% nel Lazio, a Roma va a votare una persona su 3. Ce la ricorderemo, azzardo, o meglio ce la dovremmo ricordare, più della percentuale con la quale Attilio Fontana si porta a casa un purtroppo previsto secondo mandato alla guida della Regione e più dell’altrettanto certo esito che mette anche sul Lazio la bandierina del centrodestra.

Dovremmo ricordarcela e indagarla perché è nel grande – ormai enorme, ai massimi storici – calderone dell’astensionismo che dobbiamo guardare per capire dove e perché è franata non solo la passione per la politica, ma anche l’ultimo residuo di attenzione a ciò che si muove in quelle stanze. Cosa ci consegna infatti questo dato che, parliamo per la Lombardia, vede ‘evaporare’ il  31,5% di chi aveva votato nella penultima elezione regionale? Ci sembra consegni  la convinzione di tanti, troppi elettori ed elettrici che nessuna relazione esista o possa esistere tra la loro vita e la politica o che, laddove si ritiene sussista, essa sia solo dannosa. Somma indifferenza, enorme lontananza o critica a tutto campo senza possibilità di appello.

E se Pierfrancesco Majorino va ringraziato, per il lavoro che ha fatto e per l’energia che ci ha messo, se in queste ore si stanno moltiplicando le analisi del voto, se il dettaglio mette in fila altre concause di questa ulteriore sconfitta (lo stato del Pd, l’assenza sulla scena lombarda dei big, l’onda lunga del successo nazionale di Meloni e soci), resta un elemento da cui non si può prescindere: la prima elezione dopo la pandemia da Covid che ha pesantemente infierito sulla Lombardia, sulle comunità, sulle singole vite premia – e non poco – chi così malamente l’ha gestita e non spinge alle urne per cambiare rotta una fetta rilevante dell’elettorato, fino a ieri attivo.

Diverse analisi politologiche, anche a livello internazionale, si soffermano sulla ‘capricciosità’ dell’elettorato e, di più, sulla sostanziale ‘indifferenza’ alla realtà delle cose: il voto, secondo questa visione, perderebbe ogni residua razionalità in base alla quale punisco o premio chi ho eletto sulla base di ciò che ha fatto. Non consola, perché se questa analisi è vera o è parzialmente vera, significa che bisogna riprendere punto per punto la trama della convivenza e della cittadinanza, ricostruirla con pazienza e lungimiranza, sapendo che è un lavoro di lungo periodo, faticoso e incerto, quanto necessario. Ricordiamocelo: 41,6 per cento. Tutte e tutti gli altri a casa. Altrove.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Quale futuro per l’Accordo UE-Mercosur dopo il ritorno di Lula al governo?

Sta cambiando velocemente l’atteggiamento dell’Unione Europea rispetto alla ratifica dell’accordo commerciale con il Mercosur, il mercato comune tra Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay. Dovrebbero essere aboliti i dazi per il 93% delle merci esportate dal Mercosur in Europa e per il 91% delle merci europee nel Mercosur.

L’accordo era stato concluso nel 2019, dopo 20 anni di negoziati, durante il vertice del G20 di Osaka, ma i toni trionfali dei negoziatori non erano riusciti a nascondere le difficoltà che si sarebbero trovate per la ratifica di quel documento, che infatti non è mai avvenuta. Se la Spagna spingeva, la Francia frenava platealmente, a partire dal suo presidente Emmanuel Macron, che ancora alla vigilia dell’ultimo voto in Brasile si era detto contrario all’accordo, senza sottovalutare le campagne della società civile tutte puntate sui rischi ambientali connessi all’aumento degli scambi tra Sudamerica ed Europa. Ma da quando il nuovo presidente del Brasile è Lula le cose stanno cambiando velocemente, anche per motivi geopolitici. La linea di Lula è chiudere subito la partita dell’accordo con l’Unione Europea per negoziare successivamente un trattato con la Cina. Questa “deferenza” nei confronti dell’Europa da parte del leader della sinistra brasiliana sta riuscendo a far cadere velocemente i pregiudizi verso l’accordo. Lula, inoltre, è in grado di offrire garanzie sul piano ambientale nell’ambito della grande iniziativa di protezione dell’Amazzonia e dei suoi popoli, annunciata in campagna elettorale e confermata dopo la vittoria.

