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The Urgent Call of Palestine, la canzone di protesta di Zeinab Shaath che l’IDF ha cercato di mettere a tacere

The Urgent Call of Palestine di Zeinab Shaath

Lui, un insegnante, aveva trovato un impiego ad Alessandria d’Egitto, e così nel 1947 gli Shaath lasciarono la Palestina: in tasca avevano le chiavi della loro casa, per il giorno in cui sarebbero tornati. Un giorno che non è più potuto arrivare: poco tempo dopo infatti cominciò la violenta espulsione dei palestinesi dalla loro terra e fu negato loro il diritto al ritorno in patria. Nel 1954 Zeinab Shaath fu la prima della famiglia a nascere in esilio. Ogni settimana il padre si recava al confine tra Egitto e Palestina per accogliere le famiglie palestinesi in fuga; la madre, libanese, raccoglieva denaro per aiutare i rifugiati. Zeinab crebbe con la coscienza di essere palestinese, in un contesto familiare in cui si parlava, rigorosamente e orgogliosamente, arabo palestinese.

Negli anni sessanta la sorella maggiore andò negli Stati Uniti a studiare. Lei intanto, ancora troppo piccola per fare politica per la causa, suonava il pianoforte e componeva canzoncine. La sorella tornò indietro portando una chitarra e alcuni dischi americani dell’epoca, fra gli altri di Joan Baez e Bob Dylan: per Zeinab fu una folgorazione. Nel ‘70, quando Zeinab aveva sedici anni, la sorella le mostrò una poesia scritta da Lalita Panjabi, moglie indiana di un collega; la poesia si chiamava The Urgent Call of Palestine, “L’appello urgente della Palestina”: la sorella la chiuse in camera sfidandola a mettere in musica la poesia entro 24 ore.

Nacque così la prima canzone creata da palestinesi che parlava del loro dramma in inglese: una canzone che nello stile e nel modo di Zeinab di interpretarla richiamava non la canzone araba, ma – con grande classe e freschezza – il filone della canzone americana impegnata e di protesta. La sorella di Zeinab lavorava in una stazione radio egiziana anglofona: la canzone fu mandata in onda ed ebbe subito molto successo. Zeinab Shaath cominciò ad essere invitata a cantarla a manifestazioni e iniziative culturali nella regione, fra cui un festival palestinese in Libano. Lì ad ascoltarla c’era Ismail Shammout, pittore palestinese in esilio e direttore della sezione artistico-culturale dell’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che si rese subito conto dell’interesse di diffondere una canzone sulla questione palestinese che potesse raggiungere il pubblico occidentale.

Zeinab Shaath creò allora altre tre canzoni in inglese, una delle quali, I Am an Arab, traduceva dall’arabo una poesia di Mahmoud Darwish, il grande poeta palestinese, che fu felice dell’operazione. Nel ‘72 l’Olp pubblicò un EP con le quattro canzoni in inglese di Zeinab Shaath. Nel ‘73 Zeinab – inserita nella delegazione palestinese di cui facevano parte Yasser Arafat e Angela Davis – si esibì al decimo Festival Mondiale della Gioventù che si svolse a Berlino Est, a cui parteciparono centinaia di migliaia di giovani. Nello stesso anno comparve interpretando The Urgent Call of Palestine nel primo film girato da Ismail Shammout.

Negli anni successivi Zeinab continuò a cantare in arabo e inglese, e andò a studiare negli Stati Uniti, dove si sposò e dove ha lavorato come farmacologa. Durante l’occupazione di Beirut nel 1982, l’esercito israeliano saccheggiò l’archivio dell’Olp: i 4 minuti del filmato di Zeinab Shaath che canta la sua canzone parevano perduti: nel 2017 sono stati rintracciati negli archivi militari da un ricercatore israeliano, Rona Sela, che ha avuto l’autorizzazione all’accesso ad una copia dell’originale.

Nel 2021 gli animatori dell’etichetta Discostan scoprirono l’esistenza del disco con le quattro canzoni di Zeinab Shaath, e decisero di ripubblicarlo. In vinile e in digitale, la ristampa, realizzata in collaborazione con la Majazz di Mo’min Swaitat, di cui ci siamo occupati altre volte, è uscita il 26 marzo. “Quando ho fatto questo disco – ha dichiarato amaramente Zeinab Shaath alla rivista americana di sinistra In These Timesla situazione non era così cattiva come oggi, e mi rende molto triste che niente sia successo e sia andato meglio”. Zeinab Shaath – commenta la rivista statunitense – si augura che questa volta l’”appello urgente” non rimanga inascoltato.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Oggi si rinnova automaticamente il memorandum tra Italia e Libia sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere. In pratica l'accordo tra i due Paesi per evitare che arrivino in Italia migranti dall'Africa, anche se così non è. La Libia è uno dei Paesi dove più di altri viene negato il rispetto dei diritti umani, con i migranti torturati e richiusi in lager. Il tacito prolungamento dell'accordo è previsto dall'articolo 8 del memorandum che dice che l'accordo non può essere disdetto se non viene dato un preavviso scritto di almeno tre mesi. Oggi sarebbe stato l'ultimo giorno utile e così dal 2 febbario 2026 continuerà a essere in vigore per i prossimi tre anni. Nel silenzio del governo e nello sdegno delle associazioni umanitarie, uniche a denunciare la vergogna di un accordo che convalida pratiche inumane nei confronti dei migranti. Ascolta l'intervista di Alessandro Braga a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

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    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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