Approfondimenti

Tobilì, quando il cibo è incontro e accoglienza

“Dietro ogni piatto c’è una storia. Una bevanda che si chiama Gnamakou Dji, diffusa nell’Africa occidentale, racconta ad esempio che tutti, ricchi e poveri, hanno la possibilità di berla, perché è a base di zenzero e lo zenzero lì non è costoso come qui in Italia. Mentre invece c’è un piatto chiamato Tji gnagnete, che chiamiamo anche Pdg, piatto del presidente e del direttore generale, perché se tuo marito non è presidente o direttore generale, non puoi permettertelo, ci sono ingredienti costosi come la carne”.

Racconta ricette e tradizioni, Bouyaguì. A 19 anni ha dovuto lasciare il suo Paese, il Mali, dove studiava. E’ a Napoli da circa otto mesi, in Italia da un anno e mezzo circa. E’ uno dei cuochi, il più piccolo, di Tobilì, una cooperativa di catering multietnico e corsi di cucina a Napoli. Tobilì è una parola in lingua bambarà, vuol dire sazio.

Il bamabarà è una delle lingue che si parlano tra i fornelli di Tobilì, perché i cuochi vengono da quattro paesi diversi: Susanna dall’Armenia, Hosameldinne dall’Egitto, Levent di etnia curda dalla Turchia, e Bouyaguì dal Mali. Con ‘Tobilì – cucina in movimento’ vogliono portare le persone nei propri paesi attraverso i piatti che cucinano.

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A guardarli all’opera mentre preparano i piatti per una serata di festa, viene in mente il titolo di un film di Fatih Akin di qualche anno fa, Soul kitchen, cibo per l’anima. Non è Amburgo, e non siamo in un locale vicino ai binari di una vecchia ferrovia. Ma siamo nel cuore di Napoli, in palazzi storici dove hanno sede tre centri di accoglienza che ospitano rifugiati e richiedenti asilo.

Qui grazie alla passione in comune per la cucina, Susanna Hosameldine, Levent e Bouyaguì, si sono incontrati e hanno dato vita alla cooperativa. Hanno storie diverse alle spalle, nei loro paesi si occupavano di tutt’altro. Da circa un anno portano avanti questo progetto del catering e dei corsi di cucina. Tra i fornelli parlano italiano, si scambiano ricette e preparano menu. “Un piatto importante per le feste – racconta Susanna – si chiama Vinegred, è un’insalatona coloratissima con barbabietola, patate, carote, cetrioli sott’aceto, pepe rosso, olio, fagioli rossi. È un piatto che si cucina in Armenia, Russia”. Un dolce molto soffice e delizioso è il Revani, un antico dolce ottomano presente in tutta l’area del Mediterraneo orientale. “Gli ingredienti – racconta Levent – sono semplici, semolino, vaniglia, bicarbonato, latte, olio di mais, succo di limone, farina uova, zucchero”.

i piatti di tobili

Susanna, Levent, Hosamledinne e Bouyaguì sono arrivati come richiedenti asilo nei centri di accoglienza gestiti dalla Less onlus. L’idea di mettere su una cooperativa di catering è nata dai ragazzi a seguito di un ciclo di formazione per la costituzione di impresa, attivato nell’ambito di percorsi di integrazione e orientamento al lavoro organizzati dalla Less.

“Questa è una delle attività – spiega Daniela Fiore, responsabile dell’area integrazione lavoro della Less, nell’ambito del progetto Iara (Integrazione, accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo) – che rientrano nei percorsi di orientamento e di acquisizione di autonomia. In particolare quest’attività del catering, permetterà ai ragazzi di creare lavoro per loro stessi, ma anche per altri ragazzi, altri rifugiati, richiedenti asilo, o anche italiani”.

New entry nel gruppo, un cuoco italiano, Roberto Vitaloni. Tra catering e corsi di cucina, ora la nuova sfida per Tobilì sarà gestire un bar bouvette, sempre a Napoli. Nei loro paesi si occupavano di tutt’altro. Susanna, 32 anni, in Armenia faceva la parrucchiera, ma da piccola è cresciuta tra cioccolata e cioccolatini. “Mamma lavorava in una fabbrica di cioccolata, quando ero piccola a volte mi portava a lavoro con lei, e di nascosto prendeva il pezzo di cioccolata più grande e me lo regalava”.

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Hosameldinne in Egitto lavorava come avvocato, “difficilmente in poco tempo potrò praticare in Italia la mia professione. Raccontare il mio paese attraverso il cibo, mi da una grande soddisfazione sia per la mia passione per la cucina, sia perché così posso sostenere i miei studi qui in Italia e diventare autonomo”.

Levent, 37 anni, curdo in Turchia lavorava in una fabbrica tessile, poi cinque anni fa ha dovuto lasciare il suo paese per problemi politici. In diversi paesi in giro per l’Europa ha lavorato come aiuto cuoco, e pasticciere. E’ stato in Svizzera, in Germania, dove gli è stata rifiutata la richiesta di asilo, e da circa venti mesi a Napoli. Bouyagui, maliano, è il più piccolo, non ha esperienze lavorative alle spalle, vuole studiare e diventare segretario o addetto all’amministrazione. Si è appassionato alla cucina vivendo nel centro di accoglienza, cucinando assieme agli altri ragazzi.

Ascolta l’intervista con i cuochi di Tobilì

I cuochi di Tobilì

  • Autore articolo
    Stefania Persico
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