Da parte europea, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno introdotto variabili che all’epoca dei negoziati non esistevano. Il concetto di sovranità alimentare, l’accesso ai rifornimenti strategici di materie prime, l’idea di costruire mercati allargati di consumatori ben si sposano con l’accordo con un’area del pianeta culturalmente omogenea, ma anche ricca di quelle commodities alimentarie e minerali che risultano strategiche nel mondo d’oggi. Concetto ribadito dal cancelliere tedesco Scholz, reduce da un viaggio in Brasile, Argentina e Cile, dove ha firmato importanti accordi in base ai quali la Germania parteciperà all’estrazione di litio e alla costruzione di impianti per la produzione di idrogeno “verde”.

Tanto entusiasmo potrebbe però essere raffreddato dai soci “minori”, come l’Argentina, che ritiene ci siano discriminazioni nell’accordo sul suo biocarburante, ottenuto dalla soia, a vantaggio invece di quello prodotto in UE usando la colza. In realtà, i contrasti tra Europa e Sudamerica nell’ambito dell’agricoltura e della trasformazione alimentare sono molti e spesso annosi. Altro ostacolo che rende difficile il negoziato sono le denominazioni d’origine, che l’accordo tutelerebbe soltanto per 357 specialità a fronte di circa 1500 DOP e IGP riconosciute in Europa. Rispetto ad altri accordi, in questo caso il tema è particolarmente sentito perché sono decine e decine le specialità “europee” che si producono anche nei Paesi del Mercosur, a opera dei discendenti dei milioni di immigrati approdati in Sudamerica nell’ultimo secolo e mezzo. Formaggi, vini, salumi che ormai sono diversi da quelli prodotti in Italia, ad esempio, ma ne conservano il nome e l’aspetto. Sarà interessante capire se in questa fase storica, con un’Europa accerchiata e in difficoltà, l’offerta di Lula di stringere velocemente i rapporti commerciali, anche per stoppare l’avanzata cinese, sarà colta. In sostanza, la questione è se conta di più la politica globale dell’Unione o la tutela del Camembert.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Macerie

È difficile scrivere con decine di miglia di vittime sul cuore. La natura ha ucciso nel sonno donne, bambini, giovani, anziani. In Ucraina la mente umana è causa del male. La sincronicità dovrebbe generare resipiscenze. Invece non sono scossi da autocritiche quelli cui toccherebbe interrogarsi, fermare distruzioni, dire: fermiamoci! Pietà l’è morta. La guerra continua feroce mentre terremotati e soccorritori scavan tra immani macerie; a Kiev scuole, case, ospedali son bombardati, intanto partono per Turchia e Siria ospedali da campo, tende, generi di prima necessità. È difficile scrivere di follia bellica, paradossi, macerie dell’anima. Il Cremlino ha mezzi per missili su Kiev e aiuti a Erdogan (che gli ha sbloccato le navi col grano) e Bashar al-Assad che coi generali russi ha distrutto la Siria e forte dell’alleato impedisce ai soccorsi d’arrivare in zone ribelli. Destino simile per i Curdi, di là. Il sisma sterminerà popolazioni che né armi né mercenari han domato. La geopolitica non guarda in faccia all’umanità che muore. L’Occidente risponde ad Ankara (meno ad Aleppo, causa sanzioni) e intanto intensifica il rifornimento d’armi a Zelensky: difende l’Ucraina e l’Europa. Ma Bruxelles non è pervasa da un fremito: davanti alle dimensioni esponenziali delle concomitanti tragedie non prende l’iniziativa di dire a Putin: fermati e da stasera mandiamo a Kiev generatori e aiuti, non più cannoni. Cosa deve succedere perché cambino testa e cuore? È difficile scrivere di macerie stavolta istituzionali, in cui rischia di finire il nostro Paese: presidenzialismo; autonomia differenziata; esponenti di Governo che agiscono come nella Festa de Noantri; Presidente del Senato che tiene il busto del Duce; rimozione di quel che fu promesso per la Sanità Pubblica dopo il Covid; scuola ignorata; povertà viste come colpa di chi le soffre; motovedette alla Libia e navi Ong spedite al Nord. Sotto le macerie del sisma han trovato un bimbo vivo col cordone ombelicale e la madre morta. È difficile scrivere che da macerie si generi un’esistenza nuova, ma per restare umani bisogna crederci e affidarsi a quell’orfano di madre, promessa di vita per il mondo e per noi: speranza nel resistere a ‘sta destra.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

