Approfondimenti

Sierra Leone e coronavirus: dal trauma di Ebola lezioni per il futuro

Sierra Leone Coronavirus

La Sierra Leone è stato uno degli ultimi Paesi africani a registrare i primi casi di coronavirus COVID-19. Yvonne Aki-Sawyerr, la sindaca della capitale Freetown, è stata responsabile della pianificazione del Centro Nazionale di risposta contro l’Ebola durante l’epidemia che ha devastato il Paese tra il 2014 e il 2015. Le abbiamo chiesto di raccontarci come la sua città da un milione e duecentomila abitanti sta affrontando la nuova crisi sanitaria:

Il primo caso risale al 31 marzo e a metà maggio abbiamo circa 400 casi e 26 morti. Rispetto allo scenario italiano sembra una situazione molto meno drammatica, ma in un contesto come il nostro rimane una vera sfida, innanzitutto per via della nostra esperienza con l’epidemia di Ebola. Le persone hanno imparato delle lezioni, ma hanno anche delle cicatrici e non avevo del tutto previsto quanto fossero profonde. Recentemente ho incontrato una ragazza che ha la madre positiva al COVID-19 e che ha perso suo marito per Ebola. Posso solo immaginare le montagne russe emotive che sta vivendo, sapendo che i suoi quattro figli dovevano andare in quarantena. L’impatto emotivo di dover attraversare una nuova epidemia che potrebbe causare la stessa devastazione di Ebola è davvero unico. E poi c’è la sfida di come mettere in pratica le misure preventive di base: lavarsi le mani, quando il 47% della popolazione non ha accesso all’acqua corrente o il distanziamento sociale quando il 35% della popolazione vive in insediamenti informali dove è fisicamente impossibile prendere le distanze. E c’è il problema del lavoro informale e del trasporto, come le moto, dove il passeggero deve attaccarsi al conducente. Il sistema sanitario sta migliorando, ma ancora non ci siamo. Non è abbastanza forte anche se il nostro personale sanitario sta facendo un lavoro fantastico e gli siamo sempre grati per questo.

Cosa state facendo per seguire i consiglio dell’OMS su come gestire questa crisi in tutte quelle zone dove non ci si può lavare le mani e la distanza tra le persone non è così facile da rispettare?

Stiamo applicando il distanziamento sociale dove è possibile farlo. Ci sono parti della città dove si può fare, ma abbiamo questi vincoli e anche se il piano di sviluppo di Freetown prevede di migliorare gli slum e costruire case a basso prezzo, non basterà per tutti i nostri concittadini che vivono lì. Non si possono fare miracoli dall’oggi al domani. Per questo insistiamo sul bisogno di mettere le mascherine e grazie a molti partner, tra cui l’Europa, stiamo cercando di procurarci almeno 120.000 mascherine. Basterebbero per i bisogni del 10% della popolazione: le persone vulnerabili, i negozianti e i conducenti pubblici e i disabili. Stiamo anche cercando di incoraggiare le persone ad esempio fornendo dell’acqua grazie a dei fondi che abbiamo raccolto e procurando dei serbatoi. Adesso stiamo valutando di andare a prendere l’acqua dalle fonti sotterranee per portarla nelle comunità. Lo scopo è aumentare rapidamente la fornitura di acqua per permettere alle persone di lavarsi le mani. Lava le mani, stendi le braccia e indossa una mascherina: è così che stiamo affrontando la situazione.

In che modo l’epidemia di Ebola è stata utile ad affrontare la situazione in cui siete oggi qui?

Personalmente, grazie al ruolo che ho ricoperto, ho potuto seguire l’evoluzione dell’epidemia in tutta la Sierra Leone. Io ne ho tratto soprattutto quattro lezioni: assicurarsi che le informazioni siano trasmesse correttamente a tutti gli organismi che rispondono all’emergenza, dall’alto verso il basso e viceversa. E questo deve valere per tutto il Paese e a tutti i livelli, dal distrettuale al nazionale alle città ai villaggi. La seconda lezione è lavorare con la comunità: non si può sconfiggere un’epidemia da soli. È fondamentale, ma per ottenere quel risultato bisogna parlare con le persone, non alle persone.
La terza lezione è colmare il divario tra un protocollo e la pratica, ad esempio in un villaggio o in un centro di quarantena. Se non si sta attenti si corre il rischio di avere un’impennata dei casi, perché delle cose che si sarebbero dovute fare non vengono fatte. E questo mi porta al quarto punto: individuare, isolare e contenere. Bisogna sapere dov’è il virus per poterlo bloccare. Queste sono le lezioni che Ebola mi ha insegnato e che cerco di applicare come sindaco di Freetown, ma sento anche che oltre al trauma che ha causato, Ebola ha permesso un’accettazione più rapida della realtà della malattia anche se una grossa differenza è che oggi ci sono anche gli asintomatici. Con Ebola le persone hanno imparato a reagire alle persone che apparivano malate, ora non sembri malato, ma sei comunque positivo al tampone. L’altra differenza è che il Mondo intero sta affrontando questa malattia e sta cercando di salvare l’economia. È una sensazione molto diversa.

