Per l’opinione pubblica italiana, il caso Regeni ha puntato una luce sull’operato del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi i cui primi anni di mandato erano passati quasi in sordina nella copertura della stampa. Le promesse di riportare il Paese “nella giusta via per la transizione” annunciate nel 2013 – quando il generale destituì il primo e unico presidente egiziano islamista, Mohammed Morsi – sono un miraggio lontano.
A delineare uno scenario preoccupante non è solo la questione dei diritti umani, con 1.400 manifestanti uccisi, 500 sparizioni forzate dal 2013 e 1176 casi di tortura da parte delle forze di sicurezza solo nel 2015.
A scricchiolare, oltre alla fantomatica lotta al terrorismo (che però non ha fermato gli attentati nella penisola del Sinai che da anni si verificano su base quotidiana) è anche l’economia. I grandi progetti – altro punto chiave della costruzione del consenso del presidente – come la nuova tratta del canale di Suez non stanno portando i risultati sperati. Un mese sopo l’inaugurazione, nel settembre del 2015, i profitti dell’infrastruttura segnavano il 4 per cento in meno.
A continuare a calare è anche il turismo, che lo scorso aprile ha registrato entrate inferiori al 54 per cento rispetto al 2015 e la ripresa sembra lontana dopo la tragedia del volo russo precipitato lo scorso ottobre in Sinai e la cui responsabilità è stata rivendicata dallo Stato Islamico.
Ad aprile il tentativo di cessione all’Arabia Saudita delle isole di Tiran e Sanafir – inserite in un accordo miliardario con Ryad – ha aperto una nuova crisi.
Le proteste, anche se con numeri ridotti, hanno portato all’ennesimo giro di repressione con numerosi arresti che hanno coinvolto – per la prima volta nella storia egiziana – anche il capo del sindacato dei giornalisti egiziani, Yahia Qallash.
Intanto, il Consiglio di Stato ha annullato l’accordo di cessione delle due isole innescando l’ennesimo iter giudiziario farraginoso che proseguirà con il ricorso presentato dal governo del Cairo.
Gli eventi dell’ultimo anno sono riusciti a mettere in discussione la credibilità tra gli egiziani e tra i membri della comunità internazionale in particolare sui diritti umani. Ma al momento non è ancora abbastanza per isolare l’Egitto. Un Paese che per gli occidentali, alla luce anche delle blande prese di posizione in Europa dopo la morte di Regeni, sembra non perdere la sua importanza strategica sul piano economico e geopolitico.