Torna il debito estero…ma in Africa

Quello del debito pubblico degli Stati è un problema antico, già emerso all’attenzione dell’opinione pubblica verso la fine del ’900, quando le istituzioni finanziarie internazionali individuarono come cura standard, per i Paesi che ne erano gravati, il taglio dei cosiddetti “rami secchi” (cioè istruzione, pensioni e welfare), la liberalizzazione dei mercati e la privatizzazione delle aziende pubbliche. Una ricetta che ebbe pesanti ricadute sulla vita dei cittadini, basata su pochi ingredienti giusti e molti altri dettati dall’ideologia. Non è mai stato dimostrato, ad esempio, che un minor investimento nell’educazione dei giovani o nella cura degli anziani possa migliorare stabilmente i conti di uno Stato: anzi, nel medio periodo di solito accade l’esatto contrario. Ma il problema dell’indebitamento è come un iceberg del quale si vede solo la parte superiore, quella economica, mentre tutto il resto rimane sommerso.

Tra gli anni ’80 del secolo scorso e gli anni 2000 la questione riguardò soprattutto l’America Latina: Messico, Brasile, Ecuador, Perù rischiarono il default o addirittura dovettero dichiararlo, come accadde all’Argentina nel 2001, il caso più noto. Non furono le ricette del Fondo Monetario Internazionale a sistemare le cose, bensì il ciclo di crescita economica e l’aumento delle quotazioni delle commodities agricole e minerarie, che aiutarono quei Paesi a uscire dalla crisi.

Situazione economica internazionale e quotazioni delle commodities sono le ragioni per le quali oggi, dopo la pandemia, con la guerra in Ucraina ancora in corso e con il rischio di una recessione globale all’orizzonte, il debito torna prepotentemente all’attenzione. L’America Latina, che nel 2019 aveva una media del 58% di debito in rapporto al PIL continentale, è balzata al 72%.

La situazione è ancora più delicata in Africa, continente finora risparmiato dalle grandi crisi debitorie e che diverse volte ha usufruito di cancellazioni del debito. Nel 2022 il debito estero africano ha superato quota 700 miliardi di dollari e ben 8 Stati, secondo gli analisti, rischiano il default a breve termine. La crisi debitoria nasce dalla debolezza della struttura economica della maggior parte dei Paesi africani, che dipendono talvolta dalle quotazioni di una sola materia prima da esportazione, a fronte di una popolazione giovane in aumento e di una bassa tendenza al risparmio; si aggiungono il problema insoluto della corruzione generalizzata e la bassa fiscalizzazione dell’economia locale. Ora, prima che scatti l’effetto domino, si cercano soluzioni: ma in questo caso non è soltanto il Fondo Monetario a dettare le regole, perché quando si parla di Africa bisogna fare i conti con la Cina, che detiene quasi il 15% del debito estero del continente. Per anni, infatti, Pechino ha elargito agli Stati africani prestiti a buone condizioni, spesso per ripagare infrastrutture costruite dalla Cina stessa, e oggi teme l’insolvenza di alcuni dei Paesi con i quali ha stabilito rapporti di dipendenza. Almeno 6 Stati saranno chiamati a breve a ristrutturare il loro debito, e alcuni di essi sono Paesi importanti, come il Kenya, l’Egitto e la Nigeria.

A differenza di quanto accaduto in America Latina, qui c’è poco da tagliare, perché il welfare è quasi inesistente e gli Stati non possiedono grandi risorse. Assisteremo quindi a un negoziato che avrà poco di economico e molto di geopolitico, con la concessione di vantaggi agli investitori provenienti dai Paesi creditori, politiche restrittive sulle migrazioni e allineamenti politici che possano bilanciare l’avanzata dell’influenza di Mosca. Del resto, già in passato il debito estero è stato un fenomenale strumento di pressione politica oltre che economica. I Paesi indebitati devono abbassare le loro pretese, dimenticare il protagonismo internazionale e sopportare il commissariamento dei loro bilanci pubblici. Finché la prossima crescita economica allenterà la pressione debitoria e si potrà ancora una volta ricominciare a fare debito, come se nulla fosse.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    "Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).

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