Nelle ultime settimane si è detto da più parti che il COVID-19 sarebbe stato un disastro per l’Africa e che avrebbe fatto un sacco di vittime. Per il momento questa cosa non è ancora successa. Secondo lei perché?

Durante l’epidemia di Ebola, soprattutto alla fine del 2014, le proiezioni parlavano di centinaia di migliaia di possibili malati. Alla fine ci siamo fermati a 11.000 contagi. Penso che uno dei motivi per cui allora come oggi le previsioni non si stanno materializzando è che non ne sappiamo abbastanza di queste malattie. Come si diffonde il virus, che effetto può avere l’immunità ad altre malattie, il clima: è un nuovo virus e sei settimane dopo il nostro primo caso l’impressione è che ci siano dei fattori che aiutano ad attenuare la virulenza, ma dobbiamo anche considerare che facciamo pochissimi tamponi. Parliamo di poche migliaia di test in tutta la Sierra Leone. Credo sia comunque utile prepararsi sulla base della peggiore delle ipotesi anche se è ben peggiore della realtà che stiamo vivendo.

Foto dalla pagina Facebook di Yvonne Aki-Sawyerr

  • Autore articolo
    Redazione
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli
POTREBBE PIACERTI ANCHETutte le trasmissioni

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio venerdì 17/10 12:30

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 17-10-2025

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve venerdì 17/10 18:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 17-10-2025

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di domenica 12/10/2025

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 12-10-2025

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di venerdì 17/10/2025 delle 07:15

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 17-10-2025

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Campagna abbonamenti di venerdì 17/10/2025 delle 17:00

    L’Abbonaggio di Radio Popolare minuto per minuto

    Campagna abbonamenti - 17-10-2025

  • PlayStop

    Campagna abbonamenti di venerdì 17/10/2025 delle 16:01

    A cura di Massimo Bacchetta, Martina Stefanoni, Chiara Manetti

    Campagna abbonamenti - 17-10-2025

  • PlayStop

    L’ONU lancia l’allarme per Gaza: “Servono più aiuti”. Ma il valico di Rafah resta chiuso

    A Gaza resta in vigore il fragile cessate il fuoco concordato a Sharm el Cheik, ma l’intesa tra Hamas e Israele è costantemente minacciata da accuse reciproche di violazione degli accordi. Al centro delle tensioni con il governo di Tel Aviv ci sono soprattutto i 19 corpi degli ostaggi non ancora restituiti dai miliziani, e il disarmo dell’organizzazione palestinese. Hamas da parte sua accusa Israele di violare la tregua e denuncia che sui corpi dei palestinesi morti in carcere e riconsegnati da Tel Aviv ci sono evidenti segni di tortura. Resta grave la situazione umanitaria: le agenzie Onu affermano che nella Striscia entra una quantità ancora troppo esigua di aiuti umanitari, mentre l’organizzazione mondiale della sanità parla di una diffusione incontrollata delle malattie infettive. Intanto il valico di Rafah resta chiuso. Giovanna Fotìa, dell’Ong WeWorld, è la responsabile dei progetti per la Palestina.

    Clip - 17-10-2025

  • PlayStop

    Campagna abbonamenti di venerdì 17/10/2025 delle 14:02

    A cura di Elisa Graci, Massimo Bacchetta, Claudia Bergonzi, Chawki Senouci

    Campagna abbonamenti - 17-10-2025

  • PlayStop

    Campagna abbonamenti di venerdì 17/10/2025 delle 11:59

    A cura di Cecilia Di Lieto e Luigi Ambrosio

    Campagna abbonamenti - 17-10-2025

  • PlayStop

    Campagna abbonamenti di venerdì 17/10/2025 delle 11:01

    A cura di Elena Mordiglia, Vittorio Agnoletto, Luca Parena

    Campagna abbonamenti - 17-10-2025

  • PlayStop

    Campagna abbonamenti di venerdì 17/10/2025 delle 10:01

    A cura di Massimo Bacchetta e Martino Fiumi

    Campagna abbonamenti - 17-10-2025

  • PlayStop

    Campagna abbonamenti di venerdì 17/10/2025 delle 08:38

    A cura di Barbara Sorrentini e Ira Rubini

    Campagna abbonamenti - 17-10-2025

Adesso in diretta